Tutte le anime del mio corpo
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Diario di una giovane partigiana (1943-1945)

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Diario di una giovane partigiana (1943-1945)

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Informazioni sul libro

Friuli 1943-1945: una giovane donna, Maria Antonietta Moro, entra nella Resistenza e partecipa prima alle attività dei gruppi antifascisti jugoslavi nel goriziano e poi a quelle italiane. Durante i lunghi mesi prima della fine della guerra, costretta a nascondersi, scrive un diario di cui nessuno finora conosceva l'esistenza. Il documento è stato ritrovato dalla figlia, Lorena Fornasir, solo dopo la morte della madre nel 2009. Accompagnano il diario alcune lettere scambiate dall'autrice con il comandante partigiano Ardito Fornasir, "Ario", medaglia d'argento della Resistenza, che dopo la fine della guerra diverrà suo marito. Sono lettere in cui motivi personali, politici e militari si intrecciano in una sintesi efficace. Nel volume, i contributi della storica Anna Di Gianantonio e della poeta e letterata Gabriella Musetti, consentono un inquadramento storico e letterario.*Dal libro è stato tratto il docufilm "Every soul of my body" della regista Erika Rossi prodotto da Quasar Multimedia. Il docufilm è stato presentato in anteprima a Trieste il 21 aprile 2016 e candidato a Visions du Réel. Festival International de Cinéma Nyon 2017.

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Informazioni

Anno
2020
ISBN
9788862525657
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Prefazione
di Andrea Franchi
I Diari che qui si pubblicano non sono, soltanto e soprattutto, testi di memorialistica della lotta partigiana. Sono il breviario dell’esperienza di rapidissima maturazione di una giovane donna di campagna che si trova improvvisamente ad affrontare condizioni estreme di vita.
Maria Antonietta Moro, allieva della Scuola Convitto di Gorizia, è gettata nel pieno della guerra, in una città culturalmente di confine, fra tedeschi, fascisti italiani, partigiani sloveni di Tito e, poi, partigiani italiani. Da infermiera, entra in contatto con la resistenza curando partigiani sloveni feriti e con rapida maturazione politica, passa dalla loro parte superando, con grande forza di pensiero, tutte le remore dell’educazione cattolica di una ragazza di paese della pianura friulana.
Il pregio dei Diari sta nella capacità di narrare, con un linguaggio limpido e fermo, questa esperienza intensissima, senza mai perdere il filo, cercando una nuova se stessa nell’accettazione del rischio estremo in nome di una solidarietà umana che diventa ben presto consapevolezza politica.
La qualità dei testi sorge da una scrittura capace di dare forma a emozioni fortissime in situazioni che richiedevano prontezza di decisioni, intelligente coraggio, prudenza e anche astuzia di fronte alle mille insidie di un contesto sociale in cui il nemico si annidava ovunque, fra conoscenti e amici, terrorizzando e corrompendo.
Maria Antonietta Moro non parlò presumibilmente con nessuno di questi Diari. Certamente non con la figlia Lorena, che li trovò in un cassetto pochi giorni dopo la sua morte. La decisione di pubblicarli è nata, superando comprensibili resistenze, come risposta alla domanda implicita nel fatto di aver conservato questi scritti per una vita intera e di averli lasciati all’unica persona che, trovandoli, avrebbe potuto raccogliere l’eredità affettiva, generazionale e politica di una pratica di lotta e di cura della vita.
Insieme ai Diari si pubblicano anche alcune lettere fra Maria Antonietta Moro, allora partigiana garibaldina “Anna”, e il comandante Ario della Divisione di pianura “Mario Modotti”, nome di battaglia di Ardito Fornasir, che, incontrato nel fuoco della Resistenza, diventerà poi, a guerra finita, suo marito.
Dopo la guerra Maria Antonietta Moro, fu completamente assorbita nella cura della famiglia, per varie ragioni eccezionalmente impegnativa, cui rivolse l’energia, l’intelligenza e l’amore, che così vivi si leggono nei ­Diari.

I testi sono accompagnati da un inquadramento storico a opera di Anna Di Gianantonio, da una riflessione sulla scrittura di Gabriella Musetti e da un partecipe commento della figlia Lorena.
Il dono materno



di Lorena Fornasir
Sono vissuta accanto a mia madre per una vita intera senza conoscerla. Quando avrei potuto non le ho chiesto e ora mi rimane questa parentesi incompiuta abitata da un corredo di domande sospese sul filo della memoria.
«Saluta Anna, la coraggiosa» conclude la lettera di un compagno di partito rivolta a mio padre alla fine della guerra. Parole che mi restituiscono un’immagine forte di lei, aprendo uno iato tra il suo tempo storico e la mia rappresentazione di quel suo stesso tempo che mi appariva eroico ma astratto.
Chi era mia madre? Di lei so ciò che amavo conoscere nel modo distratto con cui una figlia volge lo sguardo sul proprio genitore mentre è catapultata nella vertigine della vita che scorre. Una madre è una madre, non è mai una persona intera. Ero convinta che lei fosse esattamente quella che vedevo, quella che stava vivendo e agendo e che, come dice Adriana Cavarero1, quella fosse la sua identità, la sua storia. La fitta elegante scrittura che sgrana le pagine di fogli ormai scoloriti parla invece della sua giovane esistenza come di una terra di frontiera abitata da esperienze a volte estreme, spesso sulla soglia del rischio incombente. Pensiero femminile e pensiero politico si fondono in lei in una pratica della cura che è amore per la vita e insieme percorso e maturazione dentro il conflitto storico e individuale.
Nel “Quaderno del Tripartito” trovo questo appunto dell’aprile del ’45: «Se non avessi questo folle terrore degli inglesi partirei per Gorizia2, ma così come faccio?» Addentrandomi nella lettura ricostruisco che i tedeschi, a conoscenza del fatto che mia madre era un’infermiera, le avevano sequestrato la bicicletta per obbligarla a curare i feriti nemici. In realtà era una partigiana, anzi, una staffetta della divisione Garibaldi di pianura ma in quel momento risultava ufficialmente una sfollata: «Ma quante anime ho nel mio corpo? Certo è che oggi ne debbo avere almeno una ventina e aumenteranno di gran numero se gli insetti tedeschi non mi ritorneranno la bicicletta. Quegli indiavolati me la dovevano riportare ancora martedì e oggi è giovedì e ancora non si vede nessuno e io debbo andare da Abele. Non ho neanche potuto dormire stanotte dalla rabbia, sono nervosissima»3.
Chi era dunque mia madre nel ’45? E chi era nel ’43? Alla domanda «tu chi sei?», nel bellissimo racconto di Karen Blixen4, il cardinale replica «Risponderò con una regola classica: racconterò una storia».
Ora che non ho più mia madre, ho anch’io una storia da raccontare, una mappa di sentimenti da ridisegnare. Non è una narrazione. Non è una biografia. È un donopost mortem, la relazione con un’altra donna che non è mia madre eppure lo è. È il racconto di un legame fatto non di ricordi e rimpianti, ma di contatto con quel suo pensiero5 che nasceva nell’azione e con quella parte di lei che mi giungeva sconosciuta. La sua cura, in vita, è stata quella di ritrarsi per “farmi spazio”, per non occupare con la sua figura il mio immaginario infantile in cui, sicuramente, si sarebbe insediata come un mito. La lingua materna, però, non ha bisogno di narrazioni eroiche, sa semplicemente essere là dove serve. Ora, la sua perdita si manifesta in modo sorgivo: arretrando per sempre nella morte, mi lascia il dono di una trasmissione affettiva e generazionale, una consegna tutta femminile del prendersi cura proprio di quella cura che serve per “mettere al mondo la vita”. Ed è a partire dalla sua mancanza che prende forma questa narrazione, poiché ciò che dà forma alla nostra vita è anche ciò che più ci manca.
Il suo diario politico e un piccolo carteggio fra lei e mio padre scritti fra il ‘43 e il ’45 sono la “storia” che mi ha lasciato.
Chi era mia madre l’ho dunque scoperto dopo averla perduta, quando la sua morte mi ha restituito ciò che di lei mi giungeva lontano e in parte ignoto. Conoscevo la sua forza, il suo coraggio, il suo amore per la vita, la ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. informazioni
  3. frontespizio
  4. foto 1
  5. Prefazione
  6. Il dono materno
  7. Quaderno del “tripartito”
  8. foto 2
  9. foto 3
  10. foto 4
  11. Album da disegno “Giotto”
  12. foto 5 e 6
  13. foto 7
  14. foto 8
  15. Lettere
  16. foto 9
  17. Autobiografia di una partigiana. Valore della memoria, della scrittura
  18. L’esperienza controcorrente della partigiana “Anna” tra Gorizia e la Destra Tagliamento
  19. la casa editrice