La ragazza che ero, la riconosco
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La ragazza che ero, la riconosco

Schegge di autobiografia femminista

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La ragazza che ero, la riconosco

Schegge di autobiografia femminista

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Molte donne, nei primi anni '70, partecipano al movimento femminista che riempie le piazze in tutta Italia. Anche a Genova accade, ma, oltre ai cortei, quelle giovani donne fanno anche un lavoro più nascosto, riunendosi in collettivi nelle case e nelle sedi che la politica povera della sinistra extraparlamentare poteva mettere a disposizione in quegli anni. Quel lavoro, vera e propria pratica politica definita "autocoscienza", che era un sedersi in cerchio in piccoli gruppi consentendo a ciascuna di parlare partendo da sé, ha segnato la vita di tutte e l'eredità che le ragazze del '68 lasciano alle donne venute dopo. Perché sono diventate femministe? Come mai quella scelta ha cambiato la loro vita? A quarant'anni di distanza, dieci protagoniste di quel collettivo femminista genovese si sono rincontrate, per raccontare che cosa è successo nel frattempo a ciascuna di loro e al mondo. In queste autobiografie le autrici illuminano una stagione di impegno e passione ancora troppo lacunosamente ricostruito, affondando nella storia personale di ognuna, nelle differenze di classe, nelle reciproche relazioni e nelle vicende di una città, dal dopoguerra a oggi.Le autrici: Maria Alacevich, Marta Baiardi, Rossana Cirillo, Maria Pia Conte, Silvia Neonato, Marina Olivari, Giulia Richebuono, Giovanna Sissa.In appendice: Elvira Boselli, Francesca Dagnino.

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Informazioni

A Margherita
La foto di copertina è di Maddalena Bartolini
© 2020 iacobellieditore
Prima edizione elettronica luglio 2020
Prima edizione stampa dicembre 2017
Tutti i diritti riservati
www.iacobellieditore.it
isbn elettronico 978-88-6252-561-9
isbn stampa 978-88-6252-397-4
Maria Alacevich, Marta Baiardi, Rossana Cirillo, Maria Pia Conte, Silvia Neonato, Marina Olivari, Giulia Richebuono, Giovanna Sissa
LA RAGAZZA CHE ERO,
LA RICONOSCO
Schegge di autobiografie femministe
a cura di Silvia Neonato
contributi di Elvira Boselli e Francesca Dagnino
iacobelli editore
Ringraziamenti
Grazie a tutte le persone che con il loro impegno hanno fatto sì che il nostro percorso di scrittura collettiva sia diventato questo libro, il prodotto cartaceo che teniamo nelle mani.
Grazie in primo luogo ad Anna Maria Crispino, che ha creduto e scommesso sul nostro lavoro.
Grazie alla instancabile e concreta energia di Silvia Neonato, una delle autrici che, con la sua professionalità e passione, è stata determinante in fase di pubblicazione.
E infine grazie a Maddalena Bartolini che ha realizzato la foto di ­copertina.
Prefazioni
Marta Baiardi: Il perimetro favoloso
Raccontare i fatti propri nel primo Novecento
Agli inizi del Novecento due donne appassionate e amiche fra loro, affrontarono una dura polemica sulla legittimità del raccontare per iscritto le proprie vicende private. Sibilla Aleramo aveva sottoposto il manoscritto di Una donna all’amica Ersilia Majno, voce autorevole del primo femminismo italiano, provocandone la più viva disapprovazione:
Hai tu pensato che tuo figlio leggerà un giorno il tuo libro e ti giudicherà? Senza dire di altre persone che lo leggeranno e ti ravviseranno, si ravviseranno in tutti i particolari che esponi intorno a te e alla tua famiglia e potranno pensare che se un orgoglio sconfinato ha potuto farti credere interessante e ragione di un’opera artistica, denudarti così davanti al pubblico, v’è però una misura anche per certe confessioni.1
La disapprovazione della Majno è durissima: «denudarsi» è un oltraggio al pudore, scrivere di sé vuol dire esporre irresponsabilmente anche i propri cari, ma soprattutto vuol dire possedere «un orgoglio sconfinato» nel credersi interessanti. L’Aleramo risponde con altrettanta veemenza: dice di non aver puntato alla celebrità artistica ma di aver voluto fare «opera di verità» per dare giusto rilievo alla «vita della donna al giorno d’oggi». Soprattutto rivendica di aver pensato a suo figlio «a ogni riga» e anzi di aver scritto con sincerità proprio in sua difesa.
Ma quel che la Majno rimprovera all’Aleramo non riguarda solo la necessità di porre limiti alle confessioni, in realtà attacca anche i contenuti stessi dell’esperienza esistenziale dell’amica: aver lasciato il marito e il figlio per seguire un altro uomo. Sibilla era colpevole agli occhi di Ersilia per aver voluto soddisfare i suoi «istinti» riponendo negli uomini un’eccessiva fiducia:
Da quanto narri e dalla tua vita attuale provi d’aver conservato una bella fede negli uomini. […] Nel tuo caso specialmente mi strapperei il cuore piuttosto che amarne ancora uno illudendomi che la felicità possa esser lì. La felicità, per noi che siamo madri, sta nel formare la coscienza dei nostri figli, nell’agire per purificare l’ambiente dove vivranno […]. Le nostre vie sono ben diverse anche ed essenzialmente forse perché tu sei giovane e ottimista, io sono vecchia, e ereditai da mia madre certamente un’assenza assoluta di fede sulla specie di felicità che ci può dare l’uomo.2
Ersilia Majno, di diciassette anni più vecchia di Sibilla, era di una inflessibilità monastica. All’inizio del secolo proprio mentre stava organizzando l’Unione Femminile, nel giro di quattro anni le erano morte – che cosa cruda! – le sue due figlie, Mariuccia nel 1901 e Carlotta nel 1905. Ersilia tese da allora a rappresentarsi come «simbolo della maternità martirizzata»3, impegnata ad alleviare le sofferenze di madri e bambini. Sibilla l’aveva irrimediabilmente delusa sul piano della letteratura e su quello esistenziale. Una donna raffigurava una critica troppo radicale al sacrificio femminile di sé richiesto alle donne sull’altare del matrimonio e della maternità; d’altro canto la centralità dell’amore, i «desideri di donna» di Sibilla incarnavano uno stile di vita sconveniente, per Ersilia inaccettabile. La polemica tra le due amiche non impedì il successo del libro della Aleramo, ma nemmeno si placò, e portò anzi a una rottura fra loro resa ancor più dolorosa proprio dalla morte di una delle figlie della Majno non molto tempo dopo questa loro lite4.
Molta sostanza c’era dietro quella contesa fra la «monaca laica»5 Ersilia e la spregiudicata Sibilla: si trattava di «questioni nodali per l’identità femminile e per le sue modalità di espressione e di riscatto»: «gridare o tacere il proprio strazio di donne; insegnare “confessandosi” o vincere se stesse, e lavorare sottraendosi all’egoismo del dolore privato; accettare e addirittura cercare la solidarietà e l’appoggio maschile o fondare la propria forza su se stesse, sulle donne, sulla loro storia»6?
Rimangono questioni aperte che si pongono con più forza ancora proprio oggi, nella nostra epoca cannibale che tende a mercificare e spettacolarizzare le vite private riducendole a una morta e meccanica serialità.
Raccontare i fatti propri oggi
Una piccola increspatura
In tempi di narcisismo autonarrativo, dunque ecco che anche noi, femministe d’epoca, forse un po’ imprudentemente siamo a proporre una raccolta di testi autobiografici. Non facilmente ci siamo risolte a farla uscire. Anzi, quando è maturata l’idea che i nostri scritti non avrebbero girato solo fra noi ma sarebbero diventati un libro, si è insinuata una certa inquietudine: qualcuna ha cominciato a tagliare qua e là, qualcuna ha cambiato argomento, qualcuna ha cominciato a far l’elenco di parenti, amici, vecchie mamme, ex fidanzati che si sarebbero offesi o dispiaciuti. Che dire poi delle reazioni di figli e nipoti? Con un certo sgomento abbiamo immaginato le critiche, i rimproveri, le risatine che svolazzeranno intorno a noi; e poi ancora il gioco dei riconoscimenti, i «ma davvero?», i «guarda un po’ chi l’avrebbe mai detto», sempre inevitabili dietro ogni racconto del sé.
Abbiamo meditato con molti patemi su quanto la consistenza e la permanenza degli scripta rispetto ai verba avrebbe potuto diventare pesante. Ma alla fine tuttavia, dopo aver messo tutto in conto abbiamo deciso che il gioco valeva la candela: si trattava di imbarazzi e turbamenti che potevamo sopportare.
Ci siamo lasciate confortare dal sapere che non eravamo noi – povere untorelle – né le prime né le uniche a star dentro alle contraddizioni (e alle complicazioni) del raccontare i fatti propri, fin da quando avevamo cominciato: dalla rivoluzione dell’autocoscienza, a noi così cara, che portò in politica il privato con le conseguenze positive e negative che ciò ha comportato nella storia delle donne e di tutti.
Senza montarsi la testa, ci piacerebbe che anche questi nostri scritti potessero immettersi, come una piccola increspatura, nel solco grande della rivoluzione delle donne, cominciata ormai più di cento anni fa e ancora in corso.
Grazie, Genova
«Chi arrivava al collettivo, aveva come… un graffio», ha dett...

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