L’idea fissa e le sue caratteristiche
Due idee fisse non possono, nel mondo morale, coesistere, nella stessa maniera che, nel mondo fisico, due corpi non possono tenere un solo e medesimo luogo.
Aleksandr Puškin
Fin dai tempi della liberazione, e forse fin da prima, quando bambina nel suo paese vedeva partire gli emigranti per l’America, e dall’America tornare i milionari, essa aveva sognato l’America, come un paradiso in terra. Era un’idea fissa, radicata, tetragona a qualunque esperienza.
Mario Soldati
Idea fissa
Il termine di «idea fissa», in tedesco fixe Idee, ricorre continuamente nei diari di Ellen West e in quelli del marito, ed è sicuramente il termine maggiormente usato da entrambi per definire la malattia di cui Ellen soffre. Già molto presto, cioè almeno dall’agosto del 1919, e dunque ben prima di cominciare ogni terapia psicoanalitica, Ellen West parla della propria malattia come di un’idea fissa e questa definizione sarà da lei utilizzata fino alla fine.
Ecco soltanto alcune delle tante ricorrenze:
«La paura di diventare grassa è diventata un’idea malata […]. In questo momento sono terribilmente giù, perché mi rendo conto che così non posso continuare a vivere, e tuttavia non riesco a credere né a sperare che qualcuno possa liberarmi da questa idea fissa che minaccia di dominare la mia intera esistenza»; «Anelo a liberarmi dalla mia idea fissa, ma se il mio proprio intelletto non riesce a farlo, chi mai ci riuscirà?»; «Peccato che non ci sia alcun rimedio contro le idee fisse, o meglio ancora un rimedio contro il diventare grassa»; «Oggi dagli Hattingberg non ho avuto più ritegno e ho raccontato tutto di me e della mia idea fissa»; «Vorrei poter dire: “Ho abbandonato la mia idea fissa”. Il mio intelletto l’ha detto da molto tempo, ma qualcosa in me non lo segue. Qualcosa in me, che è molto più forte del mio intelletto, si aggrappa all’idea fissa»; «Posso senz’altro comprendere la mia idea fissa come colpa […]. Era egoismo da parte mia ignorare tutti i doveri della vita reale e vivere solo secondo la mia idea fissa»; «La mia idea fissa è così forte che io spesso ho paura di guarirne: perché allora diventerei grassa!»; «L’idea fissa era malata fin dal giorno in cui è sorta». Oppure, nelle parole del marito: «Lei dice di aver perso il contatto con la vita […]. Dice che la sua idea fissa è così forte che niente può resisterle, che non vuole in alcun modo ingrassare, che difende questa idea come una leonessa difende il suo cucciolo»; «B.[inswanger] viene prima di pranzo. E. gli dice che, anche dopo la scomparsa della melanconia, l’idea fissa che ha da tanto tempo sarà sicuramente ancora lì a tormentarla, e che quindi non vale la pena continuare a vivere»; «Dice che al centro di ogni cosa sta l’idea fissa. Dice che l’idea fissa è il conflitto cui soccombe […]. Sente che la melanconia va diminuendo, anche se durerà ancora per tutta l’estate. Ma che tanto più cresce l’idea fissa che non le lascerà mai più vivere una vita normale»; «Dice che, se non avesse l’idea fissa, ora sarebbe sana» (Ellen West, pp. 33, 34, 39, 41, 59, 73, 96, 97, 102, 107, 110-111, 118). Il primo dei frammenti citati è tratto da una lettera di Ellen West del 4 agosto 1919 indirizzata all’amica Emma, l’ultimo frammento è tratto da un diario di Karl West del 17 marzo 1921.
L’idea fissa non è soltanto, e forse neanche principalmente, una nozione clinica. Uno dei pochi che, come vedremo nella seconda parte di questo scritto, ne abbia fatto un essenziale uso teorico e clinico, anche in rapporto a casi di anoressia, è stato il filosofo, psicologo e medico francese Pierre Janet. L’espressione era sicuramente conosciuta, anche se con significati e accentuazioni diverse, nella psichiatria tedesca della seconda metà dell’Ottocento, ma è usata molto di rado dai terapeuti che hanno avuto in cura Ellen West. Binswanger talvolta la usa, ma soprattutto parlandone con Karl West o virgolettandola, come se, appunto, si trattasse di una citazione altrui, di Ellen o del marito. Alfred Hoche, proprio al momento del consulto sul caso West, parla di überwertige Idee, di «idea dominante», che è anche uno dei modi con cui è stata tradotta in tedesco l’espressione francese idée fixe.
Riflettiamo un momento sul sintagma idea fissa. L’idea fissa è innanzitutto un’idea, cioè una produzione mentale e un concetto filosofico che, almeno da un certo momento in poi della sua storia, sembra avere uno statuto di realtà incerto che spesso deve cercare o dimostrare di avere soltanto après coup. In questo senso, l’idea è sempre esposta al rischio del solipsismo, cioè a una ricaduta soggettiva e a una chiusura nei confronti del mondo esterno. Nell’idea fissa, il solipsismo già insito nell’idea si accentua a causa della sua irremovibilità che, per mantenersi tale, non può che prescindere dalle relazioni e dai cambiamenti esterni. Per certi aspetti, l’idea fissa può apparire perfino più tetragona e refrattaria del delirio psicotico che, se non altro per la sua forma intrinsecamente linguistica, risulta spesso “adressé”, rivolto a qualcuno, presente o assente, reale o immaginario che sia. Ed è probabilmente a causa di questo intimo fondo restio e intransitivo che l’idea fissa finisce spesso per suscitare rifiuto, antipatia e noia in coloro che non ne hanno mai fatto individualmente l’esperienza, ma sono costretti ad assistere ai suoi effetti devastanti in un altro. A maggior ragione se quest’altro è qualcuno al quale si è legati da sentimenti d’amore, d’affetto o da una relazione di cura.
L’idea fissa, in quanto fissa e in quanto idea, appare quindi agli occhi esterni come un principio chiuso e sottrattivo, come un grumo granitico di resistenza che risucchia e riassorbe dentro di sé ogni affetto. Questa resistenza quasi autistica imprigiona il soggetto in una sorta d’immobilità e d’identica ripetizione che ne assottiglia il margine di libertà, cioè la possibilità di mutare creando un nuovo inizio, almeno nell’area determinata dall’idea fissa. In un passo dell’Espace littéraire, Blanchot dice: «L’idée fixe n’est pas un point de départ, une position d’où l’on pourrait s’éloigner et progresser, elle n’est pas commencement, mais recommencement» (Blanchot, p. 352).
Da questo punto di vista, l’idea fissa sembra assomigliare piuttosto alle patologie di dipendenza dall’alcool o dagli stupefacenti che, in alcune fasi cruciali, nella crisi d’astinenza per esempio, tagliano fuori il soggetto dalle relazioni interumane, perché calamitano l’intera attenzione, l’affettività, la vita psichica e mentale in un punto: nella ricerca spasmodica o nella vera e propria caccia alla bottiglia o alla dose, provocando un’angosciosa sensazione d’impotenza in chi gli stia accanto. L’idea fissa sarebbe quindi in qualche modo apparentata con la famiglia delle patologie mentali che producono assuefazione: spesso, infatti, si costituisce come un’abitudine, un habitus, un modo d’essere, talvolta perfino come un’identità, senza tuttavia toccare – come appare chiaramente sia nelle forme ipocondriache sia nei disturbi del comportamento alimentare – quello che mi piacerebbe chiamare il «dispositivo mentale» del soggetto, cioè le sue capacità percettive, intellettive, di giudizio e riflessione critica. L’idea fissa può perciò apparentemente convivere con una certa normalità, anche se a prezzo di sofferenza e fatica estreme. Può convivere con una certa normalità, almeno finché, come accade proprio nel caso di Ellen West, non si dia in una polarità talmente conflittuale da rendere la vita letteralmente impossibile.
La patologia di Ellen West, che lei chiama idea fissa, si concentra interamente in un punto. Non ha bisogno di moltiplicare i suoi punti d’attacco e lascia intatta la chiarezza di giudizio, l’affettività, e per certi versi anche il modo di interagire con gli altri. Come abbiamo visto, i vari medici e psichiatri consultati, e non solo quelli che si sono direttamente occupati del caso, esitano a lungo intorno alla diagnosi: si parla di melanconia, soprattutto quando la patologia si associa a tratti depressivi, si parla di disturbi fisici a carico della tiroide, di disturbi psicogeni, di nevrosi ossessiva, almeno nel caso dei due terapeuti che avevano deciso di curarla con la psicoanalisi, di psicosi maniaco-depressiva e, infine, di schizofrenia. Ma la diagnosi più precisa e calzante, almeno dal punto di vista descrittivo, è quella data da lei stessa. Secondo quanto è riportato dal marito il 17 marzo 1921, durante una passeggiata Ellen West formula così la sua diagnosi:
Un nome per la malattia non lo conosco. La si può chiamare nevrosi ossessiva o chissà come, in ogni caso è un difetto mentale in un punto preciso. La diagnosi di melanconia è insensata. È certo che ora ho avuto una melanconia, e che ancora ci sono dentro, anche se sta chiaramente regredendo; ma l’essenziale è il difetto mentale. Avrò sempre un’inclinazione alla malinconia, a qualcosa di maniacale. Questo non farà che accrescere le mie sofferenze, ma non è determinante. Con il mio difetto mentale, invece, che tocca cose così vitali, io, Ellen F., non posso continuare a vivere (Ellen West, pp. 118-119).
La descrizione che Ellen West dà della propria malattia non è lontana da quella che, più di vent’anni dopo, avrebbe fornito Gebsattel nella lettera a Binswanger del 2 maggio 1943: «Era perfettamente in regola e disturbata solo nell’ambito circoscritto del sintomo» (Ellen West, p. 181). Sempre in questa lettera, Gebsattel parla anche di «folie lucide», che è proprio l’espressione con la quale, secondo Pierre Janet, viene spesso descritta l’idea fissa.
Nel Caso Ellen West Binswanger afferma che «il secondo psichiatra» che aveva partecipato al consulto del 24 marzo – cioè Alfred Hoche – avrebbe definito l’idea di Ellen, «l’idea di voler essere magra», non come un’«idea folle [Wahnidee]», ma come «un’idea dominante», cosa sulla quale Binswanger non concordava (cfr. Binswanger 3, p. 104; trad. it. p. 55). Nella sua Psicopatologia generale del 1923, Karl Jaspers distingue nettamente fra le idee folli o deliranti (Wahnideen) e le idee dominanti o fisse (überwertige Ideen), definendo così queste ultime: «Sono chiamate idee dominanti quelle convinzioni accentuate da un affetto che è reso comprensibile dalla personalità e dal suo destino e che sono erroneamente ritenute vere a causa di questa forte accentuazione affettiva che fa sì che la personalità s’identifichi con esse […]. Vanno rigorosamente distinte dalle idee folli. Le idee dominanti sono in effetti idee isolate che si sviluppano in maniera comprensibile dalla personalità e dalla situazione». Le autentiche idee folli o deliranti, invece, hanno origine in una primaria esperienza vissuta patologica o «richiedono come presupposto per la loro comprensione una trasformazione della personalità» (Jaspers, pp. 89-90).
Nel 1868 il medico e psichiatra tedesco Friedrich Wilhelm Hagen tenne una conferenza dal titolo Fixe Ideen, pubblicata due anni dopo in una raccolta delle sue opere dal titolo Studi nell’ambito della psicologia medica (Studien auf dem Gebiete der aerztlichen Seelenkunde). Secondo Hagen il ruolo delle idee fisse nella patologia mentale è spesso sopravvalutato (la presenza delle idee fisse basterebbe a diagnosticare l’esistenza di una malattia mentale) o sottovalutato (sarebbero comuni a persone sane e a malati mentali e di per sé non sarebbero significative). La sua posizione è intermedia: le idee fisse indicano una patologia mentale quando non si limitano a predominare, come nel caso degli individui sani, ma quando dominano completamente un individuo. In questo caso, esse sono legate all’errore e il loro contenuto implica una falsifica...