Il sesso degli angeli
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Il sesso degli angeli

Pedofilia, femminismo, lgbtq+: il dibattito nella Chiesa

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Il sesso degli angeli

Pedofilia, femminismo, lgbtq+: il dibattito nella Chiesa

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Quando il cardinale Carlo Maria Martini diceva che la Chiesa è "indietro di 200 anni", non citava una cifra a caso: è per reazione alla Rivoluzione francese, infatti, che il cattolicesimo ha congelato la propria morale sessuale, ultimo ambito nel quale, perduto il potere politico, può ancora esercitare un'influenza determinante sui propri fedeli. E così, mentre è evoluta sui fronti più svariati, dal rapporto con le altre confessioni alla dottrina sociale, quando si tratta di sesso Santa Romana Chiesa rimane strenuamente anacronistica. Ma l'epocale crisi degli abusi sessuali ha creato una frattura profonda. E Francesco, un papa non ossessionato dai peccati "sotto la cintura", ha relativizzato molti tabù e fatto spazio alle obiezioni, anche ai conflitti, che covavano da tempo sotto la cenere. Questa inchiesta giornalistica dà voce a attivisti, storici, sociologi, teologi, preti, giornalisti, donne e uomini che in questi anni hanno portato alla luce una "opinione pubblica" cattolica tutt'altro che monolitica e un dibattito ormai non più rinviabile.Iacopo Scaramuzzi è giornalista vaticanista, i suoi articoli sono stati pubblicati su "Askanews", "Gli asini", "Lo straniero", "La stampa", "Jesus", "Famiglia cristiana", "Confronti", "QN", "Pagina99", "Linkiesta".È autore di Tango vaticano (Edizioni dell'asino 2015) e Dio? In fondo a destra (Emi 2020).

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Informazioni

Anno
2022
ISBN
9788863574647

Il tempo del confessionale

Le cose, nel corso del tempo, cambiano, anche radicalmente, e però nella storia di Santa Romana Chiesa il tempo si dilata, alle evoluzioni si accompagnano le involuzioni, non sono rare le frenate, se non le marce indietro… il passato passa, sì, ma in maniera spesso vischiosa. Per un’istituzione depositaria di verità immutabili è irresistibile la tendenza a cristallizzare le idee, l’allergia alla mutevolezza dei tempi, l’indisponibilità a contraddirsi. Il principio di continuità, riassunto nel motto “Ecclesia non facit saltus”, la Chiesa non fa salti, garantisce la perennità del magistero – ma rischia di contraddire il principio stesso a fondamento del cristianesimo, l’incarnazione, Dio che si è fatto uomo: e l’uomo, nel corso del tempo, è cambiato eccome.

La santa regina che si faceva menare dal confessore

Per osservare il tempo della Chiesa, il suo scorrere e il suo rallentare, il confessionale è come un microscopio: da lì sono passati lo scrutinio delle coscienze e della società, l’ammissione della colpa e l’amministrazione della sanzione, la contrizione e la grazia, il confronto tra la libertà individuale e il potere dell’istituzione. Nel corso del tempo i mutamenti sono stati profondi, ma il sacramento della penitenza e della riconciliazione, ossia la confessione a un prete dei propri peccati, ha sempre mantenuto, in particolare, un’accentuata insistenza sul corpo, sulla debolezza della carne, sul sesso insomma.
La confessione così come la si conosce oggi – individuale e reiterata – viene sancita dal Concilio Lateranense IV nel 1215. Prima di allora non era così. Nei primi secoli del cristianesimo si riteneva che per la remissione dei peccati bastasse il battesimo e ogni Chiesa locale gestiva a modo suo il problema dei cristiani che dopo di esso avevano commesso colpe gravi, più preoccupata in realtà di preservare l’integrità della comunità che di assolvere l’individuo scomunicato. A introdurre la confessione sono i monaci irlandesi che, giunti missionari nel continente nel vi secolo, diffondono tra la popolazione l’abitudine, invalsa nei loro monasteri, di confessare le proprie colpe a un padre spirituale. Nasce la penitenza “tariffata” – ogni peccato ha una esatta ammenda da corrispondere – e nascono le prime distorsioni (rouillard, 2005). Un lungo periodo di digiuno, ad esempio, è compensato con degli atti più onerosi, ma più brevi: invece di digiunare per un anno, si possono passare tre giorni e tre notti in una chiesa, o ancor meglio in una tomba, senza mangiare, né bere, né dormire, e recitando salmi; si può riscattare la penitenza con una somma di denaro, o facendo celebrare, dietro adeguato compenso, un certo numero di messe penitenziali; il penitente che disponga di un congruo numero di servitori si può fare aiutare da loro per terminare un digiuno troppo lungo o troppo pesante. Penitenti, sì, ma in senso lato.
Passano i secoli e la confessione assume un’altra funzione: scoprire gli eretici. In Europa si diffondono dottrine contrarie alla Chiesa e i pastori, grazie in particolare al meticoloso aiuto di francescani e domenicani, scovano la violazione dell’ortodossia ricorrendo alla confessione del loro gregge. Lo zelo inquisitorio porta con sé un vaglio sempre più dettagliato e sempre più nell’accompagnamento spirituale si va imponendo l’attenzione alla sfera sessuale. Nascono i manuali del confessore. Nei testi medievali i sacerdoti sono esortati a interrogare scrupolosamente i penitenti, non limitandosi ad ascoltare passivamente, in particolare se c’è il sospetto di adulterio, incesto e – un’autentica ossessione – la masturbazione. Quello dell’onanismo era giudicato un peccato più grave del rapimento e dello stupro di una vergine, o del semplice adulterio con una donna sposata: la teoria del suo male era basata sull’idea che lo sperma contenesse “homunculi”, piccoli uomini, disperdere il seme umano equivaleva dunque all’omicidio plurimo (cornwell, 2014). Non sorprende che per sventare un simile pericolo il sacerdote arrivasse a minacciare la dannazione eterna, l’inferno, o, almeno, la cecità… col rischio però – i manuali più avveduti se ne mostrano consapevoli – che a forza di addentrarsi nel dettaglio delle pratiche di autoerotismo, anziché spaventare il penitente gli si suggerissero, involontariamente, fantasie che ancora non aveva sperimentato.
Se non c’entrava il sesso, era comunque sul corpo, percepito come potenzialmente peccaminoso, specie se femminile, che si accanivano le pratiche di mortificazione ascetiche. La regina Elisabetta di Ungheria (1207-1231), futura santa, aveva un confessore personale, Corrado di Marburg, inquisitore entusiasta, che le impartiva interminabili veglie di preghiera e digiuno; la sovrana arrivò a dormire nello stesso letto con donne lebbrose per essere più vicina al Cristo sofferente; licenziò le sue assistenti di camera e assunse due donne robuste che la schiaffeggiassero, e anche il confessore, occasionalmente, la picchiava lui stesso. Morì a 24 anni.
Arrivò poi il tempo delle indulgenze, del protestantesimo e del Concilio di Trento (1545-1563), che non modificò la disciplina penitenziale ma fece un’opera di codificazione e sistematizzazione teologica in contrappunto ai padri della Riforma, Lutero e Calvino, che contestavano in radice il valore sacramentale della confessione. L’insistenza sulle questioni sessuali si rafforzò, con una controindicazione: alcuni confessori approfittarono delle confidenze sulla sessualità disordinata per eccitarsi e assaltare le penitenti e i penitenti. Gli ecclesiastici più accorti si resero conto della necessità di riformare una pratica ampiamente deteriorata. Si dice che fu il cardinale Carlo Borromeo (1538-1584) a inventare il confessionale: “Consapevole del diffuso abuso sessuale nella pratica della confessione”, racconta John Cornwell nella sua Storia segreta del confessionale, “Borromeo ripristina un sistema pratico per evitare che confessore e penitente abbiano un contatto durante l’amministrazione del sacramento”. Il divisorio di legno tra sacerdote e fedele, però, non bastò, e gli abusi sessuali continuarono.
Tanto che papa Giovanni xxiii emanò nel 1962 la “Crimen sollicitationis”, documento che stabiliva le procedure canoniche quando un chierico veniva accusato di aver compiuto avances sessuali (“sollecitatio”) nel corso della confessione. È la prima normativa adottata in epoca moderna dalla Santa Sede per contrastare gli abusi sessuali sui minori. Il passato a volte non passa.
Ma tornando alla lunga evoluzione della confessione, quella annuale obbligatoria sancita dal Concilio di Trento in risposta alla riforma protestante si rivelerà a lungo andare una “arma a doppio taglio”, spiega lo storico Philippe Rouillard, monaco benedettino: “L’esigenza un po’ pignola della Chiesa in un campo tanto personale si scontrava con le rivendicazioni della coscienza e della libertà. Nel secolo XVIII comincia, soprattutto da parte degli uomini, una diserzione del confessionale che, nel secolo successivo, dopo le ‘conquiste’ e le ‘liberazioni’ della Rivoluzione francese, si trasformerà in ostilità dichiarata nei confronti della confessione e, di conseguenza, nei confronti della Chiesa. Da quando la Riforma protestante ha liberato i suoi seguaci dall’obbligo della confessione, la Chiesa cattolica è l’unica a dare una tale importanza alla confessione dettagliata dei peccati. Tra la Riforma e la Rivoluzione, non è stato unicamente un sacramento a essere messo in discussione, bensì un’immagine della Chiesa che imponeva un obbligo troppo pesante a uomini avidi di libertà”.
Una tendenza che si accentua nei secoli successivi fino al giorno d’oggi. Non dovunque in modo omogeneo: nei paesi di nuova evangelizzazione la confessione vive una certa vitalità, ma in Europa e in Occidente le statistiche registrano un calo costante delle persone che si rivolgono al confessionale per affrontare i propri nodi interiori. E, d’altronde, i cristiani credono sempre meno all’inferno: se non c’è il rischio di bruciare in eterno, che senso ha consumarsi nella resipiscenza e nelle penitenze? In parallelo si diffondono nuove discipline, in primis la psicanalisi, che fanno concorrenza al padre spirituale nella guida all’interiorità delle persone.
La svolta, per la Chiesa, arriva con il Concilio vaticano ii (1962-1965), che coraggiosamente prende atto che è cambiata un’epoca. “I padri del Concilio non sono stati ossessionati dal peccato e dalla confessione”, nota Rouillard: quest’ultimo termine, tanto frequente nei documenti tridentini, nei testi pubblicati dal Vaticano ii non appare nemmeno. La Chiesa si accosta all’umanità, al Concilio, con benevolenza, senza moralismo, rispettosa della coscienza individuale. La pubblicazione di un nuovo “Rito della penitenza” (1974-1978) pone le basi, almeno in teoria, per una reinterpretazione della confessione che manda in cantina anacronistiche pratiche penitenziali e mette l’accento sul perdono e la riconciliazione.
Eppure il passato non è passato del tutto. Se papa Francesco ha ripetutamente esortato i confessori a non indulgere in domande morbose o in un’eccessiva durezza di giudizio è perché nella Chiesa convivono, ancora al giorno d’oggi, sensibilità diverse e, per così dire, epoche diverse.
Bastino due brani pronunciati dal pontefice argentino per cogliere la fatica dell’insieme della Chiesa a recepire le indicazioni del Concilio vaticano ii: il sacramento della riconciliazione “rende presente con speciale efficacia il volto misericordioso di Dio: lo concretizza e lo manifesta continuamente, senza sosta. Non dimentichiamolo mai, sia come penitenti che come confessori: non esiste alcun peccato che Dio non possa perdonare!”, disse già nel 2015: “La Confessione non deve essere una ‘tortura’, ma tutti dovrebbero uscire dal confessionale con la felicità nel cuore, con il volto raggiante di speranza, anche se talvolta – lo sappiamo – bagnato dalle lacrime della conversione e della gioia che ne deriva. Il Sacramento, con tutti gli atti del penitente, non implica che esso diventi un pesante interrogatorio, fastidioso ed invadente. Al contrario, dev’essere un incontro liberante e ricco di umanità, attraverso il quale poter educare alla misericordia, che non esclude, anzi comprende anche il giusto impegno di riparare, per quanto possibile, il male commesso. Così il fedele si sentirà invitato a confessarsi frequentemente, e imparerà a farlo nel migliore dei modi, con quella delicatezza d’animo che fa tanto bene al cuore – anche al cuore del confessore!” (papa francesco, 2015). Rivolto direttamente ai confessori che inviò in giro per il mondo a conclusione del Giubileo della misericordia, un anno dopo Jorge Mario Bergoglio avvertì: “Voi avete sentito, anch’io ho sentito, tanta gente che dice: ‘No, io non ci vado mai, perché sono andato una volta e il prete mi ha bastonato, mi ha rimproverato tanto, o sono andato e mi ha fatto domande un po’ oscure, di curiosità’… Per favore, questo non è il buon pastore, questo è il giudice che forse crede di non aver peccato, o è il povero uomo malato che con le domande è incuriosito” (papa francesco, 2016).

Due manuali del confessore a confronto

Per apprezzare meglio quanto sia cambiata, negli ultimi decenni, la disciplina della confessione si possono raffrontare due manuali del confessore. Partiamo da un testo classico pubblicato prima del Concilio vaticano ii ma ancora oggi molto apprezzato da lefebvriani e tradizionalisti vari, Per meglio confessare del padre Albert Chanson (chanson, 1956).
I sette vizi capitali sono tutti scrutinati ma ai peccati di impurità è dedicato uno spazio preponderante e un linguaggio particolarmente acuminato: l’atto coniugale al di fuori del matrimonio “deve essere paragonato all’accoppiamento momentaneo delle bestie”, vi si legge. E, a proposito di zoofilia, si precisa che “in certe zone di campagna dove la ‘bestialità’ è relativamente frequente, il Confessore potrebbe interrogare, quando risultasse verosimile che il Penitente abbia commesso questo peccato: ‘Vi siete comportato in modo tale che un animale si sarebbe scandalizzato, se lo potesse fare?…’”.
Prima ancora del matrimonio, ci sono indicazioni molto dettagliate sul comportamento ai quali sono tenuti i fidanzati: “Sono permessi gli abbracci onesti, che hanno per scopo di manifestare e fomentare l’amore che deve esserci tra i fidanzati. Anche se questa testimonianza di affetto producesse un piacere d’ordine sessuale, i fidanzati possono permetterselo, a condizione però che questo piacere non sia direttamente voluto (…). Però, quando ci si accorge che sta per prodursi la polluzione, bisogna, per quanto è possibile, interrompere queste manifestazioni di affetto. È proibito ogni gesto che di per sé produce un piacere sensuale. Ad esempio toccamenti indecenti; bacio sulla bocca, quando è fatto da ambedue c...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione
  2. Abusi, la parola liberata
  3. La rivolta delle donne
  4. “Sono andati in frantumi il silenzio e l’obbedienza”
  5. Il tempo del confessionale
  6. Il campo di battaglia tra papi e moderno
  7. Scisma di destra, scisma di sinistra
  8. Ieri l’Humanae vitae, oggi le identità sessuali
  9. … ma Gesù non era ossessionato dal sesso
  10. Note