1. Platone, mamma Demetra
e il drink allucinogeno
Alfred North Whitehead (1861-1947), grande matematico e filosofo inglese, è noto per aver fissato – con sottile umorismo british – una delle più grandi verità sul pensiero occidentale.
La caratterizzazione più fondata della tradizione filosofica europea è che essa consiste di una serie di note a piè di pagina di Platone.1
Tradotto dal linguaggio accademico, vuol dire che tutta la filosofia che conta è riassumibile nell’opera di Platone, e il resto (cioè il lavoro di tutti i filosofi degli ultimi ventiquattro secoli) sono solo commenti, aggiunte, appunti a margine. Non è un’esagerazione, anzi, è un buon modo, molto inglese e sobrio, per dire che Platone nella storia del pensiero è semplicemente il più grande.
La sua influenza è stata (ed è) totale, anche se non piace, anche se lo si trova superato, ingenuo, passé, non c’è storia: si parte da lui, e si torna sempre a lui, è letteralmente l’alfa e l’omega. Non importa chi sei, quanti dottorati hai conseguito, quante opere portanti della storia del pensiero hai scritto: Platone è comunque il papà che ti porta a scuola, che torna a prenderti, e che con tenerezza ti chiede cosa hai imparato di bello oggi.
La comunità filosofica mondiale è abbastanza concorde su questo, e se qualcuno lo nega è solo perché vive la cosa con comprensibile frustrazione; ma se quella frase di Whitehead ha incorniciato per sempre l’importanza di Platone, noi qui ci assumiamo la responsabilità di completare il quadro, perché possiamo essere abbastanza sicuri che le grandi illuminazioni di Platone fossero legate a un suo vecchio trip psichedelico. E dunque – che Aristotele ci perdoni – se un trip psichedelico ha influenzato Platone, e se Platone ha influenzato tutta la storia della filosofia, ne deduciamo che un trip psichedelico ha influenzato tutta la storia della filosofia.
Per dare un senso a quest’ambizioso sillogismo dobbiamo fare (anche noi) un bel viaggio.
Al tempo in cui viveva Platone, accanto alla religione di massa degli antichi Greci, fatta di sacrifici, cerimonie di massa e templi come chiunque li immagina, c’erano altri culti paralleli, riservati a pochi eletti, ma al tempo stesso aperti a tutti, qualcosa che può sembrarci contraddittorio: uomini, donne, anche bambini, addirittura gli schiavi – tranne gli stranieri e gli assassini – potevano guadagnare l’accesso a un rito di iniziazione, nel quale ricevevano l’epoptéia, la visione di una realtà nascosta e meravigliosa. Erano i culti dei Misteri.
Si chiamavano così perché c’era di mezzo un essere divino o semidivino che moriva e resuscitava. In questo modo, egli diveniva un prezioso testimone dei segreti dell’aldilà, e dunque poteva rivelarli a chi si sarebbe dimostrato degno di una simile conoscenza. Avete presente la grande, eterna questione dell’umanità? Dove andiamo? Che succede dopo la morte? Marciremo sottoterra, oppure c’è qualcosa di più? Quali misteri ci attendono? A questa domanda di salvezza i culti misterici fornivano l’offerta: dopo un’accurata preparazione i fedeli potevano ricevere la grande risposta in un rito iniziatico, non con la solita interrogazione di un oracolo, ma attraverso una folgorazione interiore, una visione divina che gli permetteva di apprendere cose speciali in modi speciali.
Non ci sono rimaste molte informazioni sui culti misterici, solo sprazzi e frammenti, ma sappiamo che all’epoca di Platone i Misteri più importanti si celebravano in una città a ovest di Atene, Eleusi, che dava il nome al culto stesso. In mezzo agli altri Misteri (tipo quelli di Orfeo, o quelli di Dioniso, che avevano sempre a che fare con l’aldiqua e l’aldilà) quelli di Eleusi erano i più antichi, i più solenni, i più elevati. Lo storico della filosofia Giorgio Colli li ha definiti una «festa della conoscenza», per questo piacevano molto a Platone, che per la sua filosofia ha preso spunto da quelli, dall’orfismo, dal pitagorismo, e da molte altre fonti. Il segreto per diventare il più grande filosofo di tutti i tempi è saper copiare bene.
La città di Eleusi ospitava un antico santuario della dea Demetra, che era una figura assai importante: era la sorella di Ade e di Zeus, signora della fertilità e delle coltivazioni, molto popolare tra i Greci proprio per questioni di vita e di morte. Senza l’aiuto di Demetra il grano nei campi non sarebbe cresciuto, gli alberi e la terra non avrebbero dato frutti, quindi se i contadini volevano mettere qualcosa fra i denti dovevano venerarla con cura. Demetra era un po’ la grande mamma dei Greci, che nutre e cresce tutti con amore, ma che è meglio non far arrabbiare.
Per certi versi, il culto di Demetra somigliava a quello nostrano di sant’Antonio abate, protettore del bestiame e dei campi, quindi molto caro a tutto il mondo agreste. Ancora oggi, verso il 17 gennaio, a sant’Antonio vengono dedicati i tradizionali falò, una sorta di invocazione del calore della primavera affinché venga presto e metta fine alla stagione della fredda morte.
Anche con Demetra si faceva qualcosa del genere, proprio a Eleusi, con una cerimonia pubblica alla fine dell’inverno (i Piccoli Misteri) e un’altra più importante alle soglie dell’autunno, in parte pubblica e in parte iniziatica (i Grandi Misteri), e stando a quello che ci dicono i testimoni forse il rito misterico era un po’ più emozionante del fuoco e delle orazioni a sant’Antonio.
E giunta alla morte, l’anima prova un’emozione come quella degli iniziati ai Grandi Misteri. Perciò riguardo al «morire» e all’«essere iniziato», la parola assomiglia alla parola, e la cosa alla cosa. Anzitutto i vagabondaggi, i ritiri logoranti, e certi cammini senza fine e inquietanti attraverso le tenebre. In seguito, proprio prima della fine, tutte quelle cose terribili, i brividi e i tremiti e i sudori e gli sbigottimenti. Ma dopo di ciò, ecco viene incontro una luce mirabile, ad accogliere sono lì i luoghi puri e le praterie, con le voci e le danze e la solennità di suoni sacri e di sante apparizioni.2
Chi racconta è Plutarco, e in questo passo descrive ciò che l’anima vede e prova al momento della morte. Si dirà: ma come faceva a saperlo (o a credere di saperlo) con tanta precisione?
Plutarco lo sapeva perché, appunto, era anche ciò che accadeva durante i riti di Eleusi, in cui i partecipanti ricevevano una sorta di «anteprima» dell’aldilà, e non era una cosa leggera, anzi, per loro erano letteralmente cose dell’altro mondo, sconvolgenti, preziose e per questo riservate a pochi. Chi tradiva la segretezza faceva una brutta fine, e questo certamente non ha aiutato a diffondere i dettagli dei riti, perciò quel poco che è rimasto è estremamente prezioso per provare a capire, come per esempio questo passo di Aristotele.
Gli iniziati non devono imparare qualcosa, bensì subire un’emozione ed essere in un certo stato, evidentemente dopo essere divenuti capaci di ciò.3
L’ineffabile epoptéia dei Misteri, dunque, non si insegnava agli studenti come una disciplina qualunque, parlando e ragionando. Prima di tutto, essa poteva essere trasmessa solo a chi si era preparato a riceverla, a chi era divenuto capace di ciò. Secondo, la rivelazione comportava una grande emozione, un’esperienza eccezionale che lasciava negli iniziati una forte impronta interiore.
I Misteri di Eleusi erano incentrati su due dee: non solo Demetra, ma anche sua figlia Persefone, detta la Fanciulla o Kore, simbolo di bellezza e giovinezza. Anche i Romani conserveranno questa coppia di dee, archetipo del rapporto tra madre e figlia, e per loro saranno Cerere e Proserpina, come testimonia lo scrittore latino Apuleio, che qualche secolo dopo nelle Metamorfosi racconta un’iniziazione misterica.
Raggiunsi il confine della morte, dopo di aver varcato la soglia di Proserpina fui condotto attraverso tutti gli elementi, e ritornai indietro. A metà della notte vidi un sole lampeggiante di fulgida luce. Mi presentai al cospetto degli dèi inferi e degli dèi superni, e proprio da presso li venerai.4
Apuleio parla di questa minacciosa soglia di Proserpina (cioè Persefone) perché nel mito la giovane e bellissima figlia di Demetra era diventata, contro la sua volontà, la moglie di Plutone (cioè Ade), ovvero la regina dell’oltretomba, e quindi ...