Il tramonto del sogno americano
eBook - ePub

Il tramonto del sogno americano

Dal mito della frontiera alla crisi dei nostri giorni

  1. Italian
  2. ePUB (disponibile sull'app)
  3. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Il tramonto del sogno americano

Dal mito della frontiera alla crisi dei nostri giorni

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

Gli Stati Uniti non sono quello che sembrano. Dal razzismo alla cancel culture, dalla lotta alle tasse fino all'epidemia degli oppioidi, sono molte le ombre sul mito del Nuovo Mondo.Ma l'America non è solo la somma delle sue contraddizioni. È il regno delle Big tech della Silicon Valley, della new economy e dei miliardi di Wall Street.È un territorio vasto, vivo e difficile da decifrare.Per capire cosa si cela dietro alle code fuori dai negozi di armi da fuoco, o al proliferare di teorie del complotto, bisogna tornare lungo la frontiera, comprenderne la natura e come è cambiata. Ripartire dalla sua storia, dalla violenza nelle sue strade e dai grandi slanci di fronte alle tragedie è l'unico modo per intuire davvero la natura del Paese che ha influenzato i destini del mondo per un secolo e che lo farà anche nei prossimi decenni.

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a Il tramonto del sogno americano di Alberto Bellotto in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Politica e relazioni internazionali e Politica. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Anno
2022
ISBN
9788833373416

Capitolo 1
Il seme violento
dell’America

«L’America è nata nelle strade».
Gangs of New York
Il 13 luglio del 1863 è un giorno rovente a New York. Ma nonostante il caldo Henry Jarvis Raymond è puntualmente nel suo ufficio. Da circa 12 anni è impegnato a far fruttare il suo investimento da 100 mila dollari in un nuovo settore: il mercato editoriale. Raymond e la sua piccola redazione sono impegnati da circa due anni a scrivere e raccontare cosa succede più a Sud lungo la linea del fronte. Nel 1861, infatti, il Paese si è spaccato in due con Unione e Confederazione impegnate in una sanguinosa guerra civile.
Eppure la violenza esplode proprio nel posto che nessuno avrebbe immaginato, sotto le finestre del suo giornale. Un gruppo di rivoltosi tenta di assaltare gli uffici per aggredire i giornalisti e bruciare il palazzo. A quel punto il direttore-fondatore si gioca il tutto e per tutto, imbraccia una mitragliatrice Gatling e tiene a bada gli assalitori salvando così il suo “New York Times”. Il resto della Grande Mela non è però così fortunato. Per tre lunghi giorni, infatti, migliaia di persone prendono il controllo della città dando vita a linciaggi, distruzioni e incendi.
A immortalare la furia di quei giorni, ci ha provato nel 2002 Martin Scorsese con la pellicola Gangs of New York. Pur con le dovute licenze storiche il film mette in scena una lotta intestina per il controllo dei bassifondi della città sullo sfondo della grande rivola di New York. La violenza di quei giorni è la rappresentazione plastica delle mille contraddizioni che attraversano l’America. E per molto tempo è l’unità di misura di come nel paese possano esplodere rivolte violentissime capaci di prendere il controllo di intere città per giorni. Non a caso uno degli slogan che accompagna l’uscita del film interpretato da Leonardo DiCaprio e Daniel Day-Lewis è “L’America è nata nelle strade”. Dalla guerra di indipendenza contro il Regno Unito in poi la storia degli Stati Uniti è costellata di rivolte e città messe a ferro e fuoco.
Il detonatore di quella violenza è una nuova legge del Congresso. La guerra con il Sud infuria da due anni e sembra più dura e complicata del previsto. Per questo Washington decide che serve un esercito più numeroso. Viene quindi stabilita una leva obbligatoria di massa, con una grossa eccezione: si può pagare per evitare di essere precettati. A quella costrizione il sotto proletariato urbano della città insorge. Orde di disperati prendono d’assalto non solo i centri di reclutamento, ma anche le case e le ville dei ricchi che hanno evitato la leva pagando una costosa tassa.
La rabbia è così violenta e fulminea, che le autorità vengono sorprese e sopraffatte e per oltre quarantotto ore la parte meridionale di Manhattan diventa terra di nessuno. La stessa guerra che ha scatenato il malcontento tiene impegnati diversi reggimenti e tutto il circondario di New York si scopre e privo di soldati. Non a caso la Guardia nazionale riesce a intervenire solo all’alba del terzo giorno quando ormai il Congresso ha avviato un processo di modifica della leva.
In quei giorni la furia mette in scena un copione che gli americani vedranno molte altre volte nei decenni successivi: quello dello scontro razziale. Gran parte dei riottosi sono di origine irlandese, migranti e figli di migranti fuggiti dalla grande carestia che a metà del secolo ha colpito l’Irlanda e li ha obbligati a cercare fortuna in America. Molti di loro non attaccano solo funzionari del governo e ricchi, ma linciano anche gli afroamericani, ritenuti colpevoli di abbassare il costo del lavoro in un mercato contratto e difficile per via della guerra.
Uno scenario che siamo abituati ad attribuire solo agli Stati del Sud. Ma che invece proprio nella città simbolo di New York esplode ben prima di quanto succede a Tulsa, in Oklahoma, nel maggio nel 1921 quando vengono linciati centinaia di afroamericani come mostra la serie tv tratta dalla graphic novel di Alan Moore Watchmen che per scelta stilistica si apre proprio con la fuga di uno dei protagonisti dal massacro. Ma i fatti di Tulsa hanno un’inquietante prologo, i tumulti dell’estate 1919. Un momento difficilissimo per l’America che a tratti ha i contorni di una vera e propria guerra razziale.
La Prima guerra mondiale crea le condizioni perfette per innescare la bomba sociale. Per prima cosa migliaia di soldati afroamericani che hanno combattuto in Europa ritornano in America consapevoli dei propri mezzi e con stipendi molto simili a quelli dei commilitoni bianchi. Allo stesso tempo la guerra ha avuto anche un altro effetto: l’aumento delle domanda di beni da parte del mercato globale. Uno di questi è il cotone, prodotto in grande quantità nel Sud. Questo boom aiuta molti coltivatori afroamericani ad arricchirsi. Non solo. Già prima della Grande Guerra inizia quel fenomeno che gli storici chiamano “Grande migrazione”. Un flusso di afroamericani che dal Sud vanno sopratutto verso il Nord e il Mid-West industrializzato. Un movimento che destabilizza molte comunità bianche in grandi centri come Detroit, Cleveland o Chicago. In mezzo un’economia stagnante che inizia a mostrare segni di rallentamento sotto il peso di un’inflazione galoppante.
Come se non bastasse a complicare ancora di più lo scenario c’è lo spettro della rivoluzione bolscevica che in Russia ha portato al potere il Comunismo. Per molti la richiesta di uguaglianza degli afroamericani rappresenta un messaggio altrettanto radicale, una minaccia che può saldarsi con le rivendicazioni socialiste emerse nei numerosi scioperi scoppiati negli infuocati Anni Dieci.
In questo clima rovente il vento del suprematismo bianco soffia ancora una volta e tra la fine di luglio e l’inizio di agosto, in decine di città, si registra un crescente numero di attacchi contro gli afroamericani. Per Cameron McWhirter, storico autore del libro Red Summer: The Summer of 1919 and the Awakening of Black America, furono almeno 25 i focolai in tutto il Paese. Le tensioni cominciano a Sud, in aprile, nel triangolo tra Sud Carolina, Georgia e Texas per poi “muovere” verso Nord. Alla fine di luglio la violenza tocca anche Washington e Norfolk per poi arrivare a Chicago. Ma qui per la prima volta cambia qualcosa nell’inerzia dei rapporti razziali americani.
Nella capitale tutto inizia con la notizia di uno stupro di una donna bianca da parte di un uomo di colore. Centinaia di persone, tra le quali anche membri dell’esercito, assaltano così individui e aziende afroamericane. Allo stesso tempo diversi agenti di polizia si rifiutano di intervenire per sedare le violenze: a quel punto i cittadini di colore risposero. Alla fine il bilancio è sanguinoso: quindici morti, dieci tra i bianchi e cinque tra i neri e oltre cento feriti. Gli scontri durano diversi giorni, dal 19 al 23 luglio finché la situazione non viene stabilizzata con l’arrivo della Guardia nazionale mobilitata dal presidente Woodrow Wilson.
Le fasi più intese di quella rovente estate avvengono a Chicago. Nella città del vento per tredici giorni bande di irlandesi e afroamericani si sfidano da nord a sud. Qui l’evento scatenante è il pestaggio e l’uccisione di un giovane afroamericano, Eugene Williams che, nuotando nelle acque del lago Michigan, finisce per errore nelle spiagge del South Side, una zona riservata solo ai bianchi. Alla fine per sedare la violenza servono sette reggimenti della milizia statale e migliaia di uomini1.
Andando a spulciare negli archivi del “New York Times” si trova un articolo di quella stagione pubblicato il 5 ottobre 1919. Nel pezzo si punta il dito non solo contro l’inattività del Congresso e del Presidente, ma contro tutta la politica americana in generale: «Gli Stati e il governo Federale non hanno fatto niente. L’unica iniziativa è stata la creazione di una sottocommissione al Senato per capire come prevenire situazioni analoghe in futuro». Eppure negli anni successivi non va così.
Le violenze dell’”estate rossa” non fermano la Grande migrazione, che anzi continua fino alla fine degli Anni Sessanta: in più di mezzo secolo oltre sette milioni di afroamericani lasciano il Sud. Questo cambia gli equilibri del Paese. Un punto di svolta è la grande riforma voluta da Lyndon Jonson nota come Civil Rights Act, una legge che di fatto manda in soffitta le discriminazioni. Eppure nella calda estate del 1967 la violenza razziale ritorna, questa volta sotto forma delle rivolte afroamericane.
Nel corso di una stagione esplodono circa 160 rivolte razziali. Le distruzioni di quell’estate avvengono in un contesto esplosivo quanto grottesco. Mentre migliaia di giovani confluiscono verso Ovest a San Francisco per quella che sarebbe passata alla storia come Summer of Love, al ritmo di Are you Experienced? di Jimi Hendrix, più a Est altri giovani, per lo più afroamericani, scendono per le strade e saccheggiano vetrine e negozi, in nome delle disparità razziali, il tutto mentre sull’America incombe l’ombra sempre più inquietante della Guerra del Vietnam.
L’epicentro di questo nuovo ciclo di rivolte è la città di Detroit. L’innesco che le fa scattare è una perquisizione della polizia in un locale notturno privo di licenza gestito da un gruppo di afroamericani. I fermi e gli arresti si trasformano in rissa e poi tutto degenera in violenze che si estendono all’intero quartiere prima nella zona all’angolo tra Rosa Parks Boulevard e Clairmount Street, e poi nell’area del Near West Side. L’episodio più significativo nella prima notte di scontri è la retata al Algiers Motel, come raccontato nel film Detroit diretto da Kathryn Bigelow, che ripercorre le violenze della notte e il successivo processo contro poliziotti accusati di aver ucciso senza motivo tre uomini di colore.
Anche nella città delle auto e dell’acciaio vaste zone urbane rimangono ingovernabili per quattro giorni e l’allora governatore del Michigan, George Romney (padre del senatore Mitt Romney che nel 2012 corse per la presidenza contro il secondo mandato di Barack Obama), è costretto a ordinare alla Guardia nazionale di entrare in città insieme a due divisioni dell’esercito inviate dalla Casa Bianca che alla fine, dopo scontri violenti, riprendono il controllo del territorio.
Dando un occhio alla cartina ci accorgiamo che, salvo rari casi, le rivolte hanno interessato soprattutto la costa est e il sud del Paese. Ma all’inizio degli Anni Novanta le tensioni esplodono anche nel grande Ovest, a Los Angeles, tra il 29 aprile e il 4 maggio del 1992. Qualche mese prima il tassista afroamericano Rodney King è stato picchiato e arrestato dalla polizia dopo aver forzato un posto di blocco. Il pestaggio, ripreso e mandato in onda dai network locali e nazionali, fa aumentare la tensione tra comunità. Tutto esplode poi alla lettura della sentenza del processo contro gli agenti: assolti.
A quel punto si ripete il solito schema: il tafferuglio fuori dal tribunale si trasforma in rivolta e le violenze, fatte di saccheggi, aggressioni e incendi, si diffondono in tutta l’area metropolitana. La rivolta non risparmia nessuno. Alle 18.46, su Florence Avenue all’angolo con la Normandie, il camionista bianco Reginald Denny viene bloccato, trascinato fuori dal suo tir e selvaggiamente picchiato da quattro ragazzi afroamericani mentre la scena viene trasmessa in diretta. L’aggressione diventa così il simbolo di una città fuori controllo. Alla fine il bilancio è pesantissimo: sessanta morti, 2.300 feriti e dodicimila arresti e soprattutto i quartieri poveri che si trovano ancora più poveri ed emarginati.
Lo slancio dato dalla fine della Guerra fredda e dal benessere economico durante la presidenza di Bill Clinton non ha fermato la violenza per le strade d’America. Anzi. La globalizzazione selvaggia ha come effetto quello di radicalizzare ancora di più la protesta, che riesplode nel dicembre 1999. Per tre giorni la città di Seattle viene messa a ferro e fuoco in concomitanza con la conferenza dell’Organizzazione mondiale del commercio, il Wto. In quell’occasione migliaia di persone marciano contro corporation e multinazionali. Una frangia di loro, che negli anni successivi avremmo imparato a conoscere come Black Bloc, inizia violente distruzioni. Da quel momento inizia un circolo vizioso. Molte delle vie della città sono presidiate dai manifestanti che di fatto rendono le operazioni della polizia più difficoltose. Il blocco porta così gli agenti a rispondere con violenza già il primo giorno di manifestazioni, il 30 novembre. Questo a sua volta porta altri manifestanti a sfilare nei giorni successivi con altri scontri che si protraggono fino alla fine del summit. Nasce così il movimento di Seattle, noto soprattutto con l’etichetta “No Global” e che abbiamo poi visto in azione anche da noi, tra il 19 e 22 luglio, per le strade di Genova durante il G8.
La violenza in America non è solo una questione politica o razziale, ma anche di malessere sociale. È quanto sperimenta New York in un’altra estate calda, quella del 1977 quando nella notte...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione di Matteo Muzio
  2. Capitolo 1 Il seme violento dell’America
  3. Capitolo 2 Il razzismo dei liberal
  4. Capitolo 3 La cancel culture prima della cancel culture
  5. Capitolo 4 Sport tra razzismo e ipocrisie
  6. Capitolo 5 Il vero spirito degli Stati Uniti
  7. Capitolo 6 Lungo la frontiera
  8. Capitolo 7 Dalla lotta alle tasse alla lotta di classe
  9. Capitolo 8 Il cuore povero
  10. Capitolo 9 Un Paese drogato d’oppio
  11. Capitolo 10 Libere armi in libero Stato
  12. Capitolo 11 Quel problema col sesso
  13. Capitolo 12 L’onore delle armi
  14. Capitolo 13 Tra le Ghost Town
  15. Capitolo 14 I due volti dell’America profonda
  16. Capitolo 15 A caccia di X-Files
  17. Capitolo 16 Lontano da ogni dove
  18. Conclusioni Un Paese che non sogna più
  19. I tornanti Collana diretta da Andrea Indini