Governare il caos - Riflessioni sulla complessità
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Miscela di filosofia, storia, psicologia e quanto basta di scienza, Governare il caos è un saggio sulla complessità che riflette sul rapporto fra uomo e natura, partendo dalla prospettiva individuale per abbracciare un approccio più consapevole alla collettività. Si può governare il caos? La risposta, apparentemente scontata già dal principio, è l'inizio di un percorso che, in sette capitoli densi di spunti, porta il lettore alla scoperta di possibilità forse finora sconosciute, stimolando una rinnovata autoconsapevolezza ed una nuova prospettiva sulla realtà percepita. Conoscere se stessi e gli elementi che compongono l'universo che ci circonda, che nasce nella nostra mente e viene condizionato dalle nostre azioni nel tempo e nello spazio: questa è la via che percorriamo alla ricerca dell'ordine nelle nostre vite. Uno zibaldone per chi si è sentito, almeno una volta nella vita, disperso nel mare in tempesta.

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Informazioni

Anno
2022
ISBN
9791220390149
Capitolo V

Previsione

“L’immaginazione è la regina del vero, e il possibile è una delle province della verità”
Charles Baudelaire
In ogni epoca della storia umana, la possibilità di prevedere gli eventi ha costituito da un lato fascinazione e le credenze più varie, dall’altro fornito una leva di potere per chi avesse (o facesse credere di avere) la capacità di predire il futuro.
Ma, al di là dei vaticini e di rituali più o meno macabri, la capacità di prevedere gli eventi, nell’ottica di prepararvisi, ovvero predisporsi per trarne favorevoli opportunità, rappresenta tutt’oggi un elemento di vantaggio strategico.
Giunti a questo punto del nostro percorso, appare chiaro come la pre-visione sia strettamente correlata alla capacità di preparazione, in particolare alla dimensione virtuale, che include, come abbiamo ampiamente discusso, la realizzazione di un modello da cui estrapolare gli elementi utili a determinare il cambiamento sul piano reale.
Seguendo tale traccia, conviene anzitutto pensare alla previsione come lo strumento che permette di dare forma al modello virtuale, come fosse lo scalpello (o il pennello) che ne dettaglia gli elementi, tanto più dettagliati quanto più quantitativamente e qualitativamente saranno validi i fattori a supporto.
Difatti, la capacità previsionale non è frutto di doti soprannaturali o pura intuizione (che pure ha la sua importanza), per cui essa deriva da divinazione o interpretazione di segnali esterni, quanto più un processo logico-deduttivo basato su fattori chiaramente definiti.
Occorre premettere anche che, ai fini della presente riflessione, non si intende fornire un procedimento scientifico di previsione, quanto piuttosto, ancora una volta, uno spunto di sensibilizzazione per sistematizzare e praticare (più) consapevolmente un’attività che spesso già svolgiamo in maniera intuitiva.
Ciascuno di noi ha sperimentato l’ebbrezza di fare una previsione, magari per azzardo, provando quel brivido di azzeccare (o quasi), facendo leva sul proprio intuito o su capacità “medianiche”, così da attribuirsi una capacità previsionale che, dall’esito della partita di calcio, si sposta a questioni più complesse come l’andamento di mercati finanziari, o proiezioni ancor più complesse, come evoluzioni geopolitiche o grandi eventi naturali.
Sempre nel solco della volontà di governare il caos, è comprensibile come una capacità reale, sistematica ed effettiva di prevedere, magari nel dettaglio, l’avvenire, sia la soluzione più ovvia e diretta a fronte di tutti gli elementi analizzati finora.
Purtroppo, sempre poiché, come discusso, il caos è condizione primaria e necessaria, non solo è inverosimile pensare di creare modelli previsionali completamente attendibili, ma la quantità di variabili e dati (a loro volta verificati e aggiornati) necessari a una previsione dettagliata è molto difficilmente gestibile, a maggior ragione se consideriamo la capacità previsionale di un individuo nell’ambito di processi cognitivi.
L’utilizzo di sistemi automatizzati o standardizzati per la previsione si applica comunemente a settori caratterizzati da ripetitività, misurabilità, rispondenza a regole statistiche.
Eppure, per quanto avanzati e in grado di gestire un numero sempre più elevato di variabili, i sistemi di previsione meteorologica, o economica, i modelli previsionali delle epidemie, e qualsivoglia altro strumento non sono mai completamente affidabili, e la previsione quasi mai completamente attendibile.
Convinti di ciò, proviamo a immaginare allora come potremmo formulare previsioni dettagliate in contesti caratterizzati, ad esempio da irregolarità, bassa rispondenza statistica, assenza di dati storici: in altre parole, proviamo a fare una previsione come tireremmo una monetina, 50% di probabilità che esca testa, 50% di probabilità che esca croce.
Chi di noi, in tali condizioni, si azzarderebbe a fare previsioni e quindi assumere decisioni e predisporre cambiamenti, di fronte magari a situazioni estreme o con conseguenze determinanti?
Fin dai tempi della Sibilla cumana, la previsione degli accadimenti futuri è stata caratterizzata da incertezza e oscurità, tant’è che proprio l’ambivalenza nelle predizioni ingenera, in chi ascolta tali predizioni, una particolare predisposizione a ritrovarvi, a posteriori, elementi di veridicità: questa tendenza, giustificata dal comune fenomeno cognitivo della bias di conferma, è peraltro alla base dei principali errori di valutazione che portano a interpretazioni predittive errate.
Eppure, al di là di influenze astrali (pur anch’esse importanti: si pensi alla ciclicità delle maree e delle stagioni) e vaticini, delle profezie e delle rivelazioni divine, ciò che vorremmo qui indicare è, ancora una volta, un processo cognitivo, per quanto possibile logico e razionale, che permetta di facilitare il processo decisionale dell’individuo, di fronte alla necessità di agire e di prepararsi al cambiamento, sempre al fine ultimo di addivenire, in ultima analisi, a una aderenza, quanto più precisa possibile, fra proiezione ideale e realtà percepita.
Il primo passo, compresi i limiti e gli errori che condizionano il processo, a loro volta inevitabili e parte dell’indeterminatezza che caratterizza qualsiasi previsione, è stabilire un metodo alla base: quello che più comunemente viene utilizzato, più o meno consciamente, è l’apprendimento attraverso l’esperienza.
Come accennato in precedenza in relazione al fattore Tempo, l’esperienza è frutto della sperimentazione attraverso il tempo, nella dimensione individuale e collettiva, sia storica che intergenerazionale: il susseguirsi di eventi e di azioni nel corso della vita umana, sia essa individuale o intesa come esistenza del genere e memoria condivisa, costituisce il bagaglio di informazioni che indicano non solo una certa best practice nell’approcciare, ad esempio, alla risoluzione di una criticità (si pensi quanto considerato in riferimento alla coltivazione del pistacchio), ma anche uno modello consolidato e cristallizzato tanto più quante volte si sarà verificato nel corso del periodo di osservazione, il che ci introduce al concetto di ciclicità che tratteremo a breve.
Se nell’attribuire valore al tempo necessario a maturare l’esperienza, ovvero a sedimentare dati e informazioni nel susseguirsi di eventi e azioni similari, per natura ed esito, abbiamo intuito l’importanza per il risultato finale, possiamo ora estrapolarne il procedimento logico-matematico che trasforma il dato esperienziale in previsione: l’inferenza statistica.
Da un punto di vista filosofico, partire da un dato esperienziale per trasformarlo in una previsione e quindi una proiezione nel futuro di condizioni e caratteristiche della realtà significa quantificare il processo di apprendimento, inferendo le condizioni finali a partire dall’osservazione di un campione aleatorio. In termini più basilari, come nella statistica di base si prende il modello a campione per proiettarlo su scala più ampia, allo stesso modo l’esperienza indica uno schema riproducibile, a parità di caratteristiche, su scala più ampia e in tempi diversi, fornendo la prima base di previsione.
Tuttavia, se in riferimento a eventi semplici e facilmente osservabili, la previsione per inferenza è tendenzialmente affidabile, l’aumento della complessità e la possibilità di calcolo delle variabili, ampiamente incrementata dall’era digitale e dall’informatica, ha proposto nuovi paradigmi, come ad esempio quello dell’inferenza bayesiana, che sposta l’orizzonte della probabilità statistica sulla soggettività di approccio ai risultati.
Il teorema della probabilità delle cause di Bayes, a fronte della teoria frequentista, pone l’accento sulla probabilità intesa non solamente come frequenza, proporzione o simili, ma piuttosto come livelli di fiducia nel verificarsi di un dato evento, che risente dell’osservazione a priori e a posteriori del dato di riferimento, ossia della cosiddetta probabilità condizionata da un altro evento.
Un simile approccio ci fa intuitivamente comprendere come la capacità di previsione sia necessariamente correlata da un lato all’osservazione della frequenza degli eventi del passato (dato esperienziale), dall’altro dalla rilevazione finale dell’evento, correlata alla probabilità calcolata attraverso l’inferenza, al fine di escludere, ad esempio, eventi correlati che, con il verificarsi di altri, non possono avvenire.
Dunque, se l’inferenza statistica ci fornisce una base per determinare, a partire dall’esperienza, una probabilità più o meno attendibile del verificarsi di eventi, quali fattori ci indirizzano nel risolvere la complessità delle variabili da considerare, ovvero uno strumento di cernita delle molteplici possibilità generate dalla composizione delle probabilità calcolate?
Analizzeremo di seguito i fattori maggiormente determinanti per la definizione di scenari di previsione quanto più attendibili, nella complessità: informazione, osservazione e analisi delle variabili, semplicità, ciclicità e frattali.
Le informazioni che acquisiamo mediante la conoscenza e l’esperienza sono il fattore principale a fondamento del processo di previsione.Tale affermazione non è per nulla originale e, difatti, porremo l’attenzione sul processo di acquisizione, selezione e integrazione delle informazioni disponibili.
La prima considerazione è che, come detto più su, nel processo cognitivo di individuazione di informazioni a supporto di una determinata tesi (o ipotesi, o previsione), tendiamo a rilevare e attribuire maggiore peso a quelle che attribuiscano valore di conferma al nostro punto di vista (bias di conferma).
Per quanto si tratti di una limitazione pressoché inevitabile, data la natura umana, la mitigazione più immediata è la varietà delle fonti e l’ampliamento dei settori di acquisizione delle informazioni.
Ciò significa, anzitutto, non basarsi né unicamente né prioritariamente sulle proprie percezioni individuali, siano esse relative a un dato esperienziale (osservazione diretta di un fenomeno o rilievo di un dato attraverso i sensi), ovvero all’interpretazione di una fonte esterna quale può essere la trasmissione esperienziale di terzi (racconti, libri, relata...), oppure la manipolazione di dati grezzi derivanti da rilevazioni metriche (interpretazione di dati statistici, inferenze). Nel caso specifico delle fonti terze, in particolare umane e verbali, occorre tenere anche in considerazione le distorsioni generate dal difetto di percezione sensoriale (errore interpretativo a priori, bias) o dei passaggi mediati fino al ricevente finale (effetto “telefono senza fili”).
La ricerca di informazioni attraverso più strumenti, perché sia quanto più scevra possibile da distorsioni interpretative, dovrebbe focalizzarsi sull’elemento centrale (si potrebbe dire oggettivo, ma poiché mediato dalla percezione esso è, nella elaborazione cognitiva, necessariamente soggettivo) anziché sulla interpretazione che ne viene data. Questo perché, attraverso il processo di interpretazione, l’aggiunta di informazioni, eccedenti quella intrinseca all’elemento considerato, aumenta il livello di entropia del sistema (l’individuo), atteso che la quantità di informazione si necessita funzionale a riportarlo in uno stato di ordine anziché aumentare il disordine.
Cosa vuol dire dunque ampliare il campo di ricerca delle informazioni senza sovraccaricare il sistema con una quantità che ne determina il disequilibrio?
Dal momento che la trattazione è di carattere filosofico e non fisico-matematico, non sono in grado di indicare un limite chiaramente definito: mi piace utilizzare l’immagine di Von Clausewitz, che descriveva la raccolta di informazioni come un’ape che, attraversando un vasto prato fiorito, si poggia su quanti più fiori possibili, traendone da ciascuno la quantità di polline che le si attaccava addosso.
Ora, sappiamo bene che la qualità del miele è data dalla varietà dei fiori da cui le api traggono il polline: come esse dovremmo cercare di acquisire, ovunque possiamo, la quantità di informazioni che siamo in grado di portare con noi.
Un secondo aspetto fondamentale è la capacità di setacciare le informazioni che abbiamo in possesso: se la raccolta è un procedimento tendenzialmente non sistematico (fatta eccezione per chi lo fa a uno scopo ben preciso) e non sappiamo quando e se le informazioni che raccogliamo attraverso la percezione della realtà che ci circonda saranno utili, la selezione è invece un processo più consapevole e che, adeguatamente diretto e orientato, fa la differenza.
Nell’era dell’accesso pressoché illimitato alle informazioni e soprattutto della sovraesposizione alle fonti informative (si pensi alla mole di dati che immagazziniamo attraverso la costante connessione alla rete) selezionare vuol dire anzitutto filtrare, in maniera consapevole, il flusso informativo da cui trattenere solo il necessario; in secondo luogo, attribuire un valore alle fonti così da evitare la saturazione informativa da fonti più prolifiche ma qualitativamente scarse: in sostanza, meno quantità e più qualità; a sistema con quanto già osservato, potremmo intuire come le informazioni che utilizziamo debbano essere quanto più varie, selezionate nelle fonti, possibilmente verificate (anche per esclusione o controverso) e attagliate al contesto di riferimento.
Quest’ultimo aspetto ci riporta alla tendenza a relativizzare informazioni anche non necessariamente correlate a conferma della teoria, tesi, previsione che formuliamo, tanto nel ricercare e poi immagazzinare le informazioni quanto nell’integrarle verso un quadro complessivo.
Perché sia mitigato questo elemento fuorviante, occorre considerare un secondo fattore, che è l’osservazione e l’analisi delle variabili. In primis, definiamo le variabili quali elementi della realtà percepita che sono soggette a una modifica: l’osservazione orientata alla rilevazione permette di risparmiare risorse nel recepire informazioni su elementi invece immutabili, e ci predispone a quel ragionamento di “analisi per sottrazione” fra proiezione ideale e realtà percepita, che è alla base sia della relazione ordine/disordine che del processo di preparazione al cambiamento.
Osservare significa dunque ripartire la realtà percepita attraverso i sensi – principalmente la vista, per quanto nel processo cognitivo consideriamo il modello di proiezione, che include tutte le dimensioni e tutti i canali di percezione – in variabili, il cui mutamento nel tempo costituisce parametro di analisi di interesse, tanto per la registrazione dell’informazione quanto per la previsione futura.
L’analisi delle variabili è un processo sistematico, svolto sempre a livello cognitivo, che si basa su una sintesi di attitudini personali e competenze acquisite, ancora una volta, attraverso l’ampliamento degli orizzonti di osservazione e l’applicazione di un metodo che ponga al centro l’elemento puro (dato di osservazione) anziché il giudizio che abbiamo su di esso.
Per fissare questi primi concetti prendiamo ad esempio l’osservazione di un fenomeno naturale, quale può essere la fioritura di un albero da frutto, di cui non abbiamo esperienza pregressa e rispetto al quale vorremmo fare una previsione, magari per sapere quando raccoglierne i frutti e programmarne la raccolta.
Primo, le variabili che dovremo considerare per orientare la nostra osservazione dovranno essere stabilite a partire dalla nostra conoscenza del contesto, a sua volta basata su esperienza o studio da forti terze: ci concentreremo dunque su fogliame, rami, presenza di gemme; secondo, il mutamento delle variabili individuate nel tempo dell’osservazione fornisce informazioni sullo sviluppo del processo e, parametrate a elementi esterni (clima, stagioni, fattori meteorologici ecc.), costituiscono base informativa per la previsione: ad esempio, la formazione di gemme sui rami; terzo, al raggiungimento del temine dell’osservazione, analizzando le variabili di cui sono stati immagazzinati i dati (transizione da uno stadio all’altro, correlazione tra fattori esterni, elementi di variazione nel dettaglio) si può definire uno schema o modello di riferimento, a partire dal quale sarà possibile registrare il dato e riutilizzarlo per successive previsioni.
Un ulteriore fattore e principio-guida nell’approccio alla previsione e ai processi cognitivi è la semplicità: nella schematizzazione delle informazioni e nella formulazione di tesi, descrittive o previsionali, la semplicità, ossia l’assenza di ridondanze o elementi non necessari, è funzionale a ridurre errori, incrementando la sostenibilità del processo e, in ultima analisi, la verosimiglianza del modello.
Occorre sottolineare altresì che semplicità non significa superficialità o immediatezza nell’analisi e interpretazione delle informazioni, bensì un approccio al processo che eviti che, se...

Indice dei contenuti

  1. Governare il caos
  2. Indice
  3. Frontespizio
  4. Copyright
  5. Prefazione - Si può governare il caos?
  6. Prologo - da Il mercante di Venezia, di William Shakespeare
  7. Capitolo I - Ordine e disordine
  8. Capitolo II - La natura tende all’ordine
  9. Capitolo III - Il valore del Tempo
  10. Capitolo IV - Preparazione
  11. Capitolo V - Previsione
  12. Capitolo VI - Narrativa
  13. Capitolo VII - Il valore umano
  14. Postfazione - Amare il caos