ALLA RICERCA DEL TESTO PERDUTO
La biblioteca è illimitata e periodica. Se un eterno viaggiatore l’attraversasse in qualunque direzione, verificherebbe alla fine dei secoli che gli stessi volumi si ripetono nello stesso disordine (che, ripetuto, sarebbe un ordine: l’Ordine). La mia solitudine si rallegra di questa elegante speranza.
Juan Luis Borges
Questo libro non è un’introduzione alla Bibbia ma si occupa della leggenda che ha narrato la traduzione greca della Bibbia e delle successive riscritture di quel racconto. Dunque tanti temi anche importanti non saranno qui affrontati. Non entrerò ad esempio nel dibattito fra studiosi circa la formazione dei testi antico-testamentari e delle lingue bibliche né in altre questioni storiche. Mi interessa, invece, dare un’idea di che tipo di testo o testi sia la Bibbia presentando alcune questioni preliminari che aiutano a collocare la sua traduzione nella giusta prospettiva.
Che libro è dunque la Bibbia1? A quando risale la sua redazione e qual è il testo che ci è stato trasmesso fino a oggi, chi ne sono gli autori?
Per iniziare: quale testo?
Come è noto il temine deriva dal greco ta biblia, che appare per la prima volta nel testo che è al centro delle prossime pagine, la Lettera di Aristea2, e con cui Giuseppe Flavio (Yosef ben Matityahu)3 si riferisce ai libri sacri degli Ebrei. Gli evangelisti utilizzano l’espressione la Scrittura (hè Graphè) mentre la tradizione ebraica usa TANAK, cioè le iniziali dei tre libri Torah (la Legge), Nevim (Profeti), Ketuvim (altri scritti). Più che un libro dobbiamo immaginarla come una biblioteca composta da tanti rotoli raccolti assieme. San Girolamo la definirà la biblioteca divina4. Questa biblioteca, tuttavia, non è la stessa per tutte le comunità che hanno ritenuto questi libri sacri e nel corso del tempo si sono costituiti diversi canoni. Ad esempio, il canone della Bibbia ebraica, quello a cui abbiamo accennato costituito da Torah, Nevim, Ketuvim, è fissato attorno al secondo secolo. Tale canone è sostanzialmente identico a quello palestinese già corrente nel primo secolo, come testimonia Giuseppe5, ma questo non è il canone adottato da un’altra comunità, quella samaritana. Come vedremo, esistono anche traduzioni greche che vennero utilizzate dagli Ebrei della comunità di Alessandria. La Septuaginta, la cui redazione si situa fra il terzo e il primo secolo a.e.v., ha un canone ancora diverso che aggiunge al canone palestinese otto libri in greco, detti deuterocanonici (e non accettati nel canone luterano), e l’insieme dei Nevim è diviso in due: i libri storici e i Profeti.
Quello che è chiamato nella tradizione cristiana Antico Testamento è dunque una biblioteca costituitasi nel corso di mille anni ad opera di vari autori, con diverse tipologie testuali e in lingue diverse. Se dovessimo considerare le condizioni classiche di testualità6 potremmo arrivare a dire che la Bibbia non è nemmeno un testo in senso stretto essendo almeno la coesione e l’intenzionalità difficilmente applicabili7. In qualche modo ciò che si avvicina di più alla descrizione di cosa sia la Bibbia è la famosa parodia di Umberto Eco in Diario minimo8:
Che testo è allora la Bibbia? Se la storia redazionale è così lunga, ibrida e complessa, dov’è la tessitura che tiene assieme il testo? E soprattutto esiste qualcosa che può essere inteso come un originale?
Chi ha scritto la Bibbia?
Secondo la tradizione i cinque libri del Pentateuco9 vennero scritti da Mosè. Naturalmente, anche se fosse una figura storica10, è chiaramente impossibile che Mosè possa essere stato l’autore della versione del Pentateuco che abbiamo oggi, troppe cose sono improbabili, come il fatto ad esempio che Mosè avrebbe dovuto scrivere della propria morte prima che accadesse.
Il testo del Pentateuco presenta invece tante contraddizioni, discordanze e duplicazioni di passi che è difficile poter pensare sia opera di un unico autore11. Per questo da almeno un secolo, le contraddizioni e le diverse versioni della storia vengono interpretate come il risultato di una redazione frutto di diverse fonti originali.
L’ipotesi viene detta «ipotesi documentaria»12 e presuppone che ci siano quattro fonti, o tradizioni, che hanno contribuito ai cinque libri del Pentateuco: la fonte Jahvista (J); la Elohista (E); la Deuteronomista (D), la sacerdotale (P)13.
L’esistenza di quattro fonti è stata ipotizzata sulla base dei diversi stili letterari rintracciabili nei libri e sul fatto che in alcuni testi Dio viene chiamato Yahweh mentre in altri il termine è Elohim. La teoria suggerisce inoltre che ogni fonte riflette una particolare situazione comunitaria e storica da cui derivano diverse teologie.
Ovviamente non abbiamo i testi delle fonti J, E, D o P reali, anche se è generalmente accettato che il Deuteronomio sia opera di una tradizione che non ha nulla a che fare con Genesi, Esodo, Levitico o Numeri14.
La fonte Jahvista potrebbe avere avuto origine nel regno meridionale di Giuda, forse già durante i regni di Salomone o di Davide. Sarebbe la fonte più antica, e per questo quella più messa in dubbio, risalente al decimo secolo a.e.v. I temi principali riguardano le promesse di Dio per la salvezza e l’importanza del culto e del Tempio. Questa fonte indica Dio come Yahweh, ha come montagna sacra il Sinai, Dio è antropomorfizzato, i nati in Palestina sono chiamati Cananei. Alcuni esempi di un Dio antropomorfizzato li troviamo nella storia di Adamo ed Eva (Genesi 2: 4-25), così come nel racconto delle dieci piaghe (Esodo 7: 14-10: 29). Dio appare inoltre come un vasaio o un padre di famiglia o un signore che passeggia nel parco del palazzo15. Riguardo al nome di Dio, l’esempio più evidente è nell’episodio del roveto ardente dell’Esodo (3: 13-15); qui alla richiesta di Mosè di sapere il nome di Dio questi risponde: «Così dirai ai figli di Israele: Yahweh, Dio dei vostri padri… mi ha inviato a voi».
La fonte Elohista si sviluppò nel regno settentrionale di Israele. È un po’ più recente di J, databile attorno al nono secolo a.e.v. Alcuni temi sono morali, altri toccano la risposta di Israele e Dio. Meno centrale è il tema dell’adorazione del Tempio. Le differenze fra le due fonti potrebbero dipendere da prospettive testuali diverse: favorevole alla monarchia quella di J e più concentrata sull’alleanza quella di E. Qui Dio è chiamato Elohim, la montagna sacra è l’Oreb e i nati in Palestina sono chiamati Amorrei. C’è una forte insistenza sulla profezia e Dio parla nei sogni. Fra gli esempi si può citare l’episodio di Abramo, Sara e il faraone (Genesi 20) dove viene usato continuamente il termine Elohim. La stessa cosa accade nella parte iniziale dell’episodio del sacrificio di Isacco (Genesi 22), dove di nuovo il termine ricorrente è Elohim. Troviamo lo stesso uso di Elohim nella storia della rivelazione di Giacobbe a Bel El (Genesi 35: 1-7).
La fonte del Deuteronomista è forse la più chiara. La data di redazione è fra il settimo e il sesto secolo a.e.v. e probabilmente c’è un solo autore, sconosciuto, per la maggior parte e forse per tutto il Libro del Deuteronomio e per i libri storici da Giosuè ai Secondi Re (esclusa Ruth). Il tema centrale ruota attorno alle sofferenze sopportate dagli Ebrei, intese come la punizione di Dio per i peccati dei capi e del popolo. Potremmo considerare il Deuteronomio come la riscrittura dell’Esodo attraverso i Numeri (Deuteronomio significa «seconda legge») con la storia di Israele che viene riletta come un ciclo che inizia con il perdono di Dio, il successivo rinnovamento dell’Alleanza, l’incapacità del popolo di rispettarla e la punizione conseguente. Anche qui come in E la montagna sacra è l’Oreb.
Riguardo alla fonte sacerdotale (P), un’ipotesi è che si sia sviluppata durante e dopo l’esilio nel sesto secolo a.e.v. (586-538 a.e.v.). In questa fonte l’identità religiosa del popolo ebraico risiede nel culto e nelle leggi che lo distinguono dagli altri popoli in particolare, come sottolinea Ravasi (1993, p. 57), tramite tre segni distintivi: il sabato, la circoncisione e la Legge. Una prospettiva che rappresenta il rifiuto della classe sacerdotale a un’identità religiosa rappresentata da un re nominato per volere di Dio. Questa fonte si concentra dunque sul culto e sul rituale, riserva una particolare attenzione al Tempio e al regno meridionale di Giuda, dove si trovano Gerusalemme e il Tempio. Un particolare rilievo viene dato al ruolo dei leviti e alla classe sacerdotale così come alle genealogie e agli elenchi tribali, che stabilirono i diversi gruppi nella società israelita.
All’ipotesi documentaria si sono affiancati altri tentativi di comprendere la formazione del testo biblico. La scuola della storia delle forme (Formgeschichtliche Schule), ad esempio, ha ritenuto che il Pentateuco si è formato sulla base di una mescolanza di leggi, tradizioni orali e costumi diversi che i redattori avrebbero riunito conservando le loro caratteristiche originarie. Da questo punto di vista il testo biblico si è formato a partire da tipologie testuali precedenti che corrispondono a generi letterari specifici16. Il problema è che l’elenco dei generi letterari è potenzialmente indefinito. Seguendo l’elenco di Ravasi (1993, p. 38), abbiamo questi generi: «lirico, epico, drammatico, sapienziale, canti di vittoria, di lavoro, d’amore, di banchetto, satire, parabole, elegie, favole, miti, oracoli, profetici, salmi, ecc.». Di nuovo ci troviamo di fronte all’omnibus mostruoso di cui parlava Eco.
Nonostante le teorie alternative e le diverse critiche17, la teoria documentaria è tuttavia un’ipotesi che può suggerirci delle idee su come si è sviluppato il Pentateuco. Dobbiamo però essere coscienti che il numero delle fonti, gli autori e quando le fonti sono state riunite è ancora oggetto di discussione. Un’idea di come le quattro fonti siano state combinate può riassumersi come segue.
Durante i regni di Davide e Salomone (1000-922 a.e.v.), gli scribi della corte reale e del Tempio iniziano a raccogliere in testi scritti le storie trasmesse oralmente, questo può essere considerato come l’inizio della fonte J. Dopo la breve guerra civile seguita alla morte di Salomone (922 a.e.v.) si formano due regni. Quello di Giuda prosegue la tradizione scritta di J, mentre il regno settentrion...