L'anima e il sublime
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Afflato di ulteriorità, desiderio d'infinito, il sublime dice della condizione mista degli umani, esseri piantati a terra con lo sguardo rivolto al cielo. È una tensione innata alla grandezza inscritta nel cuore dell'uomo che sta all'origine della creazione dell'opera d'arte, «eco di una grande anima». Ben più che uno stile, un oggetto di natura o di pensiero, il sublime è un evento «saturo» che travolge il logos appellandosi a un sapere fondato sul pathos. Saltando l'intelletto agisce per contagio e interpella una risposta: chiede di essere testimoniato attraverso gesti, parole, opere. Creatore e spettatore dell'opera condividono la medesima destinazione e il medesimo rischio di fallire: oltrepassare i limiti della ragione facendo naufragio. Nell'afflato verso il «folle volo», soglia iniziatica del mistico come del poeta, il sublime supera il «bello», lo sussume in sé, ponendosi come cifra stessa dell'arte. Il volume, secondo della collana SAFFO, raccoglie i saggi di otto tra i maggiori esponenti del pensiero filosofico contemporaneo, proposti durante il seminario svolto presso il Teatro FE Fabbrica dell'Esperienza.

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Informazioni

Editore
Jaca Book
Anno
2022
ISBN
9788816803299

Introduzione
LA PASSIONE PER L’INFINITO

Irina Casali
La bellezza del mondo ha due tagli, uno di gioia, l’altro di angoscia, e taglia in due il cuore.
Virginia Woolf
Chi non comincia dall’amore non saprà mai cos’è la filosofia
Alain Badiou
I versi di Saffo Ode alla gelosia1 commentati da Longino nel suo trattato Il Sublime introducevano i lavori del nostro primo seminario indicando una direzione di ricerca che oltrepassasse la dicotomia tra sensibilità e ragione, aprendosi un varco nel cuore stesso della carne verso l’ulteriorità2.
Il sublime è un evento che testimonia l’oltranza nell’assoluta immanenza. Quest’esperienza paradossale del limite e del suo scavalcamento dice di che pasta siamo fatti noi umani.
«Il nostro essere ci è dato “come una trascendenza in seno all’immanenza”: come un esser “oltre” il dato presente»3. La vita prende senso nelle forme di oltrepassamento del mero esserci che si schiudono in esperienze di risveglio al sacro4. L’amore è una di queste forme iniziatiche donatrici di senso.
Là dove smarrisce le tracce della trascendenza, l’esistenza si autonega, ricade su di sé, cosa tra le cose, senza rinvio, senza ulteriorità. Ma chi può aprire la via alla trascendenza se non l’amore? E come può farlo se non proprio dove il suo eccesso espressivo cerca un’eccedenza, un’ulteriorità di senso, al di là di ogni nostra collaudata misura5.
Nella follia d’amore6 opposte passioni si stringono in unità illuminando una sapienza pato/logica che conosce la gioia attraverso il dolore, che sa solo ciò che patisce e patisce ciò che desidera. Un sapere da sempre ferito e ricomposto.
L’iniziazione amorosa sfalda ogni identità chiusa in sé stessa.
Una sorta di rottura di sé perché l’altro lo attraversi. Questo è l’amore. Non una ricerca di sé, ma dell’altro, che sia in grado, naturalmente a nostro rischio, di spezzare la nostra identità squilibrandola nelle sue difese. L’altro, infatti […] mi altera. E senza questa alterazione che mi spezza, mi incrina, mi espone, come posso essere attraversato dall’altro, che è poi il solo che può consentirmi di essere, oltre che me stesso, altro da me7?
Il desiderio fisico si manifesta nel corpo ma è impastato di stelle (de-sider), evoca l’aspirazione dell’uomo a riunirsi col cosmo: enigma in cui «L’amore vede in Dio il suo raggio di trascendenza e Dio vede nell’amore la sua natura, altrimenti a lui stesso ignota»8. Si tratta di un intreccio che «i mistici, a differenza dei metafisici, hanno saputo catturare nei rapimenti dell’anima»9. Il sublime pulsa nel centro di una creatura mista, che guarda il cielo mentre si radica nella terra; unione di due mondi, stringe l’alto con il basso ed è, in senso proprio, un-pensiero-che-sente (o un-sentimento-che-sa)10.
I tragici greci hanno mostrato come il sapere passi dal dolore (tòn páthei máethos11) e non vi sia conoscenza spirituale che non s’incida nella carne; similmente, all’origine del sapere filosofico Platone dichiarò esserci il pathos (dolore) del thaumàzein (stupore). Tuttavia, col tramonto dell’epoca tragica, la metafisica ha rimosso progressivamente il trauma della conoscenza insieme allo stupore12. Il pathos è divenuto ostacolo al logos. La passione, da motore del processo conoscitivo, si è ritirata dall’agone filosofico lasciando sul campo un sapere esangue. Sgravata di densità carnale e protetta da ogni eccedenza vitale, la filosofia si è ridotta a puro esercizio teoretico. Beato tra i propri discorsi, come in uno specchio, privo di contatto con l’alterità13 e la conflittualità della singolarità vivente, il filosofo «riflette» anestetizzato al dolore del mondo14.
L’esperienza del sublime, invece, resiste, viaggia in senso opposto all’astrazione del concetto; s’impone in qualità di «fenomeno saturo»15, traboccante, capace di riaffermare la centralità del sentire a fondamento di ogni atto conoscitivo e di recuperare l’origine tragica della conoscenza. Lo stupore è una passione, non una riflessione: qualcosa che «ci colpisce prima ancora di conoscere la cosa»16. Quando assistiamo a un fenomeno saturo siamo travolti dalla sua impressione. Vi una «sintesi istantanea» che non è frutto del ragionamento perché «il fenomeno saturo eccede ogni sommatoria delle proprie parti – che d’altra parte, il più delle volte non possono nemmeno essere quantificate»17. Siamo di fronte a qualcosa che «ci si impone con una potenza tale che veniamo sommersi da ciò che si mostra, talvolta fino ad esserne completamente presi e affascinati»18. «Ogni fenomeno che produce lo stupore s’impone allo sguardo nella misura (più esattamente nella dismisura) in cui non risulta da nessuna somma delle qualità parziali prevedibile»19. La sorpresa che folgora è una rivelazione: in un lampo qualcosa si fa visibile e udibile con una certezza che è «semplice evidenza di fatto»20.
Con la sua dottrina del sublime Kant ci offre esempi di fenomeni saturi21: eventi che eccedono le «categorie e i principi dell’intelletto»22. La metafisica kantiana ha riconosciuto l’esistenza di fenomeni che oltrepassano il dicibile e l’esprimibile dal concetto, però li ha posti ai confini della filosofia23, considerandoli un limite invalicabile per l’insufficienza stessa del giudizio: «l’idea della ragione non può divenire conoscenza, perché contiene in concetto (del sovra-sensibile), al quale non si può mai dare un’intuizione adeguata»24.
Al contrario, miti, tragedie, poesie e componimenti mistici hanno continuamente riproposto questi fenomeni, insistendo per esprimere l’inesprimibile e la coincidenza dei contrari attraverso un linguaggio simbolico denso di ossimori, che ricolloca il sapere nella sua origine di dolente stupore, passionale e drammatica. Il simbolo, a differenza del concetto, è un «linguaggio radicale originario» che testimonia una «Presenza» fondante-fondata della «realtà»25. L’esperienza mistica si riferisce infatti al simbolo come a «un mezzo linguistico che permette alla realtà di manifestarsi nella realtà»26. Il simbolo crea un «punto di incontro del materiale col metafisico, del suono col significato, del senso con la realtà»27.
L’amore, emblema del fenomeno saturo, sopravanza sempre la possibilità della sua traduzione linguistica e agisce in noi «come la fede, per la quale amiamo Dio senza capirlo»28. L’esperienza amorosa è sempre un «dramma interiore» vissuto, non solo pensato. Volendo testimoniare ciò che sfugge alla ragione e sopravanza ogni capacità di riduzione concettuale, i simboli nascono
“… dallo slancio vitale, senza la mediazione di nessuna elaborazione”. “Ci sarebbe [in essi] una fusione tanto intima delle immagini e dell’esperienza che non si potrebbe assolutamente parlare di uno sforzo per dare forma plastica a un dramma interiore. Il simbolismo ci rivelerebbe, forse direttamente, un fatto che nessun’altra forma di pensiero ci avrebbe permesso di afferrare. E, pertanto, non si potrebbe parlare di traduzione di un’esperienza in un simbolo, bensì, nel significato stretto del termine, di esperienza simbolica”29.
Il simbolo è dunque un fatto drammatico, agito e patito, e il sublime, in quanto evento saturo, è un’esperienza simbolica dove «fatto» e «significato» sono tessuti insieme in una veste senza cuciture.
Col desiderio di approfondire la natura di un sapere che unisce eros e pathos e il ruolo che tale legame svolge nella creazione dell’opera d’arte – intimamente connessa alla testimonianza di fenomeni saturi – come avvio per i lavori de L’anima e il sublime30 ho proposto ai relatori un passo da Il Sublime di Longino31:
La natura non valutò noi, l’uomo, come un animale di poco conto e ignobile, ma introducendoci nella vita e nell’ordine dell’universo come in una gran festa, per essere spettatori di tutto quello che lì avviene (…) subito infuse nei nostri animi un amore invincibile verso tutto ciò che è grande e, in un certo senso, più straordinario di noi. Per questo, all’impulso della speculazione umana neppure l’intero cosmo è sufficiente, ma...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Dedica
  6. Introduzione: La passione per l’infinito
  7. Il sublime: dalla retorica antica al postmoderno
  8. Deserti sublimi. Varèse e le forme riflesse
  9. L’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo. Riflessioni sulla natura di due forme immaginative
  10. Visioni sublimi e nascita della psiche. Il bello è solo l’inizio del tremendo
  11. L’anima e il lavoro dell’infinito
  12. La soglia dell’anima. L’altrove del bello e del vero
  13. «Ma misi me per l’alto mare aperto». Ulisse e noi
  14. L’illimitato, l’anima, le cose
  15. Testi consigliati dai relatori
  16. Dal catalogo