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Saggi sulla cultura algoritmica

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Saggi sulla cultura algoritmica

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Il pensiero espresso in questo libro è un pensiero filosofico, perché si dispiega sulla "logica" del videogame e soprattutto sulla società del videogame, alla luce di interrogativi filosofici, alla ricerca di quei "concetti" che Gilles Deleuze e Felix Guattari – nel momento in cui pongono l'interrogativo "che cos'è la filosofia?" – hanno posto alla base del loro fondante progetto di pensiero che attua un serrato confronto con la scienza e la tecnologia.Non si tratta quindi di un trattato di sociologia o di sociologia dei media, e nemmeno un trattato di comunicazione o di massmediologia, né di estetica, ma un'opera di "filosofia".

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Informazioni

1. Azione di gioco (Gamic Action), quattro fasi

Un gioco, inteso come struttura ludica (game), è un’attività caratterizzata da regole, in cui dei giocatori tentano di realizzare qualche tipo di scopo. I giochi possono essere stravaganti o scherzosi, ma pure altamente seri. Si possono giocare da soli o dentro scenari sociali complessi. Tuttavia questo libro non parla dei giochi in astratto, neppure dei giochi in tutte le possibili varietà, elettroniche o meno. C’è ben poco qui sul game design, sulla performance, o sui mondi possibili o le narrazioni non lineari. Eviterò qualsiasi riflessione più estesa intorno al concetto di “gioco”. Questo libro, invece, riguarda uno specifico medium di massa: il videogame, dagli anni settanta del novecento all’inizio del nuovo millennio. Ci saranno poche deviazioni sul nostro cammino, verso il cinema e verso il computer.
Un videogame è un oggetto culturale, definito dalla storia e dalla materialità: consiste in un dispositivo (device) elettronico computazionale e in un’idea/struttura di gioco, ossia un game, simulata in un software. Il dispositivo elettronico computazionale – in poche parole la macchina – può presentarsi in numerosi modi. Può essere un PC, una macchina arcade, una console, un dispositivo portatile, o un qualsiasi altro tipo di costruzione elettronica.1 Detta macchina, di solito, è dotata di un dispositivo di ingresso (input), come una tastiera o un controller. Inoltre è dotata di una superficie leggibile, che funziona da uscita (output): uno schermo, per esempio, oppure altre modalità di interfaccia. Il software del gioco è caricato nella memoria della macchina. Un software sono dei dati: i dati forniscono delle istruzioni all’hardware della macchina, che via via esegue queste istruzioni a livello materiale. Lo fa muovendo dei bit di informazione da un luogo a un altro, eseguendo operazioni logiche su altri dati, innescando dei dispositivi materiali ecc. Il software induce la macchina a simulare le regole del gioco, per mezzo di azioni significative. Il giocatore, od operatore,2 è qualcuno che agisce individualmente, comunicando con il software e con l’hardware della macchina: manda messaggi codificati grazie ai dispositivi di ingresso e riceve messaggi codificati attraverso i dispositivi di uscita. Sommando tutti questi elementi, ecco ciò che chiamo gaming, ovvero l’intero apparato del videogame. Si tratta di un medium culturale potente, che coinvolge un vasto numero di macchine organiche e di altrettante macchine inorganiche. Inserito all’interno dei sistemi di informazione della società millenaria, questo particolare medium è destinato a ricoprire un ruolo significativo nel tempo che verrà.
Partiamo da qui: se le fotografie sono immagini e i film sono immagini in movimento, allora i videogame sono azioni. Facciamo che questa è la parola numero uno per una teoria sul videogame. Senza l’azione, i giochi restano confinati nelle pagine di un libro di regole astratte. Senza la partecipazione attiva dei giocatori e delle macchine, i videogame esistono solo in qualità di codici inerti da computer. I videogame iniziano a esistere quando la macchina si accende e il software gira: esistono quando sono agiti.
Dunque i videogiochi sono azioni. Considera le differenze formali con gli altri media: diciamo che uno scatta una fotografia o che uno è attore in un film. Il fatto è che queste azioni avvengono prima o durante la creazione di un’opera, che alla fin fine è destinata a prendere la forma di un oggetto materiale (una specie di stampa). Con i videogiochi l’opera in sé è un’azione materiale. Uno agisce, per l’appunto gioca a un videogame. Il software gira. L’operatore e la macchina giocano insieme al videogame, passo dopo passo, mossa dopo mossa. In questo caso l’opera non è qualcosa di solido e integrale come per gli altri media. Considera la differenza tra una macchina fotografica o una macchina da presa e un joystick, oppure tra un’immagine e un’azione, o meglio ancora tra il guardare e il fare. Nei suoi studi sul cinema, Gilles Deleuze ha utilizzato il termine immagine-movimento, per descrivere l’espressione della forza o dell’azione in un film. Nei videogame l’immagine-movimento è sopravvissuta, ma esiste non in qualità di istanza rappresentativa storica o formale, quanto come il fondamento di un intero e nuovo medium. “I giochi sono sia oggetti sia processi”, scrive Espen Aarseth, “non possono essere letti come dei testi o ascoltati come una musica, devono essere giocati.”3 Insomma per capire i videogiochi bisogna comprendere in che modo l’azione stia dentro un processo di gioco, un gameplay, facendo attenzione alle sue molteplici varianti e gradi di intensità.
Space Invaders, Taito Corporation, 1978
Fig. 1: Space Invaders, Taito Corporation, 1978.
Berzerk, Stern Electronics, 1980
Fig. 2: Berzerk, Stern Electronics, 1980.
Bisogna resistere alla tentazione di equiparare l’azione di gioco (gamic action) a una teoria dell’interattività o a una teoria dei media sul pubblico attivo. La teoria del pubblico attivo rivendica il fatto che i pubblici producano sempre le loro interpretazioni e ricezioni dell’opera. Invece ritengo, rifacendomi alla cibernetica e all’informatica, che un medium è attivo se la materialità in senso stretto lo movimenta e lo struttura: i pixel che si accendono e si spengono, i bit che si muovono nelle memorie hardware, i dischi che girano e rigirano. In ragione di questa possibile confusione, qui eviterò la parola interattivo: piuttosto preferisco definire il videogame un medium basato sull’azione (action-based), come il computer.4
Per questo motivo sta ora avvenendo, per la prima volta dopo parecchio tempo, un interessante terremoto nell’ambito della cultura di massa. Ciò che, abitualmente, era anzitutto dominio degli occhi e dello sguardo, riguarda adesso più i muscoli e il fare – anzi i pollici, per essere precisi. Inoltre, ciò che abitualmente era l’atto del leggere è ora l’atto del fare, o più semplicemente l’atto. In altre parole, mentre i media di massa come il cinema, la letteratura, la televisione e simili continuano a generare varie discussioni su rappresentazione, testualità e soggettività, è nel frattempo emerso un medium del tutto nuovo, i computer e nello specifico i videogame, che si fonda non sullo sguardo o sulla lettura, ma sul sollecitare dei mutamenti materiali attraverso l’azione. La cosa più curiosa di questo terremoto è che, per rubare la definizione di hacker data dal Critical Art Ensemble, i lavoratori culturali più importanti sono oggi i bambini.
Le persone muovono le mani, i corpi, gli occhi e le bocche quando giocano a un videogame. Pure le macchine agiscono. Lo fanno in risposta alle azioni dei giocatori, ma anche indipendentemente da loro. Philip Agre, sfruttando metafore linguistiche e strutturali, parla di “grammatica dell’azione”, quando deve descrivere il modo in cui le attività umane sono codificate per l’analisi da parte dei dispositivi.5
I videogame generano le loro grammatiche dell’azione. Il controller fornisce agli umani il primo lessico materiale per poter esprimere delle grammatiche gestuali. Tuttavia aldilà del controller, i videogiochi hanno anche delle loro proprie grammatiche dell’azione, che emergono durante il gameplay, il processo di gioco. Dette grammatiche fanno parte del codice: aiutano a trasferire i messaggi da un oggetto all’altro dentro il software della macchina; inoltre aiutano a sviluppare azioni di livello superiore, tipiche in situazioni comuni di gioco, come i potenziamenti o i ritardi di rete.
Iniziamo intanto a distinguere due tipologie di azione di base: azioni della macchina e azioni dell’operatore. Qui la differenza: le azioni della macchina sono degli atti eseguiti dal software e dall’hardware del computer di gioco, mentre le azioni dell’operatore sono atti eseguiti dai giocatori. Sicché, se è un atto dell’operatore vincere a Metroid Prime, il rispettivo perdere è un atto della macchina. Trovare un potenziamento dentro Super Mario Bros. è un atto dell’operatore, ma è un atto della macchina accrescere la salute del personaggio per mezzo del potenziamento.
Certo, la divisione è del tutto teorica, perché la macchina e l’operatore vanno avanti assieme in una relazione cibernetica finalizzata a realizzare le varie azioni del videogioco nella sua totalità. Ontologicamente i due tipi di azione sono la stessa cosa. Nella maggior parte dei gameplay, dei processi di gioco, le due azioni esistono come un unico e singolo fenomeno, anche se vengono qui distinte per necessità di analisi. In questo libro non si prediligerà una tipologia di azione piuttosto che un’altra (come di solito accade nello studio dei media): nei videogiochi l’azione della macchina conta quanto quella dell’operatore.
Mi si potrebbe chiedere: qual è il divertimento di un gioco praticato da un “operatore” e da una “macchina”? Eppure i videogame possono essere assai piacevoli: ti immergono e ti incantano. Tra l’altro, in termini di tempo i videogame richiedono un rilevante investimento ai loro giocatori. Nel gaming c’è una lunghezza non paragonabile agli altri media di massa. Molti videogame prendono fino a sessanta o ottanta ore complessive di gioco. Alcuni, per esempio The Sims Online o World of Warcraft, vanno ben oltre. Ora, il videogame non è solamente un balocco: è anche una macchina algoritmica e, come tutte le macchine, funziona grazie a precise e codificate regole. Il giocatore – ossia l’“operatore” – è quello che deve confrontarsi con detta macchina. Nella nostra epoca è qui il divertimento. Ma qui è pure l’opera. Sfrutto le parole operatore e macchina non per sminuire il valore del gioco divertente e significativo, ma per sottolineare che, nella sfera dei media elettronici, le strutture di gioco sono fondamentalmente sistemi di software cibernetici che coinvolgono degli agenti sia organici sia inorganici.
Warcraft III, Blizzard Entertainment, 2002
Fig. 3: Warcraft III, Blizzard Entertainment, 2002.
Come ha scritto il grande teorico dei media tedesco, Friederich Kittler, un codice è l’unico linguaggio che fa ciò che dice. Un codice qui non è solamente un linguaggio con una sintassi e una semantica, ma è pure il linguaggio macchina. Durante una sessione, il codice si muove. Il codice genera mutamenti materiali in senso letterale: porte logiche si aprono e si chiudono; flussi di elettroni; i display dei dispositivi che si illuminano; i dispositivi di ingresso e memoria che transustanziano dal materiale al matematico. Sì, i videogame sono giochi, ma più ancora sono sistemi di software: questo deve essere ben impresso nella mente di chi li analizza. In parole povere, il videogame Dope Wars ha molto più in comune con il software finanziario Quicken che con i giochi tradizionali, come gli scacchi o la roulette o il biliardo. Dunque è dalla prospettiva di un software informatico, degli oggetti culturali algoritmici, che questo libro ha qualcosa da dire.
Deus Ex, Ion Storm, 2000
Fig. 4: Deus Ex, Ion Storm, 2000.
L’azione di gioco è in genere descritta come ciò che avviene in uno spazio separato, semiautonomo, comunque estraneo alla vita normale. L’antropologo e sociologo francese Roger Caillois scrive che il gioco è un’attività “fittizia”, per cui è “accompagnata dalla consapevolezza specifica di una diversa realtà o di una totale irrealtà rispetto alla vita normale”.6 Lo storico della cultura Johan Huizinga concorda quando afferma che il gioco trapela da qualcosa che “si distingue dalla vita ‘ordinaria’.”7
Ora, in aggiunta alla precedente distinzione tra macchina e operatore, bisognerebbe proporre una seconda possibile divisione, sempre per necessità di studio: nei videogame ci sono azioni che avvengono in spazi diegetici e azioni che accadono in spazi non-diegetici. Uso i termini diegetico e non-diegetico a partire dalla teoria letteraria e dei film. Naturalmente, nel passaggio da un medium a un altro il significato delle parole cambia un po’.8 La diegesi di un videogame è la totalità del mondo giocabile proprio dell’azione narrata. Come per il cinema, dunque, la diegesi del videogame include sia elementi scenici, visibili, che extra-scenici, invisibili. Include infatti i personaggi e gli eventi mostrati, ma pure le cose che vengono meramente citate o che si presume esistano nella situazione di gioco data. Certo alcuni videogame possono non avere narrazioni elaborate, ma c’è sempre un minimo, c’è sempre uno scenario elementare o un ambiente – la cosiddetta seconda realtà di Caillois – che funziona da diegesi per la struttura di gioco. Per esempio, in PONG c’è un tavolo, una palla e due palette; in World of Warcraft ci sono due grandi continenti con un mare in mezzo. Al contrario, gli elementi di gioco non-diegetici sono quegli elementi dell’apparato di gioco esterni al mondo proprio dell’azione narrata. Nella teoria dei film, il non-diegetico si riferisce a tutta una serie di tecniche formali che fanno parte dell’apparato filmico, pur restando fuori dal suo universo narrativo: per esempio i crediti o i titoli. Dicendo non-diegetico, vorrei evocare lo stesso ambito per i videogame, ovvero gli elementi di gioco che sono dentro l’intero apparato di gioco ma fuori da quella porzione dell’apparato che costituisce il mondo simulato dei personaggi e della storia. In poche parole, gli elementi non-diegetici sono spesso connessi in modo centrale all’atto del giocare, per cui il loro essere non-diegetici non vuol dire necessariamente essere estranei al gioco (nongamic). Talvolta gli elementi non-diegetici sono ben inseriti nel mondo di gioco. Altre volte, invece, sono del tutto esterni. L’heads-up display (o HUD), ossia l’interfaccia presente sullo schermo, in Deus Ex è non-diegetico, ma le diverse stanze e gli ambienti del gioco sono diegetici. Oppure in Berzerk, premere start è un atto non-diegetico, mentre sparare ai robot è un atto diegetico. Allo stesso modo, attivare il pulsante pausa in Max Payne è un atto non-diegetico, ma attivare l’effetto di slow-motion durante una sparatoria è un atto diegetico. Come risulterà evidente, il non-diegetico è ben più comune nel gaming che nei film o in letteratura, e proprio per questo sarà un argomento cruciale nel mio studio. Infatti, trovo che il bisogno di impiegare il concetto di diegesi nasca non tanto dal desiderio di ridurre i giochi a testi narrativi, quanto dal suo opposto: lo si fa, anche in modo negativo, perché è il non-diegetico a essere importante nei videogame. Tra l’altro, in certe occasioni sarà difficile demarcare la differenza tra atti diegetici e non-diegetici, perché il processo di continuità di un buon gioco dipende dalla fusione il più possibile inavvertita di questi due atti.
Sovrapporre questi due assi ortogonali – macchina e operatore, diegetico e non-diegetico – risponde al voluto tentativo di riunire in un unico insieme una vasta teoria sull’azione di gioco.9 Vorrei creare qui uno spazio specifico per l’intero medium. Secondo questo modello, premere pausa vale tanto quanto sparare con un’arma. I trucchi sono significativi tanto quanto le strategie. Altri approcci al tema potrebbero trascurare tutto ciò. I quattro quadranti generati dall’incrocio dei due assi forniranno la struttura per il prosieguo del capitolo. Così posso proporre quattro fasi relative all’azione di gioco. Ognuna svelerà una prospettiva diversa intorno alle qualità formali del videogame.

Puro processo - prima fase

Il primo quadrante ri...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Rendering in corso... Simone Arcagni
  5. Nota all’edizione italiana Giacomo Pedini, Mauro Salvador
  6. GAMING
  7. Prefazione
  8. 1. Azione di gioco (Gamic Action), quattro fasi
  9. 2. Origini del first person shooter
  10. 3. Realismo sociale
  11. 4. Allegorie di controllo
  12. 5. Controgaming
  13. Gaming 2022 Conversazione con Alexander R. Galloway a cura di Giacomo Pedini e Mauro Salvador
  14. Note