IX
Entrare in scena e cooperare
I bambini giocano; giocando imparano a stare al posto di un altro; stando al posto di un altro entrano in scena; entrando in scena apprendono a cooperare; cooperando sviluppano la loro natura sociale. Già il termine latino ludus, che ha in sé i significati di apprendimento e di rappresentazione, possiede una buona parte di queste caratteristiche.
a. Ludus come rappresentazione e come imitazione
Il termine latino ludus è presente in modo notevole già in Plauto e in Terenzio e da subito possiede il significato dell’apprendimento, una attività che si svolge a scuola. Come è stato osservato:
«Esempi di ludus indicante la ‘scuola’ infantile, intesa sia come attività di apprendimento, sia come luogo, si trovano un po’ in tutta la latinità».
Se teniamo conto del fatto che il gioco, oltre che divertimento, è apprendimento, troviamo questo significato almeno nella società e nella cultura romane. Ma ludus anche quando non si riferisce alla scuola infantile, bensì al mondo degli adulti, ha a che fare con i concetti di rappresentazione e di messa in scena. Il gladiatore ludit, sta facendo cioè la rappresentazione di un combattimento autentico. Per quanto violento e mortale sia questo gioco, resta comunque una rappresentazione. Negli adulti la rappresentazione che finge un combattimento assume letteralmente tutti i tratti di un combattimento in guerra, nei bambini, così come nei cuccioli dei mammiferi superiori, la finzione, molto più saggiamente, si mantiene nei limiti di una messa in scena che non oltrepassa i confini di un agire metaforico. Così è per esempio per i bambini che fanno i soldati e le bambine che fanno le mamme, così è, ugualmente, per due gattini che giocano alla guerra, due cagnolini o due scimmiette.
D’altra parte, ludus al plurale indica quasi sempre ludi publici. Il ludus in sostanza è un’attività che sta tra il gioco, la finzione e l’esercizio. Ciò che è insito nel gioco così come nella finzione è quel che potremmo definire lo stare al posto di un altro, condizione caratteristica dell’attore, il quale in realtà costituisce un caso particolare di un’attività che acquisiamo tutti sin da piccoli. Assai presto infatti siamo capaci di mettere in scena e di vestire i panni di qualcun altro che vogliamo imitare. In questo senso il ludus non solo è scuola e attività di apprendimento, è anche, appunto, rappresentazione. Ludus ha infatti il significato di finzione nel senso teatrale della parola. I gladiatori, come già detto, sia pure in un gioco mortale, fanno rappresentazione e danno spettacolo. È proprio questo connubio semantico tra il termine ludus e l’idea di spettacolo, apprendimento, scuola che merita di essere rilevato. In particolare spinge alla riflessione il rapporto tra apprendimento e finzione. Si tratta di un rapporto che richiama l’attività teatrale, l’atto di mettere in scena. Un’azione che, come già osservato, le bambine e i bambini fanno spontaneamente giocando alle mamme e ai soldati. E che ha portato, come vedremo, uno storico del teatro come Silvio d’Amico ad affermare appunto che l’origine del teatro può essere fatto risalire alle bambine che fanno le mamme e ai bambini che fanno i soldati.
Riassumendo, la parola ludus ha a che fare con la rappresentazione:
«Al di là di tutti i casi nei quali ludus e ludo si riferiscono all’apprendimento o all’esercizio, uno degli aspetti che più sembrano caratterizzare la nozione espressa da questa famiglia lessicale è l’idea di rappresentazione, di imitazione, rintracciabile in una quantità innumerevole di passi e di autori di ogni epoca».
Ma cosa accomuna i due significati, cioè gioco e apprendimento, contenuti da ludus? Il carattere simbolico di entrambe le azioni che si caratterizza come facoltà mimetica. È dunque l’imitazione, quella che porta il bambino a fare il soldato e la bambina a fare la mamma, a tenere insieme il gioco e l’apprendimento. Vi è come un filo rosso che collega la mimesis di Platone e Aristotele ai neuroni-specchio. Ma imitare non vuol dire affatto copiare. Nell’imitazione vi è sempre una differenza che si associa alla somiglianza fra l’azione imitata e l’azione originale. L’homo mimeticus è già nei bambini che giocano fingendo di stare al posto di un altro. La messa in scena è connaturata alla nostra specie, così come a quella dei mammiferi superiori e degli altri animali. Ma mentre gli insetti e i rettili riescono a ingannare con il loro mimetismo, gli umani e i mammiferi superiori con l’imitazione giocano e apprendono. Il loro stare al posto di un altro, il loro mettere in scena non ha lo scopo di ingannare il predatore o lo spettatore, ma quello di renderlo complice consapevole del gioco. L’imitazione non è il trompe l’œil, che pure, nell’arte di ingannare gli occhi, viene esibito come un inganno svelato, in modo analogo a un prestigiatore che mostra al pubblico i trucchi delle sue magie. Come scrive Aristotele nella Poetica:
«l’imitare è connaturato agli uomini sin dalla nascita (e in ciò l’uomo si differenzia dagli altri animali, nell’essere il più portato ad imitare e a procurarsi per mezzo dell’imitazione le nozioni fondamentali), dall’altra il fatto che tutti traggono piacere dalle imitazioni».
Una caratteristica dell’imitazione è appunto lo stare al posto di un altro, ciò che un attore o un rapsodo fanno simulando di essere qualcun altro. Ma lo fa anche un danzatore, come ci dice Lucrezio (2, 629-631) quando ci narra dei Cureti i quali danzano ritmicamente esaltati alla vista del sangue (ludunt in numerumque exultant sanguine l...