Chi sono i Gesuiti
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Chi sono i Gesuiti

Storia della Compagnia di Gesù

  1. 128 pagine
  2. Italian
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Storia della Compagnia di Gesù

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Perché sant'Ignazio di Loyola ha fondato i gesuiti? Voleva riunificare due dimensioni che la modernità, segnata dalla Riforma di Calvino, aveva disgiunto: il cuore e la ragione, il pensiero e le emozioni. È quanto afferma il gesuita Jorge Mario Bergoglio nei testi qui presentati per la prima volta al lettore italiano. Da questa separazione derivano – secondo il futuro papa – molti degli snodi oscuri della storia moderna: il primato assoluto della scienza rispetto all'etica; la separazione della società in classi contrapposte; l'annullamento del popolo, disprezzato da élite che usano un «potere senza cuore»; la fine dell'unità della Chiesa. Con la finezza di un pensiero plasmato dall'umanesimo cristiano, Bergoglio ci aiuta a comprendere il «segreto» della Compagnia: «Ignazio è l'uomo che rende possibile il dialogo tra la parola di Dio e la cultura della sua epoca; quel dialogo si fa istituzione». Pagine da gustare per conoscere l'appartenenza più intima di papa Francesco.«Sant'Ignazio rispetta la varietà delle culture, dei popoli, dell'interiorità delle persone» Jorge Mario Bergoglio - FrancescoCon una introduzione di padre Antonio Spadaro, direttore della rivista La Civiltà Cattolica.INEDITO IN ITALIANO

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Informazioni

Editore
EMI
Anno
2014
ISBN
9788830722194
CRITERI DI AZIONE APOSTOLICA
Testo pubblicato sul Boletín de espiritualidad della Provincia argentina della Compagnia di Gesù, n. 64, gennaio 1980.
Ogni azione apostolica prende forma a partire da un dialogo tra la vocazione dell’apostolo (che implica il mandato, la missione) e la realtà concreta di «tempi, luoghi e persone». In altre parole, l’universalità del mandato deve, a sua volta, inculturarsi in quelle situazioni. Considerando le nostre realtà vicine, si possono enumerare una serie di criteri utili per l’azione apostolica.
1. La tentazione del ripiegamento
Una tentazione in cui possiamo cadere è quella di fissarci in un eterno ripiegamento, accontentandoci di quello che abbiamo già raggiunto.
Questo non va bene: soffoca l’anima. Ma non va bene nemmeno vivere nella preoccupazione, nel dubbio, nella continua discussione di sé stessi, come se non volessimo sentire il conforto del Signore.
Allora, come andare avanti, accettando i doni e le visite del Signore e, al tempo stesso, non usandoli come un «nido» che ci precluda l’avanzata?
Conviene ricordare che lo stato abituale di un gesuita dovrebbe essere di consolazione, almeno nella sua situazione di pace. Come dice sant’Ignazio, la consolazione è «ogni aumento di speranza, fede e carità, e ogni letizia interna che chiama e attrae alle cose celesti e alla salvezza della propria anima, quietandola e pacificandola nel suo Creatore e Signore» (ES 316).
La quotidiana lotta per il Regno deve portarci a «respingere» la desolazione (cfr. ES 313) e ad abituarci a vivere consapevolmente in quella pace che è frutto dei doni del Signore, perché da quella pace e conforto (dell’anima quieta e pacificata) nasce la creatività apostolica che è il criterio d’azione più fecondo.
Sembra, all’opposto, un atto di «cattivo spirito» temere la gioia legata alla visita del Signore. Si tratta di un pudore negativo, addirittura insolente, che finisce con il torturarci nella sterilità.
È negativo ingolosirsi della consolazione: un atteggiamento che, successivo alla vera consolazione, può nascere «dal corso dei pensieri… o dal cattivo spirito» (cfr. ES 333). E non va bene nemmeno respingere la consolazione e la pace del Signore (cfr. Mt 28,17; Mc 16,8; Lc 24,11.25.41; Gv 20,25.27-29).
Quando si verifica una di queste due cose, ci farà molto bene, seguendo il consiglio di sant’Ignazio, «fare molta attenzione al corso dei pensieri: [e vedere] se […] nel corso dei pensieri suggeriti si va a finire in qualche cosa cattiva o distrattiva o meno buona di quella che l’anima si era prima proposta di fare, o la infiacchisce o inquieta, o conturba l’anima, togliendo la sua pace, tranquillità e quiete che prima aveva»; infatti «è chiaro segno che questo procede dal cattivo spirito, nemico del nostro progresso e salvezza eterna» (ES 333).
Perfino il desiderio di subire disprezzo e umiliazioni – che potrebbero verificarsi nell’attività apostolica – deve radicarsi nella gioia e nella pace di sentirsi perdonati: come dice sant’Ignazio, dal domandarci «cosa ho fatto per Cristo, cosa faccio per Cristo, cosa devo fare per Cristo» (ES 53).
2. La creatività come grazia e come tentazione
Esiste una creatività che nasce dalla gioia del Signore e che è una grazia. Si tratta della creatività che prende corpo nella scelta ignaziana, consolidata dalla conferma che viene dal Signore.
Quando – nel «Principio e fondamento» degli Esercizi – guardiamo a che scopo siamo creati, quando – negli stessi Esercizi – rinnoviamo la nostra offerta al Re eterno (cfr. ES 97) e quindi chiediamo di «essere ricevut[i] sotto la sua bandiera» (ES 147) giungendo al punto di «sopportare ignominie e ingiurie, per più imitare il Signore in esse» (cfr. ES 147), cercando di raggiungere, «se fosse di uguale o maggiore servizio e lode di sua divina maestà» (ES 168), la «terza […] umiltà perfettissima»; e con questi sentimenti chiediamo al Signore cosa voglia da noi, allora siamo creativi in Dio: il nostro magis ha un volto concreto, conduce a sfide concrete, chiede soluzioni concrete.10
Poiché questa creatività è grazia, essa è anche passibile di tentazione: quando ci soffermiamo sulle risonanze della consolazione passata, credendo che in esse stia parlando il Signore (cfr. ES 336), e ci crogioliamo, diventando passivi, «accomodati»; o quando semplicemente non accettiamo il conforto di Gesù, come se ne avessimo paura, e ci aggrovigliamo nell’ansia di cercare uno spirito «creativo» che, in definitiva, è un’astrazione senza fondamento storico.
Davanti a questa possibile doppia tentazione dobbiamo ricordare che la nostra creatività in Dio dev’essere al tempo stesso semplice e forte: è un andare avanti – senza indugiare – nello spirito creativo con cui il Signore ha voluto benedirci.
Le persone che si fermano a godere staticamente dei progressi apostolici che hanno compiuto non vanno mai oltre lo spirito infantile capace soltanto di chiedere ciò che lo fa contento. Quelle che, d’altra parte, si affannano a cercare una creatività eterea, mostrano nel loro comportamento quello spirito adolescente che sa soltanto protestare e rivendicare, perché non accettano in cuor loro di appartenere al gruppo apostolico – sacerdotale, religioso, laicale – che è come una casa, una famiglia, dove si dà la gioia nel Signore, il quale, poiché è la nostra forza (cfr. Ne 8,10), ci identifica e ci consolida.
I primi sono i superficiali accomodanti; i secondi sono i tormentati, più quaccheri che cattolici, i fanciulli dei quali ci parla san Paolo (in greco nepioi, cfr. 1Cor 3,1). Entrambi negano la storia: i primi ne rifiutano il continuo procedere, mentre i secondi respingono il suo lento consolidarsi per non riconoscere la fragilità della loro debolezza. Nessuno dei due atteggiamenti aiuta il servizio divino, perché non sono del Signore.11
Talvolta dovremmo interrogarci sull’insoddisfazione, sul latente «senso di colpa», sulla carenza di identità apostolica – sacerdotale, religiosa, laicale – che possono annidarsi in questi atteggiamenti. Di certo quanti ne patiscono non hanno ancora saputo raggiungere la capacità di reggere quelle antinomie che costituiscono il nostro essere di apostoli e che trovano una formulazione sintetica nel classico – entro la s...

Indice dei contenuti

  1. CHI SONO I GESUITI
  2. INTRODUZIONE - IL MONDO È IL CANTIERE DI DIO
  3. PREAMBOLO
  4. CHE COSA SONO I GESUITI?
  5. STORIA E PRESENZA DELLA COMPAGNIA DI GESÙ IN ARGENTINA
  6. CRITERI DI AZIONE APOSTOLICA
  7. UNA MEDITAZIONE. IL SIGNORE DEL MIRACOLO DI SALTA
  8. NOTA REDAZIONALE