IMPERDONABILE RIFIUTARE
LA TERZA POSSIBILITÀ
Hung-Tsao Chang (Taiwan)
Da bambino, non avevo la minima idea del Signore. Il nome «Gesù» non mi diceva niente. Ero nato in un oscuro villaggio di campagna sulla sponda settentrionale del Fiume Azzurro (Yangtze), non lontano dalla famosa città di Yangzhou. Non avevo mai visto una croce né una chiesa: non ce n’erano nelle vicinanze della mia casa. Gli edifici religiosi che di tanto in tanto vedevo erano templi buddhisti o santuari taoisti.
A quel tempo, le famiglie del ceto medio in Cina vivevano generalmente in case di otto stanze disposte attorno a un cortile. La stanza centrale nella parte posteriore era il soggiorno ed era considerata il centro della famiglia. Qui si svolgevano le attività più importanti, compresi i riti religiosi, il ricevimento degli ospiti, i pranzi ufficiali, eccetera.
Nella parte mediana della parete posteriore, dirimpetto all’entrata della sala della mia famiglia, su un rotolo appeso campeggiavano cinque bei caratteri cinesi dipinti da ottimi calligrafi: «cielo» (天), «terra» (地), «imperatore» (君), «antenati» (親), «maestri» (師).
Alla sua sinistra, una striscia, su cui era rappresentata la dea della misericordia, una famosa discepola di Buddha Śākyamuni; alla sua destra, un tempio degli antenati della famiglia Chang. Questo genere di ornamento, all’epoca molto comune nelle case della classe media, era una combinazione di concetti confuciani, buddhisti e taoisti. Mia nonna era solita bruciare l’incenso di fronte a questi tre oggetti, tre volte al giorno, oltre che alle feste sacrificali nelle occasioni speciali, come giorni di festa, compleanni o anniversari degli spiriti.
Se mi si chiedesse quale fosse la religione della mia famiglia, che cosa dovrei rispondere? I cinque caratteri nella striscia centrale di cui ho appena detto sono alla base della fede della mia famiglia. I primi due, «cielo» e «terra», rappresentano la fede comune condivisa da tutti i confuciani, i buddhisti e i taoisti; gli altri tre e il tempio degli antenati sono più utilizzati dall’umanesimo confuciano. Direi perciò che la mia famiglia era più influenzata dal confucianesimo. Ma in quegli anni io non conoscevo nulla di Dio. La mia mente era profondamente impressionata dalla parola «Bodhisattva» insegnatami da mia nonna.
Fu solo quando iniziai la scuola media inferiore, nella città della contea, che ebbi modo di vedere un luogo di incontro di protestanti, in una casa tradizionale cinese con una croce di legno sul tetto. Contrariamente a quanto si vede nei templi buddhisti, ricchi di statue del Buddha, decorazioni colorate e fiammelle tremolanti in una fumosa atmosfera di incenso, quell’ambiente era quasi vuoto, solo con alcune file di panche, di quelle comunemente usate nelle famiglie ordinarie, lasciate lì alla rinfusa. Ne rimasi stupito. «Che cosa adorano questi? Dove sono i loro Bodhisattva?», mi domandavo.
Un compagno di classe m’invitò a casa sua e non trovai nessuno di quegli oggetti che si trovano nel soggiorno della mia famiglia. Non c’era il rotolo appeso con i cinque caratteri, non c’era l’immagine della dea della misericordia, né l’altare degli antenati. Soltanto un quadro con la figura di uno straniero barbuto. «Quello è Gesù», mi disse gentilmente il compagno. «Gesù? Io non l’ho mai visto nei templi», dissi io. «Vuoi scherzare?», mi guardò incredulo. In quel periodo, altri mi avevano detto che quella era la stessa religione cui aderiva il generale Fong, un famoso capo militare. «Questa è una religione straniera», mi dicevano. «Non è buona, non rispettano gli antenati». In Cina, non rispettare gli antenati è un’offesa grave alla pietà familiare. Tuttavia, i genitori del mio compagno di classe erano persone di grande cultura, molto stimati nei circoli culturali. Ed erano cristiani.
Il matrimonio
Le vicissitudini della guerra mi portarono sull’isola di Taiwan, dove incontrai Eleonora, la giovane donna che poi divenne la mia cara sposa. Il giorno in cui le chiesi la mano, lei mi disse: «Non sai che io sono cattolica?». «Certo che lo so», risposi io. «Quindi, devi prima farti battezzare. Una cattolica non può sposare un non cattolico», replicò lei, seria. Rimasi perplesso. D’un tratto, tutti i miei ricordi d’infanzia tornarono a popolarmi la mente: i commenti dei miei compaesani su questa religione straniera, i vari sacrifici della mia famiglia e, soprattutto, l’addobbo particolare del soggiorno, sempre così caro al mio cuore. Adesso Eleonora mi chiedeva di abbandonare le tradizioni di famiglia per abbracciare una bizzarra religione straniera che non rispettava gli antenati. Non era troppo impormi di abbracciare una nuova religione solo per avere in cambio una moglie?
Quando lei si rese conto di ciò che mi turbava, sorrise e mi domandò: «Pensi forse che io sia una ragazza disubbidiente ai suoi genitori, o che manchi di rispetto agli antenati?». Mi portò allora a visitare la sua chiesa, la Sacra Famiglia di Taipei, e mi presentò a padre He, un anziano e colto gentiluomo tedesco. Questi mi disse: «L’universo è complesso. Vi sono infinite cose esistenti e infiniti sono i cambiamenti, eppure tutto continua a svolgersi in maniera ordinata. Come può accadere ciò, a meno che non ci sia una forza regolatrice dietro la scena? E questa forza è certamente Dio onnisciente». E gentilmente mi consigliò di prendere lezioni di Bibbia da un altro anziano gentiluomo, il signor Sun.
Dopo la prima lezione sulla Genesi avemmo una discussione. Io dissi al signor Sun che noi in Cina avevamo una leggenda simile riguardo alla creazione, opera di Pen Ku, che «aprì il cielo e soggiogò la terra». Il signor Sun mi corresse subito: «Assolutamente no, la nostra è solo una leggenda, ciò che è riportato nella Bibbia è la verità». Non volli discutere oltre per non sciupare l’atmosfera amichevole e poter continuare ad ascoltare le sue piacevoli lezioni. Nel frattempo, il signor Sun cercò di appianare le nostre divergenze dicendo: «È vero, ci sono delle somiglianze tra la Bibbia e i nostri concetti tradizionali. Ne parleremo nelle prossime lezioni».
L’anziano uomo pareva contento dei miei progressi. Un giorno mi disse: «Mi sembra che tu abbia cambiato opinione riguardo al cattolicesimo. Che cosa ne dici?». Io risposi: «Penso proprio di sì. Il mio desiderio è di essere battezzato, se la mia umile domanda può essere accolta». «Che cosa?!». Mi fissò con gli occhi sbarrati. Soggiunsi: «Come lei sa, durante la settimana sono molto preso dai miei doveri di ufficiale dell’esercito. Quando avessi una domenica libera, desidererei occuparla studiando per superare l’esame di passaggio al servizio diplomatico. Spererei quindi di poter essere esonerato dall’obbligo della messa domenicale…». «Oh, no!». Il vecchio scosse la testa vigorosamente.
La mia richiesta era ingenua e ridicola. Come potrebbe la chiesa rompere le sue millenarie pratiche istituzionali e fare un’eccezione per la convenienza di un individuo? In ogni caso, avevo voluto essere onesto con la chiesa, non nascondendo la mia intenzione di prendere il battesimo senza poi poter partecipare all’eucaristia.
Dopo varie discussioni, ringraziammo padre Wei, che gentilmente ci diede il permesso di sposarci senza che io fossi battezzato, sulla promessa che i nostri figli sarebbero stati battezzati. Ci sposammo la primavera successiva alla Sacra Famiglia, e il celebrante fu padre He. L’anno dopo, nacque il nostro primo figlio e fu battezzato nella chiesa di Pei Tou. Tre anni più tardi nacque il secondo, e fu battezzato a Blantyre, in Malawi. Dopo cinque anni, nacque il nostro ultimo figlio, battezzato a Taipei.
Grazie a Dio, la nostra vita di famiglia procedeva bene, senza problemi e con un amore stabile. Eleonora è una fedele cattolica. Durante questi 47 anni lei ha sempre partecipato alla messa domenicale, eccetto quando era occupata con i nostri figli. Qualche volta mi offrivo di accompagnarla, ma lei raramente richiedeva la mia presenza. Dopo il matrimonio lei non fece mai accenno al mio mancato battesimo, né direttamente né indirettamente. Quanto a me, avevo mantenuto la promessa fatta a padre He, acconsentendo che tutti i miei figli ricevessero il battesimo. Sentivo di aver pagato il mio debito a Dio e di non aver altri doveri verso di lui. Ormai era tempo per me di godermi la vita fuori della chiesa senza altre preoccupazioni.
Povero me! Senza saperlo, stavo invece abusando della pazienza di Dio. Quando ero bambino, mia madre mi richiamava all’autocontrollo con un proverbio: «Ci sarà una disgrazia incombente quando una persona è intossicata da troppa gioia». È vero, quando una persona dimentica l’onnipresenza di Dio, quando l’arroganza sostituisce l’umiltà, la sfortuna è in agguato dietro l’angolo.
Nel gennaio del 2012 ci preparavamo allegramente a fare un viaggio in Nuova Zelanda con la famiglia del nostro primo figlio. Dieci giorni prima della partenza, fui ricoverato all’ospedale, colpito da una grave influenza che degenerò in una seria iposodiemia. Normalmente io sono un tipo calmo, ma la malattia mi rese loquace e facilmente irritabile, come fossi fuori di me. Scioccata dal mio cambiamento, Eleonora chiese a padre Paulin Batairwa di venire a farci visita in casa, e lui gentilmente ascoltò per ore le mie lamentele. La seconda volta, padre Paulin venne con padre Luigino Marchioron alla clinica dov’ero ricoverato, e insieme con Eleonora discussero della possibilità di battezzarmi prima della morte, ma la conclusione ...