Non siamo soli
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Non siamo soli

Credere e pregare in tempi difficili

  1. 64 pagine
  2. Italian
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Non siamo soli

Credere e pregare in tempi difficili

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Pregare e credere non sono mai una questione privata. Possiedono sempre un respiro che abbraccia l'altro. Perché nessun uomo è un'isola, come scrisse il poeta. Credere non è una scusa per chiudersi nel proprio io, anzi diventa il modo con cui ancora più fortemente spalancare il cuore al mondo. Il cardinale Zuppi ci accompagna nell'avventura più bella: scoprire che credere in Dio ci avvicina ancor di più all'umanità di cui facciamo parte, a partire dagli esclusi. In queste pagine risuonano parole semplici e antiche come «vita», «amore», «dono», «speranza». Nella penna di Zuppi diventano espressioni che sconfiggono le nostre paure, facendoci sentire accompagnati da un Dio vicino e che non ci abbandona.«Se crediamo, noi non possiamo più avere timore di nulla» Annalena Tonelli

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Informazioni

Editore
EMI
Anno
2021
ISBN
9788830724822


La sala della preghiera è il cuore
Il cristiano non è un solitario, intelligente o adulto, utilitarista o spettatore che sia. Il cristiano è sempre un figlio, generato come nuova creatura dal Signore che lo fa passare dalla morte alla vita, che lo prende con sé, che lo affida a sua madre, a cui è affidata sua madre e con lei i tanti fratelli.
Sappiamo come è facile accontentarsi di essere cristiani individuali, certo con un po’ di relazioni, ma essere figli e fratelli è altra cosa. Non serve amare le proprie idee senza considerare la concretezza della comunione, a volte sconfortante, delle nostre umanità.
Non serve sforzarsi da soli senza legarsi alla concretezza con una realtà di fratelli e sorelle da amare, servire, e farsi amare e servire. La chiesa non è mai una realtà virtuale! Lo diventa quando siamo individualisti, quando è lo scenario per il nostro protagonismo, quando non ci leghiamo per davvero e diventa un condominio, più o meno educato e socievole, dove viviamo qualcosa in comune, ma non una famiglia di fratelli e sorelle – diversissimi tra loro, ma fratelli.
Il vero rischio non è abituarsi a stare lontano, ma avere il cuore altrove! Io non mi abituerò mai a stare senza mio fratello, mia madre, mio padre, il mio amico. La distanza può aumentare il desiderio dell’incontro fisico perché l’incontro con Gesù è un fatto, un evento, una storia.
Se siamo individui, cercherò un supermercato dove prendere dei servizi, cambiando magari la qualità e il tipo di fornitura. Ecco perché continueremo il rosario nelle tante comunità e nelle zone. È la stessa comunione che si trova qui, nella cattedrale.
È la chiesa diocesana che vive la comunione (ed è questa la sfida!) che qui contempliamo e che è la stessa in ogni comunità, piccola o grande che sia. Dobbiamo costruire tante comunità di fratelli e sorelle, la famiglia di Dio, dove non c’è mio e tuo, perché tutto è mio proprio perché tutto è tuo, come nell’amore. La Parola suscita sempre una casa di amore e la casa dei fratelli è sempre una casa di preghiera.
La preghiera non è mai solo un’attività cerebrale. «La sala della preghiera è il cuore, non la testa. È una questione di amore e non primariamente di pensiero e di testa», scriveva il cardinale Danneels. Poi sappiamo che l’amore rende davvero intelligenti e saggi, con quella sapienza che i dotti e gli intelligenti non hanno e che invece appartiene a chi è come un bambino.
Ci aiuti Maria, madre premurosa di tutti, specie dei suoi figli più deboli, a combattere assieme il virus, a far crescere la comunione tra noi, a costruire tante comunità di fratelli intorno alla mensa della sua Parola, a gustare la gioia di essere insieme e di essere parte di questa madre che è la chiesa.
Siamo comunione, non siamo spettatori
Non possiamo proprio vivere separati! Questa lontananza fisica ci fa male e ci aiuta a combattere quella interiore e a stringere legami non tanto digitali, ma spirituali e umani, perché siamo chiamati ad essere una cosa sola, nella vita, non in astratto. Siamo una comunità. Le avversità possono aiutare a farci crescere nello spirito, che ha una grande qualità: trasformare il male in occasione di bene e così vincerlo e disarmarlo del tutto!
È la perfetta letizia di cui scrive l’apostolo Giacomo: «Considerate perfetta letizia, miei fratelli, quando subite ogni sorta di prove, sapendo che la prova della vostra fede produce la pazienza» (Gc 1,24). Il cristiano non ama stare male. Anzi!
Cerca la gioia, come tutti, forse ancora di più perché l’ha incontrata e sa che è possibile. Il cristiano non si converte per sacrificio, ma perché ha trovato la perla, proprio quella che cercava, di cui aveva bisogno, la «sua». Non vuole perderla.
È chiamato ad essere beato, sarà beato; riceve il «cento volte tanto», anticipo di quello che non finisce; scopre il prossimo in ognuno, quindi ha tanto prossimo, cioè tanti amici, tante persone, e anche il nemico non lo è più. Le difficoltà e sofferenze che il virus ha prodotto le affrontiamo – sia assieme sia personalmente – per crescere nell’amore, trasformandole in occasione di legame ancora più forte con il Signore e nell’aiutarlo a portare la luce dove non c’è.
In una prova enormemente più grande, Etty Hillesum, una donna ebrea morta nei campi di concentramento, diceva: «Tu non puoi aiutare noi, ma siamo noi a dover aiutare te, e in questo modo aiutiamo noi stessi. L’unica cosa che possiamo salvare di questi tempi, e anche l’unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di te in noi stessi, mio Dio. Forse possiamo anche contribuire a disseppellirti dai cuori devastati di altri uomini». È quel piccolo pezzo di Dio che ci rende forti e ci unisce alla sua e nostra famiglia, che è la chiesa.
Non siamo spettatori. La chiesa è comunione e questa coinvolge ciascuno e tutti la fanno propria e la regalano a loro volta. Siamo parte di quella rete che è l’amore di Dio, tessuta tra di noi perché la sua volontà è che l’uomo non sia solo.
La chiesa è comunità di persone, famiglia di Dio che dona anima e amore alle nostre famiglie e ad ognuno di noi. Nella chiesa impariamo a essere prossimo e a mettere in pratica il comandamento dell’«amatevi gli uni gli altri» che Gesù ci ha lasciato. Che gioia la presenza di Gesù che entra nelle case degli uomini, nella stanza del nostro cuore.
Il dono della comunità ci aiuta a riconoscere la bellezza delle nostre famiglie e delle nostre persone. Alcuni vivono soli, ma nessuno è solo, perché parte della comunità dei fratelli.
Grazie, Signore, nostro fratello che ci rendi fratelli. Tua madre ci parla sempre di te e ci fa incontrare tra noi. Sia benedetto il Signore sempre.
Gesù riaccende la speranza
La preghiera è speranza. La preghiera aiuta e nutre la speranza. Sperare non è, lo sappiamo, un ottimismo consolatorio, per sfuggire al turbamento causato dalla realtà e dai tanti problemi, a volte davvero così severi come quelli che stiamo vivendo, ai quali non sappiamo trovare risposte e che sembrano interminabili.
La speranza non evita il male. Anzi, è speranza proprio perché si confronta con il suo nemico, la disperazione o la più gentile rassegnazione, con le conseguenze che queste portano. L’ottimismo, quando si scontra con le difficoltà, si arrende subito, ci lascia nudi, senza difese e spesso con ancora più grande amarezza.
Pasqua riaccende tutte le speranze, ci rende capaci di affrontare il presente, perché chi spera non si fa ingannare dal male, dalla sua suggestione che ci rende vittimisti e rinunciatari. Se non abbiamo speranza, quando dobbiamo affrontare un cammino ci sentiamo incerti, facilmente perduti, mentre, se sappiamo che arriveremo, resistiamo e ci aiutiamo gli uni gli altri. La Pasqua rende noi, contraddittori, peccatori e increduli come i primi discepoli, testimoni di futuro.
Gesù è la speranza e ha sempre speranza, anche nell’angoscia più grande, quando si affida alla volontà del Padre. Ha speranza e per questo parlava a tutti e per tutti, dal peccatore più perduto al fariseo più coriaceo e respingente. Suscita speranza in tanti malati che al solo nome si sentono crescere le forze.
È la speranza del disperato più grande, il ladro crocifisso con lui, che gli affida la speranza che si era riaccesa in lui. Gesù non si rassegna mai, fino all’ultimo ci aspetta e ci viene a cercare, semina con abbondanza il seme della sua parola, con una speranza esagerata, perché desidera che diamo frutti.
L’amore di Dio resiste a grandi prove, non viene meno con facilità. L’amore di Dio sopporta tutto e l’amore di Gesù si fa sentire forti soprattutto nella debolezza, proprio quando ne abbiamo bisogno. Spesso con le persone si verifica l’opposto. «Prendono spunto dalle debolezze dell’altro per volgergli le spalle. Dio direbbe: hai tante debolezze che credo tu abbia un particolare bisogno di me e ti amo in modo speciale», scriveva il cardinale Martini. Sì, Gesù è la nostra speranza. «Siate lieti nella speranza, costanti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera» (Rm 12,12).
Come si fa a pregare?
Queste settimane ci hanno fatto entrare nella realtà, imprevedibile, complicata così com’è. Abbiamo dovuto cambiare nostre abitudini, piegarci a fare qualcosa che non avremmo certo scelto da soli. Ci siamo tutti scoperti fragili e umiliati.
Ma dobbiamo capire qual è la vera forza e scegliere di essere umili, e non solo umiliati, iniziando a servire per capire come posso aiutare gli altri. Servire per essere utili noi agli altri e non viceversa, perché se siamo utili siamo anche preziosi per qualcuno, diventiamo un valore che non ci possiamo dare da soli o lontano dalla realtà.
Ci siamo tutti scontrati con i problemi veri della vita, quelli che in realtà ci sono sempre stati ma pensavamo di poter ignorare, che non ci riguardassero, ingannati da quella pornografia della vita instillata dal consumismo e dal benessere piena di risultati e felicità distanti dalla realtà.
Ma c’è una domanda: saremo persone diverse oppure, appena passa la tempesta, riprendiamo gli atteggiamenti di sempre, l’individualismo, le furbizie, le convenienze personali, la corruzione, le inedie o il banale mettere sottoterra i talenti invece di «trafficarli»? Dipende da noi e soprattutto da chi ascoltiamo e con chi camminiamo.
Per questo il legame con le nostre comunità è fondamentale. Chi ascoltiamo? Ecco perché la preghiera è importante, perché è il primo modo personale per ascoltarLo e farci ascoltare, imparare chi Lui è e chi sono io, insomma trovare l’anima senza la quale si vive, sì, ma non da uomini.
La preghiera non è qualcosa di statico, è un’amicizia che implica uno sviluppo e spinge a una trasformazione, a una somiglianza sempre più forte con l’amico, diceva santa Teresa, che sapeva coniugare così bene preghiera e vita concreta. Tutti, sempre, possiamo imparare a pregare e tutti, sempre, sappiamo pregare poco.
E a pregare si impara pregando, come si impara a camminare camminando, ricordava sempre santa Teresa. La preghiera ci riempie dell’amore, ci fa credere alla luce anche quando ci sembra di non vedere niente, ci rende forti anche quando siamo deboli, ci sentiamo abbandonati o peccatori da non alzare nemmeno gli occhi.
A uno che non sapeva pregare il cardinale Martini consigliò questo, parlando di come pregava lui: «Io prego in modo molto semplice. Presento a Dio tutto ciò che mi viene in mente, tutto ciò che devo fare, che mi crea preoccupazioni, anche le cose piacevoli e soprattutto le persone a cui penso. Gli parlo in modo normale, per nulla devoto. Nella preghiera sento che qualcuno mi sostiene e mi supporta, anche quando vedo molti problemi, come le debolezze della chi...

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  1. La sala della preghiera è il cuore
  2. NOTA REDAZIONALE