Progetto di Francesco
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Progetto di Francesco

Dove vuole portare la chiesa

  1. 144 pagine
  2. Italian
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Progetto di Francesco

Dove vuole portare la chiesa

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La «rivoluzione gentile» di Francesco sta serenamente cambiando, anzi sconvolgendo, la Chiesa. Il papa venuto «quasi dalla fine del mondo» ha già impresso alla comunità cattolica una svolta eccezionale, che possiamo sintetizzare così: prima viene l'annuncio del Vangelo, poi i princìpi morali. Ovvero, è prioritario far sentire a tutti (uomini e donne, poveri e ricchi, dimenticati, omosessuali e «lontani», famiglie «normali» e famiglie «irregolari») la vicinanza avvolgente e partecipe del Padre di Gesù ad ogni persona. In questa straordinaria conversazione con Paolo Rodari, monsignor Víctor Manuel Fernández, il teologo da sempre più vicino a papa Bergoglio, affronta in dettaglio tutti i grandi snodi dell'attuale pontificato: il rapporto tra l'annuncio della misericordia divina e la sottolineatura delle esigenze etiche, l'esigenza di una Chiesa «fuori» e in permanente stato di missione, le resistenze ecclesiastiche rispetto all'originalità della proposta di Francesco, il fortissimo senso di «popolo» insito nella mentalità del pontefice sudamericano. Un libro-rivelazione, che racconta e spiega papa Francesco attraverso le parole del pensatore a lui più vicino.

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Informazioni

Editore
EMI
Anno
2014
ISBN
9788830722019
1 – L’ISPIRAZIONE DI FRANCESCO D’ASSISI
Il 16 marzo 2013, tre giorni dopo l’elezione al soglio di Pietro, Jorge Mario Bergoglio ha rivelato – durante un incontro con i giornalisti nell’Aula Paolo VI in Vaticano – che tanti cardinali dentro la Cappella Sistina avevano provato a suggerirgli quale nome scegliere: «Chi mi diceva: “Dovresti chiamarti Adriano, come il grande riformatore”. E, in effetti, la Chiesa deve essere riformata... Qualcun altro diceva: “Dovresti chiamarti Clemente. Clemente XV”. E perché mai? “Per rivincita su Clemente XIV che abolì la Compagnia di Gesù!”…». Ma poi, parlando con il cardinale Cláudio Hummes, che abbracciandolo gli ha chiesto di non dimenticarsi dei poveri, ha scelto di chiamarsi Francesco, il santo della povertà.
Chi è san Francesco per papa Bergoglio? Perché ha voluto chiamarsi come lui? Diverse volte il papa ha parlato di san Francesco. E parlandone ha fatto comprendere quali tratti della sua figura fossero per lui significativi. Ma forse le parole più incisive e chiare sul santo di Assisi egli le ha dette proprio nella città umbra, durante la visita pastorale avvenuta il 4 ottobre 2013.
Cosa ci testimonia oggi la vita di san Francesco? È la domanda che il papa si è fatto davanti ai tanti fedeli accorsi in pellegrinaggio insieme a lui. Bergoglio ha spiegato che «la prima cosa che ci dice è che essere cristiani è un rapporto vitale con la persona di Gesù, è rivestirsi di Lui, è assimilazione a Lui. Da dove parte il cammino di san Francesco verso Cristo? Parte dallo sguardo di Gesù sulla croce. Lasciarsi guardare da Lui nel momento in cui dona la vita per noi e ci attira a Lui. Francesco ha fatto questa esperienza in modo particolare nella chiesetta di san Damiano, pregando davanti al crocifisso, che anch’io oggi potrò venerare. In quel crocifisso Gesù non appare morto, ma vivo! Il sangue scende dalle ferite delle mani, dei piedi e del costato, ma quel sangue esprime vita. Gesù non ha gli occhi chiusi, ma aperti, spalancati: uno sguardo che parla al cuore. E il Crocifisso non ci parla di sconfitta, di fallimento; paradossalmente ci parla di una morte che è vita, che genera vita, perché ci parla di amore, perché è l’Amore di Dio incarnato, e l’Amore non muore, anzi, sconfigge il male e la morte. Chi si lascia guardare da Gesù crocifisso viene ri-creato, diventa una “nuova creatura”. Da qui parte tutto: è l’esperienza della Grazia che trasforma, l’essere amati senza merito, pur essendo peccatori».
Solo seguendo Lui in croce si ha la vita vera e si viene trasformati nonostante il peccato. La povertà di san Francesco, dunque, non è anzitutto materiale. Ma è spirituale, del cuore: un perdersi dietro alla croce di Gesù. Certo, anche lo spogliarsi dei beni è necessario. E aiuta. Tuttavia esso è inutile senza l’apertura del proprio cuore a Gesù Cristo.
La seconda cosa che il santo ha insegnato al mondo è che, ha spiegato il papa, «chi segue Cristo, riceve la vera pace, quella che solo Lui, e non il mondo, ci può dare. San Francesco viene associato da molti alla pace, ed è giusto, ma pochi vanno in profondità. Qual è la pace che Francesco ha accolto e vissuto e che ci trasmette? Quella di Cristo, passata attraverso l’amore più grande, quello della Croce. È la pace che Gesù Risorto donò ai discepoli quando apparve in mezzo a loro: la pace francescana non è un sentimento sdolcinato. Per favore: questo san Francesco non esiste! E neppure è una specie di armonia panteistica con le energie del cosmo… Anche questo non è francescano, ma è un’idea che alcuni hanno costruito! La pace di san Francesco è quella di Cristo, e la trova chi “prende su di sé” il suo “giogo”, cioè il suo comandamento: Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato. E questo giogo non si può portare con arroganza, con presunzione, con superbia, ma solo si può portare con mitezza e umiltà di cuore».
Ecco il secondo tratto della personalità di san Francesco, un uomo votato alla pace ma non a un pacifismo senza Cristo. La vera pace entra nel cuore dell’uomo, dice il papa, se in esso si lascia entrare Gesù Cristo, il cui comandamento supremo è la carità. Ecco, allora, in onore di chi Bergoglio il 13 marzo 2013 ha scelto il proprio nome: del santo che si è fatto come gli ultimi, i poveri, non per un amore alla povertà fine a sé stessa bensì perché seguendo i poveri e amandoli, seguiva e serviva Cristo crocifisso.
Padre Víctor, per «Chiesa dei poveri» s’intende solitamente il movimento di pensiero che, a partire dal Concilio Vaticano II, ha spinto la riflessione e l’azione della Chiesa cattolica a ritrovare un coerente impegno di solidarietà con i popoli oppressi e a formulare quella che sarà chiamata un’«opzione preferenziale dei poveri». La stessa espressione, ripresa anche dalla II Conferenza generale dell’Episcopato latinoamericano a Medellín (Colombia) nel 1968, fu sviluppata in America Latina dai teologi Gustavo Gutiérrez e Leonardo Boff, dando vita alla cosiddetta teologia della liberazione. Che cosa ne pensa Francesco della teologia della liberazione? È anche a essa che egli si rifà quando parla di «Chiesa dei poveri e per i poveri»?
All’interno della Chiesa vi sono sempre state grandi discussioni riguardo ai poveri e alla cosiddetta «liberazione», ma nel secolo passato si vennero delineando due posizioni sostanzialmente estreme: la prima voleva ridurre tutto a un’analisi marxista e voleva subordinare completamente la riflessione a determinate analisi sociologiche. L’altra, al contrario, sospettava di qualsiasi discorso sociale e tacciava di ideologia marxista qualsiasi persona che difendesse i poveri. Le due posizioni degenerarono in America Latina, spingendo i giovani nelle braccia della guerriglia oppure ad appoggiare governi autoritari e assassini. Il cardinale Bergoglio rifiutò sempre entrambi gli estremi. Per tutta la sua vita si schierò dalla parte dei poveri e agì con forza contro il disprezzo della dignità dei «reietti» della società. Per lui, infatti, i poveri sono il cuore della Chiesa.
Già da giovane visitava i quartieri poveri della città e si fermava a parlare con i più semplici. Lo ha sempre fatto, e certamente non ha smesso quando lo hanno nominato cardinale. Sappiamo tutti che dedicò sempre molto tempo ai sacerdoti che lavoravano nei quartieri più miserabili di Buenos Aires e che li accompagnava durante le loro visite.
Allo stesso tempo, però, egli ha sempre rifiutato di ridurre la visione della realtà ad alcune analisi puramente sociologiche. Alla Conferenza generale dei vescovi latinoamericani, riunitisi nel 2007 al santuario di Aparecida, in Brasile, sin dall’inizio della preparazione del documento finale, chiese che si evitasse una visione della realtà falsamente asettica. Per un pastore, infatti, lo sguardo è sempre pastorale. Ha ripetuto la stessa cosa nel discorso pronunciato ai vescovi latinoamericani, durante il suo viaggio in Brasile, e lo ha riaffermato nella Evangelii gaudium: «Neppure ci servirebbe uno sguardo puramente sociologico, che abbia la pretesa di abbracciare tutta la realtà con la sua metodologia in una maniera solo ipoteticamente neutra ed asettica. Ciò che intendo offrire va piuttosto nella linea di un discernimento evangelico. È lo sguardo del discepolo missionario» (EG 50).
Il dibattito più importante degli ultimi cinquanta anni si è concentrato su quale dovesse essere il punto di partenza della riflessione della Chiesa. Gli interventi magisteriali hanno sempre rimarcato che la fede della Chiesa, e non la condizione dei poveri, è il punto di partenza fondamentale della stessa riflessione della Chiesa. Lo dice anche Francesco: «Dalla nostra fede in Cristo fattosi povero, e sempre vicino ai poveri e agli esclusi, deriva la preoccupazione per lo sviluppo integrale dei più abbandonati della società» (EG 186). Il cardinale Bergoglio non ha mai messo in discussione questa affermazione, anche se gli è sempre sembrata insufficiente. Se un cristiano è circondato dai poveri, è da quella realtà che sarà sempre interrogato ed è da lì che nascerà la sua riflessione.
Quindi la dottrina non deve essere la prospettiva unica ed esclusiva dalla quale deve partire la nostra riflessione iniziale, perché ci sono delle altre visioni complementari che possono accompagnare e arricchire lo sguardo della fede. La situazione dei poveri è il «contesto immediato ineludibile» della teologia nei luoghi dove esiste la povertà. Non è la stessa cosa riflettere nella comodità che farlo essendo costantemente interpellati dalla sofferenza di tanti poveri che spesso sono cristiani credenti. In questo contesto si comprende la necessità di una teologia che sgorghi da una condizione di forte inequità e di marginalità, che sia preoccupata della liberazione integrale di tanti figli e figlie della Chiesa, che vivono immersi nella miseria. Emerge così chiaramente fino a che punto la fede cattolica possa arrivare a promuovere lo sviluppo integrale dei popoli. Il documento Libertatis nuntius – l’istruzione firmata dal cardinale Joseph Ratzinger il 6 agosto 1984 e dedicata ad alcuni aspetti della teologia della liberazione – ricordava che «i difensori della “ortodossia” sono talvolta rimproverati di passività, di indulgenza o di complicità colpevoli nei confronti delle intollerabili situazioni di ingiustizia e dei regimi politici che mantengono tali situazioni» (XI 18). Parole citate anche dal papa nel suo ultimo documento.
Tuttavia, c’è qualcosa che per Francesco è fondamentale: in America Latina i poveri sono credenti, e molti di loro sono cattolici. Quindi, partire dai poveri significa anche partire dalla loro fede, dalla loro religiosità, dalla loro cultura impregnata di fede. Il nostro sguardo verso i poveri non può essere meramente di carattere sociopolitico, non basta scoprire le loro necessità per insegnare loro a lottare, come se fossimo degli illustri redentori di una materia ignorante e decerebrata. Se dobbiamo veramente partire dai poveri, dobbiamo riconoscerli come soggetti creativi, rispettare il loro stile, il loro linguaggio, il loro modo di guardare alla vita, la loro cultura, le loro priorità, e anche la loro religiosità. È logico che bisogna lottare per loro, difendere i loro diritti, e aiutarli ad andare avanti, però non da fuori o dall’alto, bensì dall’interno. Il cardinale Bergoglio vedeva che questi aspetti non erano tenuti in considerazione da alcuni teologi della liberazione, e perciò le loro proposte non arrivarono mai ad entusiasmarlo. Per lo stesso motivo, nella Evangelii gaudium, dedica tanto spazio allo sviluppo di una teologia e di una spiritualità dell’opzione per i poveri, affermando che «è necessario che tutti ci lasciamo evangelizzare da loro», raccogliendo «la misteriosa sapienza che Dio vuole comunicarci attraverso di loro» (EG 198). Continua: «Questo implica apprezzare il povero nella sua bontà propria, col suo modo di essere, con la sua cultura, con il suo modo di vivere la fede» (EG 199).
Intorno alla figura di san Francesco d’Assisi sono nati movimenti pacifisti formati anche da tante persone non credenti. Il papa, nel suo pellegrinaggio ad Assisi, ha sostenuto di non condividere la visione di coloro che credono che la pace risieda nella ricerca di una certa armonia panteistica con le energie del cosmo. E ha ricordato che non c’è vera pace senza Cristo e la sua croce. Eppure san Francesco riesce a dire molto anche a chi non crede. Tanto che negli anni passati non erano pochi coloro che, interrogati su quale nome un futuro papa avrebbe dovuto prendere, rispondevano senza remore: Francesco. Come conciliare questi due mondi che entrambi si rifanno alla figura del santo di Assisi?
San Francesco d’Assisi va riscattato interamente. È il santo della comunione con tutte le creature dell’universo, ma è anche il santo della povertà, della fraternità, dell’amore per gli ultimi, dell’appassionata unione con Gesù Cristo, dell’abbraccio del dolore come forma di dono al Signore. Tutto ciò fa parte della bellezza che costituisce la figura di Francesco. Ciò che fa questo papa è riscattare tutti questi aspetti, senza negarne nessuno.
Si faccia caso a come, nonostante rifiuti il panteismo, nella Evangelii gaudium egli si appropri di alcune richieste dei movimenti ecologisti e orientalisti, come l’unione intima con il creato intero, secondo la quale non dovremmo né capirci né sen...

Indice dei contenuti

  1. IL PROGETTO DI FRANCESCO
  2. Sigle dei documenti del Magistero citati
  3. INTRODUZIONE – Il programma della Evangelii gaudium
  4. 1 – L’ISPIRAZIONE DI FRANCESCO D’ASSISI
  5. 2 – LE NOVITÀ DELLA EVANGELII GAUDIUM
  6. 3 – PRIMA IL VANGELO, POI I PRINCÌPI
  7. 4 – «USCIRE FUORI». LA MISSIONE VERSO OGNI PERIFERIA
  8. 5 – LA RIFORMA INTERNA DELLA CHIESA. LE STRUTTURE E I PRIVILEGI
  9. 6 – IL POPOLO… MA IN CHE SENSO?
  10. 7 – NUOVI PASSI AVANTI NEL DIALOGO INTERRELIGIOSO E NELL’ECUMENISMO
  11. 8 – LA CHIESA, LA POLITICA E L’ECONOMIA
  12. 9 – PADRE JORGE. UN RICORDO PERSONALE