Narcos mi vogliono morto
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Narcos mi vogliono morto

Messico, un prete contro i trafficanti di uomini

  1. 260 pagine
  2. Italian
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Narcos mi vogliono morto

Messico, un prete contro i trafficanti di uomini

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«Plata o plomo»: soldi o una pallottola. Ogni anno in Messico transitano mezzo milione di migranti indocumentados che dal Centroamerica in preda alla violenza tentano di raggiungere gli Stati Uniti in cerca di un futuro migliore. Sulla loro strada trovano la ferocia dei narcos, banditi che - oltre a far soldi con la droga - si arricchiscono sulla pelle dei migranti grazie a rapimenti, traffici di organi, schiavismo e prostituzione. Alejandro Solalinde non è rimasto a guardare. Dopo una vita da prete «normale», ha iniziato ad aprire le porte del cuore e di casa agli stranieri che cercavano un rifugio, un pezzo di pane, una parola di conforto. Non ha taciuto, padre Alejandro: ha denunciato i soprusi dei trafficanti, le connivenze della politica, la corruzione della polizia. I narcos gliel'hanno giurata: sulla sua testa pende una taglia di 1 milione di dollari. Di qui le minacce, i tentati omicidi, una scorta di 4 uomini per difendere un uomo che difende gli indifesi.La vicenda di padre Alejandro - per la prima volta qui raccontata da Lucia Capuzzi - si intreccia con i 20 mila migranti rapiti ogni anno in Messico, uomini, donne e bambini che spariscono nel nulla. E con i 20 mila indocumentados accolti da questo prete tenace. Persone alle quali Solalinde dedica la vita in nome di quel Dio schieratosi dalla parte degli ultimi.

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Informazioni

Editore
EMI
Anno
2017
ISBN
9788830723931
Argomento
Storia
1.

FRATELLI IN CAMMINO
Lucia
«Benvenuti. Siete tutti benvenuti. Ognuno di noi è in cammino. E il cammino è duro. Ma Dio ci accompagna».
L’inizio è previsto per le 11. Pochi minuti prima, i volontari sistemano le sedie di plastica bianche sul pavimento di cemento verde. La cappella, all’interno, è vuota. Non c’è nemmeno l’altare. Solo un tavolo e un grande crocifisso contro l’unica parete, dipinta di rosa. È questa a reggere il tetto, di lamiera, insieme ai piloni di ferro. Gli altri tre lati sono aperti. Così nessuno fatica a entrare. Proprio come nel rifugio. La cappella ne è il cuore e l’essenza. È stata la prima struttura ad essere realizzata all’inizio del 2007. E l’unica dell’Albergue ad essere rimasta tale e quale.
Ogni tanto, padre Alejandro parla di buttarla giù per costruire una cappella nuova, più grande e funzionale. Tutti, però, fanno finta di non sentire. Quella rudimentale chiesetta possiede un fascino inspiegabile anche per quanti sono abituati alla magnificenza artistica delle chiese del Vecchio Mondo. Sarà perché i migranti, nonostante le altre sale a disposizione, vi trascorrono gran parte delle loro giornate. Seduti per terra o sui muretti di cemento, chiacchierano, bevono una gaseosa,1 si riposano. Gesti quotidiani, banali, tutt’altro che mistici. Eppure si ostinano a farli sotto lo sguardo rassicurante di quel Cristo Crocifisso a cui istintivamente si rivolgono. Non tutti pregano. Molti nemmeno sono credenti. Quel volto, però – dicono –, li attrae. Forse perché, deformato dal dolore, ricorda tanto il loro.
Qualcuno butta l’occhio, di tanto in tanto, sul lato sinistro della parete rosa. Là, di recente, è stata aggiunta una piccola croce argentata. È fatta con un pezzo di ferro dei binari dove scorre la Bestia. Il deserto per cui vagano i protagonisti dell’Esodo contemporaneo. Senza nessuno a condurli, a differenza del popolo d’Israele. O forse sì. «Dio ci accompagna», ripete padre Alejandro all’inizio dell’omelia.
La messa è uno dei pochi appuntamenti fissi al numero 60 dell’Avenida del Ferrocarril Poniente. Certo, la celebrazione è fluida: i canti sono improvvisati e i fedeli si alzano spontaneamente per declamare le letture. La flessibilità – in primis negli orari – è centrale nel rifugio, il cui ritmo deve adattarsi alle esigenze. Che sono infinite. Non potrebbe essere altrimenti in una struttura dove passano, in media, ventimila persone l’anno. Immigrati, indocumentados, irregolari: così li chiamano fuori. All’interno di questo piccolo complesso di edifici modesti circondato da un misto di sterrato e aiuole, sono semplicemente «fratelli». «Hermanos en el Camino»
– Fratelli in cammino –, appunto, è il nome della struttura creata dieci anni fa da un prete alla soglia dei 60 anni. Un’età avanzata per buttarsi in un’impresa di simili proporzioni. Eppure, nel giro di poco, Hermanos en el Camino è diventato il più noto della sessantina di
albergues para migrantes (rifugi per migranti) sparsi, da sud a nord, per la Repubblica messicana. Non hotel, come il termine castigliano potrebbe far pensare, bensì centri di accoglienza volontari e gratuiti creati da sacerdoti, religiosi o attivisti laici per i cinquecentomila migranti che ogni anno attraversano il Messico nel viaggio verso l’El Dorado Usa. Al contrario di quanto comunemente si pensa e la retorica trumpista contribuisce a diffondere, il paese è sempre meno terra di «esportazione» di manodopera a basso costo verso il vicino del Nord. I dati del prestigioso Pew Research Center parlano chiaro. Il flusso di messicani verso gli Stati Uniti è al minimo storico: tra il 2009 e il 2014 ci sono stati più rientri in patria (un milione) che nuove entrate (860.000), con un saldo negativo di 140.000. Chi lascia il Messico, ora, fondamentalmente lo fa per sfuggire alla brutalità della criminalità organizzata: i 691 Comuni che, secondo il locale Istituto di statistica, hanno perso popolazione tra il 2010 e il 2015 sono quelli dove maggiore è la pressione delle mafie. Gli «sfollati» nazionali dei narcos – come vengono chiamati – non sono i principali frequentatori degli albergues. A loro è sufficiente mostrare la carta d’identità per viaggiare senza problemi fino al confine settentrionale. Attraversarlo, certo, è un altro paio di maniche.
Negli ultimi anni, invece, il Messico è diventato, in misura crescente, «corridoio» di passaggio per i centroamericani – salvadoregni, honduregni e guatemaltechi –
in fuga dal mix di ferocia e miseria che dilania la regione più violenta del mondo. Non si tratta ormai più di inseguire il «sogno americano», come è stato per lungo tempo. Lasciare il proprio paese è, soprattutto per i giovani, questione di vita o di morte. Restare vuol dire essere ammazzati da bande criminali sempre più potenti, eredità dei conflitti civili degli anni Ottanta e dell’espansione del narcotraffico. O della fame. Il viaggio verso «El Norte», il Nord, significa darsi una chance di vita. Una sola. O anche meno. A condizione di vincere la roulette russa che negli ultimi anni la Repubblica messicana è diventata per i migranti in cammino.

In groppa alla Bestia
Paese-cerniera tra Nord e Sud del mondo, il Messico è snodo obbligato per i latinoamericani senza possibilità legale di accedere agli Stati Uniti. Attualmente, oltre l’80 per cento del mezzo milione di migranti in transito nella Repubblica viene da El Salvador, Honduras e Guatemala. Stati i cui passaporti sono in pratica inutili per viaggiare all’estero, senza l’apposito visto. E quest’ultimo – dati i selettivi criteri previsti – è di fatto off limits per chi parte cercando di sfuggire a miseria e violenza. Cioè (quasi) tutti. L’unica opzione, a questo punto, è tentare il viaggio come indocumentados: cioè entrare in Messico illegalmente – dal poroso confine con il Guatemala, a ovest, attraverso il fiume Suchiate, o più a nord, dal Río Usumacinta – e risalirlo via terra, fino a raggiungere La Linea. Così viene chiamata la frontiera, lunga 3200 chilometri, che unisce – o divide, a seconda dei punti di vista e della convenienza politica – l’America Latina e gli Stati Uniti. La metà povera e quella ricca del pianeta si abbracciano e si respingono su quella cicatrice di terra, blindata a intermittenza dal «muro». The Border Fence, si dice a Washington, ed esiste già. Il «muro promesso» – che ha fatto vincere le elezioni a Donald Trump – in realtà blinda un terzo del confine, in buona parte grazie al ferro in eccesso impiegato nella Prima guerra del Golfo e riciclato qua. Il primo tratto di barriera – venti chilometri tra San Diego e Tijuana – risale addirittura al 1990, anche se solo quattro anni dopo è stato ampliato in modo significativo. Da allora, la militarizzazione della frontiera è stata costante. Fino all’estremo della propaganda trumpiana: una barriera totale lunga 3200 chilometri. Fermerà l’esodo? La storia, finora, ha provato il contrario. I migranti – certo pochi, meno di uno su dieci – riescono comunque ad attraversare la frontiera. O almeno ci provano. A prezzo di indicibili sofferenze. Che cominciano ben prima di vedere all’orizzonte le grate sinistre del muro. Per arrivarci, dall’estremità meridionale del Messico, ci vogliono dai duemila ai quattromila chilometri, a seconda della rotta scelta. Il che significa viaggiare in groppa della terribile Bestia. Sui bus – che raggiungono La Linea in pochi giorni – i controlli sono frequenti e i migranti rischiano in ogni momento di essere rimpatriati dalla polizia.
Il treno merci è l’unica opzione percorribile, seppure infernale. Mentre le mercanzie viaggiano nei vagoni, gli irregolari lo fanno aggrappati al tetto o negli snodi fra un convoglio e l’altro. Restano così, sotto il sole e la pioggia battente – senza mai poter chiudere occhio per paura di addormentarsi ed essere risucchiati giù – per dieci-dodici ore, quanto dura il tratto fra una stazione e l’altra. Là, la Bestia si addormenta sulle rotaie. Un’altra identica proseguirà verso nord. Dopo quanto tempo non si sa: forse 24 ore, forse una settimana. I migranti, dunque, sono costretti a una sfibrante gimkana fra un treno e l’altro. Per questo il viaggio non dura mai meno di 28 giorni. In genere, però, ce ne vogliono molti di più. Sempre che riescano ad arrivare…
Ufficialmente anche la Bestia è vietata ai migranti. Tanti, però, sono disposti a chiudere un occhio in cambio di una bustarella. Dai macchinisti ai poliziotti, è lunga la lista di quanti lucrano sul business dei migranti. I «pedaggi» abusivi, le botte, i furti spesso per opera degli stessi agenti, sono una costante per chi, senza documenti in regola, è legalmente invisibile. Agli occhi di quasi tutti. Al Messico che monetizza la sofferenza degli indocumentados e si comporta come il peggior Trump con i migranti «altrui», si contrappone un Messico eroico, altrettanto concreto. È tale parte di società a farsi carico, da sola, della tragedia dei centroamericani. Per questi ultimi, l’unica forma di assistenza nella Via Crucis messicana sono i volontari, le organizzazioni non governative e soprattutto la sessantina di Case del migrante legate alla chiesa. Come Hermanos en el Camino. Negli ultimi anni, però, queste, oltre a fornire cibo, medicine, una doccia, un letto per riposare e riprendersi dalle vessazioni della polizia e di qualche sbandato, si sono trasformate in linee del fronte della narcoguerra. Da una parte ci sono i gruppi criminali – i potenti cartelli – ansiosi di trasformare gli indocumentados in merce. Dall’altra ci sono religiosi e attivisti, pronti a scendere in campo per difenderli. A costo di improvvisarsi avvocati, investigatori, consulenti giuridici. A costo di diventare essi stessi bersaglio. Gli albergues sono ormai l’unico e ultimo argine che impedisce al fiume in piena del crimine organizzato di risucchiare i migranti.

Nella terra dei narcos
Dalla seconda metà degli anni Duemila, il Messico è in guerra. La stampa l’ha ribattezzata «narcoguerra». Un conflitto in piena regola. Gli oltre 250.000 morti ammazzati dal 2006 lo di...

Indice dei contenuti

  1. PREFAZIONE
  2. INTRODUZIONE
  3. 1.FRATELLI IN CAMMINO
  4. 2. «GLI DICE: “SEGUIMI”» (Mt 9,9)
  5. 3.«NON POTETE SERVIRE A DIO E A MAMMONA» (Mt 6,24)
  6. 4.CON LE «CAROVANE MIGRANTI»
  7. 5.«UN ALBERO BUONO NON PUÒ PRODURRE FRUTTI CATTIVI» (Mt 7,18)
  8. 6.IXTEPEC, L’APPRODO
  9. 7.«IL REGNO DEI CIELI È SIMILE A UN TESORO NASCOSTO IN UN CAMPO» (Mt 13,44)
  10. 8.«ELÌ, ELÌ, LEMÀ SABACTHÀNI?» (Mt 27,46)
  11. 9.«DOV’È IL TUO TESORO, LÀ SARÀ ANCHE IL TUO CUORE» (Mt 6,21)
  12. 10.IL MATTATOIO CENTROAMERICANO
  13. 11.«… NÉ SI METTE IL VINO NUOVO IN OTRI VECCHI» (Mt 9,17)
  14. 12.SAI CHE TI STUPRERANNO. EPPURE DEVI ANDARE
  15. 13.«VENNE MARIA DI MAGDALA CON L’ALTRA MARIA A FAR VISITA AL SEPOLCRO» (Mt 28,1)
  16. 14.«QUANDO TI ABBIAMO VISTO PELLEGRINO E TI ABBIAMO OSPITATO?» (Mt 25,38)
  17. 15.BIMBI SOLI ANCORA IN VIAGGIO
  18. 16.«BEATI VOI QUANDO VI INSULTERANNO E VI PERSEGUITERANNO» (Mt 5,11)
  19. 17.SOTTO MENTITE SPOGLIE
  20. 18.«BEATI QUELLI CHE PIANGONO, PERCHÉ SARANNO CONSOLATI» (Mt 5,4)
  21. 19.«NON TEMETE, DUNQUE, VOI VALETE BEN PIÙ DI MOLTI PASSERI» (Mt 10,30)
  22. 20.«NON ABBIATE PAURA» (Mt 10,20)
  23. 21.QUEL PRETE DEVE TACERE
  24. 22.«NON VI SPAVENTATE PER QUELLI CHE POSSONO UCCIDERE IL CORPO» (Mt 10,28)
  25. 23.«VI MANDO COME AGNELLI IN MEZZO AI LUPI» (Mt 10,16)
  26. 24.PEZZI DI RICAMBIO A BASSO COSTO
  27. 25.«IL MIO PESO È LEGGERO» (Mt 11,30)
  28. 26.«NON SIETE VOI A PARLARE, MA LO SPIRITO DEL PADRE VOSTRO» (Mt 10,20)
  29. 27.«È NECESSARIO CHE TUTTE QUESTE COSE AVVENGANO» (Mt 24,4)
  30. 28.IL SOGNATORE
  31. 29.«SERVIRE E DARE LA VITA IN RISCATTO PER MOLTI» (Mt 20,28)
  32. CONCLUSIONI