1. UNA «SOCIETÀ DI PROPRIETARI»,
IDEALE MESSIANICO?
La bolla finanziaria che si è innestata sulla concessione di crediti subprime alle famiglie povere degli Stati Uniti era l’effetto di una gigantesca piramide di Ponzi. La piramide di Ponzi consiste nel rimunerare gli investimenti effettuati dai clienti con fondi immessi da clienti nuovi. La catena s’interrompe (e la piramide crolla!) quando le somme procurate dai nuovi entrati non sono più sufficienti a coprire le rimunerazioni dei clienti precedenti. Nel caso dei crediti subprime, il meccanismo è un po’ più sottile, poiché i nuovi entrati sono coloro che, acquistando beni immobiliari a dispetto del loro aumento di prezzo, fanno crescere il valore generale del collaterale (cioè l’ipoteca) che garantisce i prestiti subprime. Il palco crolla quando i flussi dei nuovi entranti non permettono più di rimborsare con la concessione di nuovi crediti i debiti passati: come è avvenuto allorché il mercato immobiliare americano si è ribaltato nel 2006.
Le piramidi di Cleveland
Il lettore si meraviglierà: ma la legge non proibisce la pratica dello schema Ponzi? Sì, lo proibisce quando viene elaborato da un individuo, identificabile e suscettibile di essere punito. Ne ha fatto le spese l’ex bagnino Bernard Madoff dopo quarantotto anni di fiorente attività, al termine dei quali gestiva 17 miliardi di dollari alla guida di un hedge fund (fondo speculativo) popolato da brillanti economisti e da matematici di fama, ma la cui fonte di ricchezza si è rivelata non essere altro che un banale schema Ponzi. Dal momento che il meccanismo è così semplice, come mai i risparmiatori non sono abbastanza furbi da non lasciarsi imbrogliare? Eppure la storia è piena di esempi di catene di Ponzi (di cui veniamo a conoscenza solo quando vengono interrotte)… Si potrà osservare che, se il meccanismo soggiacente alla bolla del credito immobiliare subprime è simile a quello di una catena di Ponzi, resta il fatto che esso ha coinvolto milioni di individui che non si erano concertati tra loro e non potevano avere l’obiettivo manifesto di arricchirsi rovinando le famiglie povere americane. Non ne sarei così sicuro, ma avremo l’occasione di tornarci sopra. Nel 1997, l’Albania ha conosciuto il tracollo di una catena di «banche piramidali» che hanno provocato rivolte sedate al prezzo di migliaia di morti. Ciò testimonia che molte banche sono capaci di mettere su una piramide di Ponzi – e poco importa che si siano previamente consultate o no. Si potrà ancora dire che gli esempi di catene di Ponzi che compaiono alla nota 6 sono stati puniti dalla legge, mentre i crediti subprime erano legali. È esatto. Ciò non significa che gli uni come gli altri non si fondino sulla stessa, semplicissima idea: rimborsare un debito con un altro debito. Quanto a punire con la legge coloro che hanno tratto vantaggi sostanziosi da questo «commercio delle promesse», tocca soltanto alle nostre società decidere di farlo, per esempio modificando la legislazione sulle condizioni di concessione di crediti. Un altro elemento comune a tutte queste catene di Ponzi è che promettono sempre denaro liquido a basso costo. Lo dimostra in maniera esemplare la società di investimenti colombiana Proyecciones Drfe, che si basava su un sistema di Ponzi. Il suo crac, nel novembre 2008, ha rovinato 500.000 piccoli risparmiatori colombiani.
Le cartolarizzazioni
Nella prima fase della crisi, il problema è ancora locale, legato al mercato immobiliare statunitense. E in certo modo tutti vi hanno una parte di responsabilità: le famiglie povere si sono lasciate trascinare in una spirale di sovraindebitamento alla quale non avrebbero mai dovuto cedere. Ma avevano i mezzi intellettuali, sociali, culturali per resistere, in una società che ha fatto dell’accesso alla proprietà l’equivalente della ricerca del Sacro Graal? È molto pesante la responsabilità degli istituti di credito, che hanno concesso prestiti senza preoccuparsi della solvibilità delle famiglie (e la responsabilità dello Stato che quei prestiti garantiva). Alcune banche hanno addirittura volontariamente sopravvalutato le case accettate in garanzia (talora valutate al 110% del loro valore reale) per mostrarsi ancor più «generose». Di colpo, la montagna di debito (privato) accumulato diventa un’enormità: 2.500 miliardi di dollari.
Perché questi istituti di credito sono stati a tal punto istigatori al crimine? E perché una crisi locale, che avrebbe potuto restare circoscritta agli Stati Uniti, ha dilagato per l’intero pianeta? La risposta è in un fenomeno ben conosciuto, oggi, anche al grande pubblico: le cartolarizzazioni.
La cartolarizzazione è un’operazione che vi fa trasformare un credito di cui siete titolari in uno strumento finanziario che potete scambiare su un mercato. Il gioco al quale hanno giocato le istituzioni finanziarie che hanno scambiato sui mercati internazionali i titoli di credito subprime sembra quello del cerino: io vanto un credito enorme su una famiglia in condizioni precarie, probabilmente insolvibile, che mi scotta le dita, allora lo passo immediatamente a un altro investitore, che a sua volta lo passerà a un altro, e così via. A ogni passaggio, chi interviene intasca una piccola commissione, ovviamente (nessuno, in questo campo, fa niente per niente). E alla fine il credito andrà ad atterrare nel bilancio delle grandi banche europee, o anche in Cina, in Giappone ecc. Il risultato è che, nel momento in cui centinaia di migliaia di famiglie povere cessano di pagare le loro rate, la reazione a catena dei fallimenti si propaga su tutta la linea di trasmissione dello strumento cartolarizzato. In qualche settimana ci rendiamo conto che questi crediti sparsi per il mondo intero non valgono più niente. Non verranno mai rimborsati.
La procedura appena descritta è perfino grottesca, nella sua semplicità. Gli anelli della catena non dovevano interrogarsi sull’affidabilità del credito che compravano? È qui che intervengono le agenzie di rating: concedendo triple A senza farsi dei problemi a prodotti invece così sospetti, hanno largamente contribuito ad anestetizzare la vigilanza degli operatori finanziari.
A rendere il fenomeno più complesso si è aggiunto un secondo procedimento: il tranching, che potremmo tradurre come «la ricetta del millefoglie». In che cosa consiste? Prendo il credito che vanto su una famiglia di Cleveland e lo metto in un millefoglie con altri crediti. Come in ogni millefoglie, la superficie è dolce e deliziosa: sono i crediti più sicuri (lo strato detto senior). In mezzo, il millefoglie è già meno tenero (sono gli strati mezzanine); e, sotto a tutti gli altri strati, metto il mio credito sospetto (fra gli strati equity). Questi millefoglie hanno ricevuto il nome di Cdo: Collateralized Debt Obligations. I primi hanno visto la luce negli anni Novanta. Nel 2006 il totale delle emissioni di Cdo ha raggiunto i 470 miliardi di dollari nel mondo. Nel 2007 il mercato dei Cdo rappresentava 2.500 miliardi di dollari, l’equivalente del Pil francese e il 20% in più di quello italiano. Nel frattempo erano apparsi dei Cdo al quadrato (ossia millefoglie di millefoglie). Agli inizi del 2007, certi finanzieri stavano addirittura studiando la creazione di Cdo al cubo… La crisi per fortuna li ha dissuasi.
Come convincere un investitore ad acquistare questo genere di derivati di credito? Con gli stessi argomenti, o quasi, del vostro pasticcere preferito: «Guardi questo millefoglie, guardi la sua superficie, la leggerezza della glassa… Fa guadagnare molto ed è classificato tripla A dalle agenzie di rating. Quel che c’è in fondo al millefoglie, è vero, a volte può rivelarsi un po’ pericoloso, ma fa fare di quei profitti! E poi non c’è nessun rischio che tutto il millefoglie fallisca nello stesso momento. Non accadrà mai, e lei lo sa bene». In effetti la ricetta del millefoglie rende la valutazione del rischio del prodotto strutturato ancor più complicata: qui il problema non è più solo l’eventuale difetto di quello o quell’altro emettitore, bensì l’effetto domino sull’intero millefoglie.
Misurare l’effetto domino?
Prima di farmi gesuita sono stato consulente di banche d’investimento parigine: facevo calcoli per i trader che scambiavano questo tipo di prodotti. Ricordo di aver detto, agli inizi degli anni Duemila, ai grandi banchieri per i quali lavoravo: «Vedete bene che in realtà siamo incapaci di valutare la pericolosità dell’insieme di un Cdo». Perché? Perché siamo incapaci di valutare la correlazione tra il rischio di default del basso del millefoglie e dell’alto dello stesso millefoglie. Supponete di avere due crediti: uno con l’emittente A e un secondo con l’emittente B. Conoscete forse un modo per valutare la probabilità che l’emittente A possa non onorare il suo debito; forse sapete anche valutare la probabilità dell’emittente B di fare default. Per contro, la probabilit...