Tutti i cuori del mondo
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Piccole storie di periferia

  1. 213 pagine
  2. Italian
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Piccole storie di periferia

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Incontri con bambine e bambini africani raccolti dalla strada e che hanno iniziato una nuova vita nelle comunità volute da padre Kizito. Parlando di loro con tenerezza, il missionario trova sempre spunti per una riflessione più ampia: la felicità e le sperequazioni economiche; la vita e la morte; la chiesa e la convivenza con l'islam; la violenza e la solidarietà…«Ci hai parlato della Banca Mondiale, del Fondo Monetario Internazionale e del debito estero del Kenya ? gli dice la piccola Berta ?. Nella mia banca mondiale invece di oro e soldi ci sono tutti i cuori del mondo»…

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Informazioni

Editore
EMI
Anno
2014
ISBN
9788830722200
PERIFERIE
Quando, nel 1999, sono venuto a viverci, il posto era chiamato Riruta. Continuo a vivere nella stessa casa, ma l’aumento della popolazione ha fatto sì che anche i nomi si siano moltiplicati. Riruta è stata divisa in Riruta East, Ndurarua, Satellite, Railway ecc. Così adesso vivo a Kabiria, periferia di Riruta, periferia di Nairobi, periferia dell’Occidente. Le periferie si espandono.
A Riruta e dintorni, con un insieme di oltre centomila abitanti, le strade sono in condizioni disastrose; le fognature, la rete elettrica e la rete telefonica raggiungono solo le strade principali ed offrono un servizio poco efficiente. La stazione di polizia è un insieme di baracche in lamiera arrugginite. Servizi sanitari e scuole pubbliche sono assolutamente inadeguate, come testimonia il proliferare di dispensari e scuole private di qualità scadentissima che vengono frequentate da chi non ha migliori alternative.
Eppure, per quanto possa sembrare incredibile, questa Kabiria, periferia della periferia della periferia, è per molte persone il centro, il traguardo che promette la fine di tutte le sofferenze, il sogno di un futuro migliore mantenuto vivo attraverso lettere di amici che qui si sono stabiliti già da qualche anno.
Chi vorrebbe vivere a Kabiria? Non solo chi vive nelle zone rurali semiaride del Kenya, dove servizi sanitari e scuole pubbliche sono praticamente inesistenti, ma anche centinaia e centinaia di disperati che sono fuggiti dall’area dei Grandi Laghi. Di fatto la crescita travolgente di Riruta e di Kabiria è soprattutto dovuta all’immigrazione clandestina che parte da quell’area.
Alla domanda «perché sei venuto a vivere a Riruta», Jean-Jacques, burundese laureato in psicologia e sposato con una ruandese, risponde: «Quando il governo tanzaniano ha deciso di far tornare i rifugiati nel loro paese di origine, ci hanno fatto camminare fino al confine. Dovevamo attraversare il fiume Kagera su di un ponte, sotto gli occhi dello staff dell’Unhcr (l’Alto commissariato dell’Onu ai rifugiati), dei soldati ruandesi e di quelli tanzaniani. Le persone erano legate fra di loro con una corda per poter controllare ogni loro movimento. File intere di persone si buttavano dal ponte e preferivano morire nel fiume piuttosto che tornare in Ruanda. Ancora oggi nessuno ha denunciato questa cosa. Io ho deciso di scappare e di raggiungere gli amici che si erano trasferiti a Nairobi prima di me. Da loro ricevevo ogni tanto qualche notizia, mi descrivevano Nairobi come il paradiso in terra. Così sono arrivato qui, poi mia moglie e i miei figli mi hanno raggiunto. Tutti illegali, ma tutti vivi».
Pierre invece è della Repubblica democratica del Congo ed ha appena compiuto 19 anni. È a Riruta da un anno e mezzo, e una volta l’ho accompagnato all’incontro con due investigatori della Corte penale internazionale. Pierre è stato un bambino soldato, e fuggì dal suo paese quando il suo signore della guerra gli ordinò di uccidere un giornalista e un missionario, persone fastidiose perché denunciavano quello che stava succedendo. Pierre decise di non poter più ubbidire a quegli ordini – aveva già ucciso decine di civili – e scappò perché il rifiuto di uccidere avrebbe comportato la sua condanna a morte. La prima volta che lo incontrai fu alla fermata degli autobus che arrivano da Kampala; la disperazione e la paura stampate su un volto ancora da bambino, gli occhi che si muovevano incessantemente per individuare ogni possibile pericolo: sembrava un animale in trappola. Poi però lo vidi rasserenarsi ogni giorno di più, mentre cercava di tornare ad una vita normale, insieme agli altri bambini della casa in cui vivo tutt’oggi.
Poco fa, mentre mi raccontava la sua vita, per oltre due ore è riuscito a controllarsi e a controllare tutta la sfiducia che nutriva nei confronti delle istituzioni. Poi è scoppiato in singhiozzi incontrollati e quando è riuscito a parlare ha detto: «Non voglio più pensare a tutto il male che ho fatto, e a quello che hanno fatto a me».
Perché le storie di Jean-Jacques e di Pierre non vengono quasi mai raccontate? Perché quando si parla di Africa gli africani sono sempre solo lo sfondo lontano, sul quale si impone l’immagine in primo piano del giornalista o del missionario? Eppure i giornalisti sanno bene che saper raccontare una storia umana vera è tutto il senso della nostra professione.
Eppure a Kabiria non ci sono solo storie drammatiche. Le periferie sono, per chi è capace di vedere, anche i laboratori della società del futuro. Qui la società muta, inventa nuove forme di sopravvivenza. Nei quartieri della Nairobi ricca si rinforzano le siepi divisorie col filo spinato, ci si barrica dietro alti muri, aumentano i fari per illuminare a giorno i dintorni delle ville e si moltiplicano le guardie notturne – tutti poveracci che di giorno vivono in quartieri come Riruta e di notte proteggono i ricchi – e l’ideale è l’immobilità, niente deve turbare la quiete del mondo dorato, tutto deve restare com’è. Invece nelle periferie nascono e crescono tutti i fermenti di questa società. Alcuni sono fermenti di violenza e di odio, ma altri sono fermenti di solidarietà e dignità.
Qui ci sono gli artisti, c’è Lionel che, a meno di trent’anni, si sta costruendo la morte con l’alcool, ma dipinge dei quadri in cui la vita esplode con i colori e le forme più straordinarie. C’è Miriam, che vive da sola in una baracca, e la sera con una vecchia macchina da scrivere cerca di buttar giù la trama di una soap opera sulla vita negli slum, e spera, un giorno, di poterla vendere a qualche televisione privata. C’è Charles, anche lui ruandese e anche lui illegale, che dopo una giornata di lavoro come tecnico di computer, mentre moglie e figli preparano la cena su un fornello a carbonella, lavora su un portatile per sviluppare un nuovo software. E c’è anche Anjela, che vuole avviare un gruppo di formazione per chi è sieropositivo.
La periferia, per chi crede e vuole lasciarsi rinnovare, è l’incontro col Dio che non tiene niente per sé, che viene dal basso, che ti guarda con gli occhi dei piccoli, ti parla con la voce delle prostitute, ti benedice con la voce del vecchio che sta per morire.
Nelle periferie c’è chi non ha niente da perdere, e si gioca tutta la vita puntando su un numero solo, con tutta la perseveranza e creatività che possiede. I rifugiati sono fra i più innovativi nell’inventare ogni giorno la vita. Come potremmo far conoscere meglio le loro storie, come far arrivare loro una corretta informazione?
La radio, per esempio, resta il mass media più capace di raggiungere le periferie di Nairobi con un costo basso, e la recente combinazione fra radio e telefoni cellulari diventa uno strumento potentissimo di comunicazione partecipativa. Alcuni programmi di Radio Waumini, a Nairobi, riescono a ricevere oltre centocinquanta sms di commenti e opinioni durante una sola ora di trasmissione.
Internet è uno strumento importante le cui potenzialità non sono ancora sfruttate. I costi ancora alti, le linee telefoniche non affidabili, ne restringono l’uso ad un numero ridotto di privilegiati. Senza contare che per raggiungere tutti attraverso internet è necessario che tutti siano alfabetizzati e le periferie sono ancora lontane da questo traguardo. Gli sforzi recenti del governo keniano di rendere gli otto anni di scuola primaria accessibile veramente a tutti, e l’impegno ad abbassare i costi delle linee telefoniche rendendole più affidabili, sono dei passi nella direzione giusta che però daranno frutti di comunicazione partecipativa solo fra qualche anno.
Ciò che manca, allora, non sono gli strumenti, ma la volontà di usarli per promuovere un’informazione corretta e partecipata. Il far arrivare informazione alle periferie e sulle periferie non è un problema di strumenti, ma un problema di cultura.
Troppe persone sono rimaste imprigionate in una visione del mondo ormai superata, incapaci di confrontarsi e dialogare con culture diverse.
Chi ha stabilito che Kabiria è periferia? Dov’è il centro? Non dobbiamo forse prima di ogni cosa mettere in discussione l’idea di centro? Non è questa idea il risultato di una malattia grave, che ha infettato tutto l’Occidente, e che si chiama, guarda caso, etnocentrismo? Con un caso particolare, che ne è la forma più gravemente degenerata, che si chiama razzismo.
L’Occidente, il Nord del mondo, crede invece di essere il centro dell’universo, il modello di sviluppo valido per tutti, e considera arretrati, corrotti, pigri e naturalmente poco intelligenti, i paesi che non lo imitano. Si chiude quindi in un isolazionismo che lo condanna a non capire e a non interessarsi degli altri. C’è una parte dell’opinione pubblica occidentale che si ribella a questo stato di cose, che vuol cercare di capire i problemi in profondità, ma questa parte, che forse è in crescita, è certamente ancora una minoranza che non riesce a incidere sulle scelte dei grandi mezzi di comunicazione. Quante volte mi sono sentito dire, da gente competente o appassionati inviati speciali in un paese africano, cose tipo: «Il mio direttore dice che una notizia al giorno sull’Africa è più che sufficiente, quindi siccome adesso si sta parlando di Somalia non c’è speranza c...

Indice dei contenuti

  1. TUTTI I CUORI DEL MONDO
  2. PRESENTAZIONE
  3. IL MONDO NUOVO È GIÀ QUI
  4. OLTRE IL SUCCESSO PERSONALE
  5. «PERÒ GESÙ HA MAMMA E PAPÀ…»
  6. IL PALLONE CHE RALLEGRA
  7. «NELLA MIA BANCA MONDIALE CI SONO…»
  8. PERIFERIE
  9. SCONTRO O SOLIDARIETÀ?
  10. STORIA DI SHIRU
  11. LA PIRAMIDE DELL’AMORE
  12. PADRE BISEKO
  13. UNA STRADA PER IL NATALE
  14. TORNATI ALLA NORMALITÀ
  15. DANIEL NON HA VOTATO, MA HA VINTO
  16. LE SFIDE DELLA MISSIONE
  17. IL CUORE DI LUSAKA
  18. IL PAPÀ DI WANJOHI
  19. UN ANGELO IN INCOGNITO
  20. UNA STRANA CONFESSIONE PUBBLICA
  21. «A MARCO, LA CUI MORTE HA RISCATTATO ANCHE NOI»
  22. LA FAMIGLIA DI KAMAU
  23. AMICI E MARTIRI
  24. IL TEMPO PER VIVERE
  25. IN CAMMINO IN TERRA SANTA
  26. COSTRUIRE GIUSTIZIA IN UN’AFRICA CHE CAMBIA
  27. LA FORZA DELLA FEDELTÀ
  28. UNA STORIA DI PASQUA
  29. EDUCARE ALLA VITA
  30. IL BAMBINO CHE PORTA IL PERDONO
  31. PAPA FRANCESCO
  32. IMMAGINARE LA PACE A NAIROBI
  33. RITORNO AL VILLAGGIO
  34. FEDE E FATTI
  35. RINASCERE A DODICI ANNI
  36. BAGLIORI DI POESIA