PARTE SECONDA
-
ANALISI TEOLOGICA
DELLA PERSONA E DELLA VITA
DI MONSIGNOR ROMERO
MONSIGNOR ROMERO,
CREDENTE, ARCIVESCOVO E SALVADOREGNO
Questo articolo si propone come una prima approssimazione all’analisi teologica della figura e dell’opera di monsignor Óscar A. Romero al livello evangelico, ecclesiale e sociale. Poiché è analitico e non meramente descrittivo, cerca di chiarire le radici della sua figura e del suo operato e potrà quindi aiutare anche l’autocomprensione e la prassi della Chiesa nel futuro dell’arcidiocesi di San Salvador e in situazioni analoghe del continente latinoamericano.
La fede evangelica di monsignor Romero
In America Latina monsignor Romero è divenuto senza dubbio una eccezionale figura ecclesiale e sociale. Per comprenderla, tuttavia, vogliamo partire dall’analisi di qualcosa di più profondo in lui, di cui l’aspetto ecclesiale e sociale sono stari espressione e veicolo. Vogliamo addentrarci nel mistero ultimo di ogni uomo, quello che si nasconde nel più profondo del cuore, quella radice dalla quale nascono la vita quotidiana e le azioni dei momenti decisivi. Vogliamo approfondire quella realtà tanto semplice e tanto sublime che si chiama fede.
Forse sembrerà assai poco, davvero riduttivo, cominciare a parlare di monsignor Romero dicendo che fu un uomo che credeva in Dio. Si è banalizzato tanto « Dio », si dà tanto facilmente per scontato che crediamo in Dio o, al contrario, lo s’ignora con tanta facilità, che cominciare dicendo che credette in Dio non pare un omaggio speciale alla sua figura, né un’adeguata pista teologica.
Per un cristiano, tuttavia, « Dio », lungi dall’essere un vocabolo vuoto, o una realtà astratta, lontana e inoperante, è l’origine prima e l’orizzonte ultimo della vita, della giustizia, dell’amore e della verità; è l’esigenza assoluta che la nostra vita sia realmente degna degli uomini, l’esigenza di umanizzare sempre più tutto l’umano e di eliminare sempre di più quanto ci disumanizza.
Ed è per questo che la prima cosa che vogliamo dire di monsignor Romero è che ebbe una profonda fede in Dio. Conosciamo la devozione evidente, non finta, con cui egli parlava di Dio nelle sue omelie, la sua meditazione solitaria, le sue preghiere semplici e popolari. Comunicare con Dio è stato per lui qualcosa di tanto semplice e normale quanto la vita stessa.
E vogliamo dire soprattutto che monsignor Romero ha creduto in Dio alla maniera di Gesù. Per questo vogliamo analizzare il suo modo di seguire Gesù dal preciso punto di vista della sua fede. Come per Gesù, essere in comunione con Dio, parlare con Dio e parlare di Dio ha significato soprattutto rendere reale e concreta la volontà di Dio. La misura della fede di monsignor Romero viene data dalla radicalità con cui ha difeso la causa di Dio. Come Gesù, ha cercato e ha trovato la volontà di Dio nella vita quotidiana e nelle cose ultime e profonde della vita. Non ha fatto della volontà di Dio qualcosa di banale e abitudinario, come spesso accade a noi cristiani, compresi vescovi e sacerdoti.
Non ha messo limiti alla volontà di Dio con le innumerevoli norme, anche ecclesiali, con le quali gli uomini, oggi come al tempo di Gesù, vogliono rimpicciolire, manipolare e anche svilire Dio. Invece ha cercato la volontà di Dio dove realmente la s’incontra, là dov’è in gioco la vita e la morte degli uomini, là dove il peccato fa degli uomini schiavi e scarti umani, là dove nasce il clamore della giustizia, la speranza di una società e di un uomo sempre più umano. È questo che ci proponiamo di spiegare.
Monsignor Romero ha creduto nel Dio del Regno
Per questa sua fede in Dio egli è stato, in primo luogo, difensore della vita e specialmente della vita dei poveri. La miseria dei poveri tocca il cuore stesso di Dio. E per questo, come a suo tempo il profeta Isaia, egli vedeva nella vita e nelle sue manifestazioni primarie le manifestazioni di Dio. Il mondo della fame, del lavoro, della salute, della casa, dell’educazione, è il mondo di Dio. Il mondo dove gli operai « fabbricheranno case e le abiteranno, pianteranno vigne e ne mangeranno il frutto » (cfr. Is 65,21) è il mondo che Dio vuole. La miseria e la povertà sono la negazione della volontà di Dio, sono una creazione viziata, dove la gloria di Dio viene incancrenita e svilita. E per queste cose non esiste spiegazione né c’è consolazione nella pienezza di un’altra vita, poiché la fede in Dio inizia con la difesa della vita qui e ora. La gloria di Dio consiste nel fatto che l’uomo viva e – come egli aveva specificato ultimamen-
te – nel povero che vive (Discorso tenuto nell’Università di Lovanio, 2 febbraio 1980).
Per questa sua fede in Dio, monsignor Romero ha denunciato il peccato del nostro Paese con una forza comparabile solo a quella degli antichi profeti, a quella del vescovo Bartolomeo de Las Casas o dello stesso Gesù. Ha denunciato il fatto che la miseria non è il destino naturale dei salvadoregni, ma fondamentalmente il frutto di strutture ingiuste; ha fustigato con passione ineguagliabile la repressione, i massacri e il genocidio del popolo.
Non è mai venuto meno in questa denuncia, non l’ha ammorbidita, né ha taciuto per prudenza. Non ha anteposto, come fanno altri, la sicurezza della stessa Chiesa alla necessità della denuncia. Senza alcun dubbio ascoltava il Dio che dice: « Anche se moltiplicaste le preghiere, io non ascolterei: le vostre mani grondano sangue » (Is 1,15).
Per lui il « peccato » era realmente l’offesa a Dio perché è offesa all’uomo. « Peccato » è qualcosa che dà veramente la morte agli uomini, e per questo è mortale. L’invisibilità dell’offesa a Dio si è fatta palese vedendo il sangue dei cadaveri, ascoltando il pianto delle madri degli scomparsi e torturati. Data la sua fede nel Dio della vita, questo peccato era la più profonda contraddizione con la sua stessa fede, e per questo ha continuato a mantenere viva la denuncia del peccato, ad accrescere l’accoratezza della denuncia e a ignorare i rischi personali e istituzionali che ne potevano derivare.
Per questa sua fede in Dio monsignor Romero ha agito e ha lottato per una soluzione giusta per il Paese. Credeva nel Dio dell’Esodo che, oggi come allora, guarda il suo popolo schiavo e sfruttato, ascolta il suo gemito, gli si fa incontro per liberarlo e gli promette una terra nuova.
Credeva però che questa volontà liberatrice di Dio vada resa efficace. Non si è accontentato di proclamare la vita e di denunciare ciò che la distrugge, ma si è schierato concretamente dalla parte della giustizia, vale a dire della lotta per dare una vita giusta ai poveri. Non si basava per questo su calcoli politici, ma sulla sua fede in Dio. E proprio per questo non si è fermato dove molti si arrestano: davanti al conflitto e all’organizzazione
dei poveri.
Da uomo di pace che propiziava sempre soluzioni pacifiche, ha accettato per fede il mistero del conflitto causato dal peccato, e ha accettato che questo peccato si possa superare soltanto combattendolo. Ha accettato serenamente, come Maria, che Dio « rovescia i potenti dai troni, innalza gli umili » (cfr. Lc 1,52). Accettare il conflitto storico, che in alcuni produce scandalizzate reazioni farisaiche, per monsignor Romero è stata un’esigenza della sua fede in Dio.
E poiché credeva in un Dio che vuole efficacemente la giustizia, si è fatto carico della realtà davanti alla quale altri si fermano: i poveri devono liberare sé stessi, devono essere artefici del proprio destino e non meri destinatari dei benefici che vengono « dall’alto ». Ha capito che nel Salvador chi sta « in alto » sono gli dei del capitalismo assoluto e della sicurezza nazionale, e che il Dio della liberazione va incontrato « in basso ». Per questa sua fede monsignor Romero ha dato impulso a tutti i movimenti giusti del popolo che portano alla liberazione.
In questo modo, monsignor Romero ha creduto nel Dio del Regno oggi nel Salvador, come a suo tempo l’ha annunciato Gesù: una società giusta per gli uomini e soprattutto una società giusta per i poveri. Ma ha creduto anche che la società nuova per la quale si deve lottare dev’essere anche una società di uomini nuovi, di uomini del Regno. Per questo non ha mai perso di vista la dimensione morale e spirituale della persona, ma ha incoraggiato che anche all’interno del conflitto e nella lotta si generassero valori umani, valori di solidarietà, di generosità, di limpidezza di sguardo, in una parola i valori che Gesù propone nel Discorso della montagna. E per questo è divenuto anche un pastore critico verso tutto ciò che poteva disumanizzare gli uomini, anche nelle loro lotte legittime.
In questo non era guidato né da calcoli politici né, certamente, dalla popolarità o impopolarità che gli arrecava la sua continua predicazione sui valori dell’uomo del Regno. Lo guidava la sua incrollabile fede in Dio, che vuole una nuova società e anche uomini nuovi. Per questo esortava, già senza aspettare l’instaurazione della nuova società, alla purezza del cuore, alla magnanimità, al dialogo, alla disponibilità, alla conversione personale. E ha esortato a una cosa a cui oggi pochi, senza scadere nel cinismo, possono incoraggia...