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VIENI, SPIRITO SANTO. VIENI, È URGENTE
La situazione del mondo, delle religioni, delle chiese e dei poveri ci fa gridare: «Vieni, Spirito Santo! Vieni presto e urgentemente!». Il nostro grido scaturisce dal profondo di una terribile crisi che può scaraventarci nell’abisso oppure favorire un salto di qualità verso un nuovo tipo di umanità e verso una maniera differente di abitare l’unica Casa Comune che abbiamo, che è la Madre Terra.
In questo contesto di timore e angoscia echeggiano in noi le parole realistiche dell’inno che si canta nella liturgia di Pentecoste. «Sine tuo nomine nihil est in homine, nihil est innoxium» (Senza il tuo soccorso, nulla è nell’uomo, nulla senza colpa). Ma noi ci riempiamo di speranza con un’altra strofa: «In labore requies, in aestu temperies, in fletu solacium» (Nella fatica, riposo, nella calura, riparo, nel pianto, conforto).
1. La presenza dello Spirito Santo nelle grandi crisi
Lo Spirito Santo pervade sempre la storia, ma irrompe specialmente nei momenti critici sia dell’universo sia dell’umanità come pure della vita degli individui. Quando si registrò il primo atto singolare – il Big Bang –, nell’instabilità originaria o nell’esplosione silenziosa (non c’erano ancora lo spazio e il tempo che permettessero di udire alcunché) di quel punticino miliardi di volte più piccolo di una capocchia di spillo ma pieno di energie e informazioni, il quale dava origine all’universo che conosciamo, ebbene, là era presente, in una maniera densissima, lo Spirito. È quanto viene suggerito nel primo racconto biblico della creazione, che parla dello Spirito che si librava sul caos originario (tohu wa-bohu: Gen 1,2). Fu lui a presiedere al sottilissimo equilibrio di tutti i fattori senza i quali non si sarebbe prodotta l’espansione delle energie fondamentali, né la materia (la «particella di Dio» e il «campo di Higgs»), né la comparsa delle grandi stelle rosse. Queste, dopo milioni e milioni di anni, esplosero, venendo così a fornire i materiali con cui si forgiarono gli agglomerati di galassie, le stelle, i pianeti e noi stessi.
Lo Spirito era presente nel momento in cui la materia raggiunse quell’elevata complessità che permise, 3,8 miliardi di anni fa, l’irruzione della vita. Era presente anche nelle 15 grandi estinzioni subite dalla Terra, in particolare quella del Cambriano, 570 milioni di anni fa, in cui scomparve l’80-90% delle specie viventi. Di nuovo era presente quando, 245 milioni di anni fa, nel Permiano-Triassico, si verificò la spaccatura dell’unico grande continente, Pangea, che diede luogo all’articolazione dei continenti attuali.
E specialmente presente era lo Spirito quando, 65 milioni di anni fa, nel Cretaceo, un immenso meteorite del diametro di 9,7 chilometri si scagliò nell’area caraibica e produsse un autentico Armageddon ecologico, che distrusse gran parte delle specie e in particolare i dinosauri, che per 133 milioni di anni avevano circolato per ogni parte del pianeta. Dopo quell’estinzione si registrò quasi come una revanche, la più grande fioritura di biodiversità della storia della Terra.
Apparve in quei tempi il nostro antenato, che viveva sui grandi alberi, tremando dalla paura di essere divorato dai dinosauri. È a partire da allora che lo Spirito intensificò in modo del tutto singolare la propria presenza, facendo emergere dal mondo animale l’essere umano, portatore di coscienza, di intelligenza e di capacità di amore e di cura. Questo misterioso evento è databile a circa 7-9 milioni di anni fa, finché, centomila anni or sono, non fece la sua comparsa, come sapiens sapiens, l’essere umano tale quale siamo noi oggi, uomini e donne.
Per i cristiani, la più forte presenza dello Spirito è quando scese su Maria. Venne, e mai più si ritirò da lei. Da questa presenza permanente nacque la santa umanità di Gesù. E, insieme con Gesù, egli si rese costantemente presente nella storia umana, in particolar modo nella sua incarnazione, nella sua vita di predicatore itinerante e di annunciatore di una grande utopia, quella del regno di Dio. Con la forza dello Spirito, Gesù di Nazaret guariva gli infermi e risuscitava i morti. Dopo essere stato giustiziato sulla croce, fu lo Spirito a risuscitarlo, rendendolo «l’ultimo Adamo» (1Cor 15,45).
E lo Spirito era presente quando, rumorosamente, sotto forma di lingue di fuoco, irruppe nel mezzo della comunità dei discepoli di Gesù, timorosi e confusi perché non capivano come una persona «che passò per il mondo facendo del bene» (At 10,38) potesse finire su una croce, e poi risorgere. Egli si rese presente quando, perplessi sulla migliore strada da imboccare, gli apostoli risolsero di andare per il mondo a diffondere il messaggio liberatore di Gesù. Lo dissero esplicitamente: «È parso bene allo Spirito Santo e a noi» (At 15,28) prendere il cammino dei gentili.
Potremmo continuare con un gran numero di esempi di rotture creative, che furono possibili solo grazie all’azione dello Spirito Santo. Il Concilio Vaticano II afferma con enfasi: «Lo Spirito di Dio, che con mirabile provvidenza dirige il corso dei tempi e rinnova la faccia della Terra, è presente a questa evoluzione» (Gaudium et spes 26). Meritano di essere menzionate quattro rotture creative a noi vicine: il Concilio Vaticano II (1962-65), la Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano a Medellín (1968), l’emergere della Teologia della liberazione e il Rinnovamento carismatico cattolico.
Con il Vaticano II la chiesa aggiustò il suo passo con quello del mondo moderno e delle libertà che con esso sono apparse. In particolar modo, ha stabilito un dialogo con la tecnoscienza, con il mondo del lavoro, con la secolarizzazione, con l’ecumenismo, con le religioni e con i diritti umani fondamentali. Lo Spirito è venuto a ringiovanire con aria nuova il crepuscolare edificio della chiesa-istituzione.
A Medellín la chiesa regolò il passo con quello del sottomondo della povertà e della miseria che caratterizzava, e tuttora caratterizza, il continente latinoamericano. Nella forza dello Spirito i pastori latinoamericani trovarono il coraggio di fare un’opzione per i poveri e contro la povertà, e decisero di attuare una pratica pastorale che fosse di liberazione integrale: liberazione non solo dai nostri peccati personali e collettivi, ma liberazione dal peccato dell’oppressione, dall’impoverimento delle masse, dalla discriminazione dei popoli originari, dal disprezzo per gli afrodiscendenti e dal peccato di dominio sulle donne da parte degli uomini che si commette fin dal Neolitico.
Da questa pratica è nata, anche qui per mozione dello Spirito, la «chiesa della liberazione». Essa mostra il suo volto attraverso la lettura popolare della Bibbia, un nuovo modo di essere chiesa dato dalle «comunità ecclesiali di base», le varie pastorali sociali (degli indigeni, degli afrodiscendenti, della terra, della salute, dei bambini e altre) e una corrispondente riflessione che è la
Teologia della liberazione. La chiesa della liberazione ha formato cristiani politicamente impegnati schierati con gli oppressi e contro le dittature militari, i quali hanno patito persecuzioni, prigionia, torture e morte. È forse una delle poche chiese che possano annoverare un tale numero di martiri laici e laiche, religiosi e religiose, preti e teologi, e anche vescovi, come Enrique Angelelli in Argentina, Juan José Girardi in Guatemala e Óscar Arnulfo Romero nel Salvador.
La quarta irruzione, cui dedicheremo più spazio, è stata la comparsa del Rinnovamento carismatico cattolico (Rcc), a partire dal 1967 negli Stati Uniti, e in America Latina a datare dagli anni Settanta. Esso ha rimesso al centro la preghiera, la spiritualità, l’esperienza dei carismi dello Spirito, grazie alla creazione di comunità di preghiera e di cura dei doni dello Spirito Santo. Il Rinnovamento ha aiutato a superare la rigidità dell’organizzazione ecclesiale, la freddezza delle dottrine, e ha rotto con il monopolio della Parola detenuto dal clero, aprendo nuovi spazi alla libera espressione dei fedeli.
Questi quattro eventi possono essere teologicamente ben valutati solo se osservati nell’ottica dello Spirito Santo. Egli sempre agisce nella storia e in modo innovatore nella chiesa, che diventa allora fonte di speranza e di gioia di vivere la fede e la vita. In questo suo agire gli si mostra, come canta la liturgia di Pentecoste, il «padre dei poveri» (pater pauperum), che li incoraggia a organizzarsi e a ricercare la libertà che viene loro socialmente negata.
Oggi viviamo probabilmente la più grave crisi della storia dell’umanità. Che può rivelarsi terminale. Ci siamo in effetti dotati di strumenti di autodistruzione. Abbiamo costruito strumenti di morte che possono uccidere tutti e liquidare la nostra civiltà, così faticosamente edificata in migliaia e migliaia di anni di lavoro creativo. E insieme a noi potrà perire gran parte della biodiversità. Se questa tragedia si consumasse, la Terra continuerà per la sua traiettoria, coperta di cadaveri, devastata e impoverita, ma senza di noi.
Per questa ragione diciamo che abbiamo inaugurato, con la nostra tecnologia di morte, una nuova era geo-
logica: l’Antropocene. In altre parole, l’essere umano sta mostrando di essere lui il grande meteorite che minaccia la vita, che può preferire l’autodistruzione e la dannazione della Terra viva, di Gaia, al cambiamento del proprio stile di vita, alla relazione con la natura e con la Madre Terra. Come un tempo, in Palestina, gli ebrei preferirono Barabba a Gesù, gli attuali nemici della vita potranno preferire Erode ai bambini innocenti morti nei dintorni di Betlemme, dov’era Gesù. Dimostreranno di essere il satana della Terra, invece di essere l’angelo custode del creato.
È in questo frangente che invochiamo, imploriamo e gridiamo: «Veni, Sancte Spiritus, et emitte caelitus lucis tuae radium» (Vieni, Santo Spirito, manda a noi dal cielo un raggio della tua luce).
Senza la presenza dello Spirito corriamo il rischio che la crisi non sia più un’occasione di purificazione, come in un crogiolo, e di maturazione, ma degeneri in una tragedia senza ritorno.
Se un giorno avemmo il coraggio di eliminare il Figlio di Dio quando voleva essere uno di noi, e lo innalzammo su una croce, perché non potremmo oggi avere la perversa volontà di distruggere tutto quello che sta alla nostra portata, compreso il nostro futuro?
Ma noi crediamo fermamente che egli, che è il datore di ogni vita, lo Spiritus Creator, «lava ciò che è sordido, bagna ciò che è arido, sana ciò che sanguina» (Lava quod est sordidum, riga quod est aridum, sana quod est saucium). All’Antropocene opporremo l’Ecocene (protezione di tutti gli ecosistemi); all’era antropozoica contrapporremo l’era ecozoica. Alla cultura della devastazione in funzione della crescita illimitata offriremo una cultura della preservazione di ogni vita. Alla qualità di una vita materiale accessibile a pochi controproporremo il «ben vivere», realizzabile da parte di tutti. Dio, presentato dal libro della Sapienza (11,24-26) come «il «Signore amante della vita», non consentirà che essa si autodistrugga.
Tutte le grandi estinzioni non riuscirono a distruggere la vita. Essa si è sempre mantenuta, ha trionfato e ricostituito, dopo migliaia di anni di sforzo evolutivo, un’incalcolabile varietà di forme di vita. Non sarà certo adesso, a causa della nostra irresponsabilità, che essa verrà distrutta. Sicuramente conoscerà un venerdì santo oscuro, tremendo e doloroso. Ma questo non riuscirà a impedire l’invincibile, trionfante e gloriosa risurrezione.
2. L’erosione delle fonti di senso
Qualcuno ha detto, a ragione, che l’essere umano è divorato da due tipi di fame: di pane e di spiritualità. La ...