Un sindaco fuori del comune
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Un sindaco fuori del comune

La democrazia partecipativa esiste. Storia di Antanas Mockus, Supercittadino di Bogotà

  1. 339 pagine
  2. Italian
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Un sindaco fuori del comune

La democrazia partecipativa esiste. Storia di Antanas Mockus, Supercittadino di Bogotà

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Bogotá, città complessa e dalla fama violenta, è stata governata a due riprese da un sindaco davvero fuori del comune. Antanas Mockus, figlio di profughi lituani, già da giovane rettore dell'Università nazionale si fa notare per i suoi metodi non sempre ortodossi, ma che prendono in contropiede il turbolento mondo studentesco e riescono a conquistarlo. Per esempio, nel corso di un acceso dibattito con i ragazzi mostra le terga: con quel gesto scandaloso si gioca il rettorato, ma la sua abilità nel ricorrere alla «violenza simbolica» ha ormai acceso i riflettori su di lui. Gli viene proposta la candidatura a sindaco, e vince.La sua amministrazione si baserà sul coinvolgimento dei cittadini. Celebre la sua trovata di sguinzagliare una legione di clown nel caotico traffico di Bogotá: non per multare i conducenti indisciplinati ma per canzonarli, stimolandone l'orgoglio. Alle presidenziali del 2010, Mockus con il suo visionario Partito verde costringerà al ballottaggio Juan Manuel Santos, futuro Nobel per la Pace.Sandro Bozzolo, che ha frequentato a lungo «il Supercittadino» colombiano instaurando con un lui un sodalizio umano e intellettuale, ce ne fa un ritratto vivido, illuminando le radici teoriche del suo pensiero e analizzando le linee di forza della sua azione, istrionica ma nient'affatto improvvisata, mirata allo sviluppo di una «cultura ciudadana» che si faccia carico di quel bene comune che è la città.

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Informazioni

Editore
EMI
Anno
2019
ISBN
9788830724495


1. L’OUTSIDER
Un’altra Colombia
Narcotraffico, sangue, populismo, corruzione: le prime associazioni d’idee con cui l’osservatore esterno marchia la Colombia non escono dal perimetro tracciato da queste piaghe irrisolte. Per molti anni essere «colombiano» ha significato, fuori dai confini nazionali, dover sopportare i pregiudizi di chi riceve notizie a senso unico su una realtà spesso definita dai mezzi di comunicazione «una tra le più problematiche del mondo».
È vero, la violenza è stata una costante nella storia recente del paese, come anche la profonda ingiustizia sociale che fin dall’indipendenza (1819) ha contrassegnato il cammino di un’«identità nazionale» esistente per lo più in chiave retorica. Nella società colombiana è possibile riconoscere innumerevoli pseudosocietà disomogenee, retaggio del travagliato corso degli eventi su un territorio pieno di ostacoli naturali (alte montagne, grandi fiumi e foreste) che hanno favorito separazioni etniche successivamente accentuate dalla più cruda legge dell’uomo. L’unione effettiva di universi sociali così distanti tra loro non è mai stata perseguita seriamente, ma al contrario osteggiata con ogni arma possibile da quella classe privilegiata – urbana, criolla, razzista – che fin dai tempi dell’indipendenza esercita un potere assoluto sulle dinamiche nazionali.
Abbandonati a sé stessi, gli innumerevoli micromondi subalterni alla borghesia bogotana, fondati su vincoli locali ed etnici, economici e religiosi, sessuali o folclorici e ancestrali, si sono ritrovati a inseguire ognuno una realtà propria, comunque costantemente improntata alla filosofia consumistica occidentale, se si eccettuano le varie minoranze indigene disperse nelle regioni più periferiche del territorio. Il fenomeno del narcotraffico, che ha raggiunto i massimi picchi negli anni Ottanta del secolo scorso, è un esempio lampante dell’anarchia morale che ha contraddistinto alcuni settori della società colombiana.
Eppure, dietro al muro di elementi negativi, veri o enfatizzati, che all’estero affondano il nome della Colombia, si nasconde un unico grande popolo che più di ogni altro è vittima della sua stessa esuberanza. E che oggi più che mai, in seguito alla firma del Processo di pace faticosamente raggiunta tra il governo e le Forze armate rivoluzionarie colombiane (Farc), cerca un futuro. L’unica certezza risiede nel contare sulle proprie forze, in particolare su quella fantasiosa creatività che fa del subcontinente americano – e dei Sud del mondo in generale – l’ultimo baluardo della speranza, nel deprimente panorama geopolitico attuale. Ed è per questo che, nelle aule universitarie, tra le avanguardie urbane di Bogotá e Medellín, sperduta in case sulle Ande o lontana migliaia di chilometri dalla sua terra natale, una schiera invisibile di colombiani lavora, in silenzio, per imprimere un cambiamento di rotta alla storia nazionale. Impiegati, contadini, professori e studenti, artisti e semplici cittadini hanno scelto di impegnarsi in prima persona negli spazi comunitari dell’interazione quotidiana, con l’obiettivo di raggiungere un’efficace coesione collettiva.
Gli ostacoli sul cammino di una vera azione comune dipendono da traumi ancora vicini nel tempo: negli ultimi due decenni del secolo scorso, partiti politici, organizzazioni sindacali e gruppi di azione sociale sono stati letteralmente decimati dai molteplici fuochi di una violenza a senso unico, sempre e comunque rivolta contro chi, per coraggio o coerenza, ha osato intervenire sulla realtà circostante per ribellarsi a una dieta a base di plomo y balas, piombo e pallottole.
All’inizio del XXI secolo, però, un’interessante sperimentazione di nuovi canali comunicativi ha avviato un singolare processo di cultura della cittadinanza, cominciando a trasformare alla base il tessuto sociale colombiano. Settant’anni dopo l’assassinio del candidato presidente Jorge Eliécer Gaitán, che gettò il paese in uno spaventoso vortice di violenza, la Colombia sta ritrovando la speranza. Una inedita unione di cittadini, profondamente diversi tra loro, si è dimostrata capace di lanciare un forte messaggio progressista a un’opinione pubblica apatica di fronte alle proprie tragedie, bloccata tra rassegnazione e connivenza.
La «Marea verde», il movimento di massa nato e cresciuto in occasione della campagna elettorale per le presidenziali del 2010, ha rappresentato una spiccata anomalia nella storia recente colombiana. Il suo merito principale consiste nell’aver saputo infondere una nuova fiducia nella dialettica politica, riportando il dibattito alla dimensione naturale dei singoli cittadini, in una sorta di movimento contagioso fondato sul principio della mutua autoregolazione, sintetizzato dallo slogan «io imparo da te, tu impari da me». I comizi elettorali che hanno portato il neonato Partito verde fino al ballottaggio per la presidenza della repubblica sono stati veri e propri esercizi di pedagogia collettiva, tanto lontani da ogni canone di retorica tradizionale quanto prossimi alla sperimentazione delle società ideali teorizzate nelle aule universitarie. Alla base dell’intero processo rimane uno schema comunicativo caratterizzato da una forte matrice allegorica, che ha ripreso ed elaborato i concetti di violenza simbolica descritti per la prima volta dalla sociologia francese post-sessantottina, proponendo un meccanismo di politica «dal basso», all’interno del quale anche le più semplici azioni quotidiane sono inserite nel contesto di un chiaro messaggio collettivo.
L’arte di costruire fiducia
Come ha potuto una proposta nuova e articolata nascere e svilupparsi in una società tanto conservatrice? La risposta trova le sue radici nella Bogotá degli anni Novanta, quando Antanas Mockus, matematico e filosofo di origini lituane, diventa il «sindaco-artista» che trasforma la città più pericolosa del mondo in un originale esempio di cultura urbana.
Il cambiamento impensabile ebbe inizio con un episodio che fece scalpore. Mockus, allora rettore dell’Università nazionale, durante una celebrazione in aula magna fu contestato da un gruppo di studenti che, gridando, gli impedivano di parlare; egli allora si abbassò i pantaloni e mostrò loro il fondoschiena, trasgredendo clamorosamente le ingessate convenzioni comunicative della classe dirigente. In quel momento l’élite intellettuale bogotana, che lavorava per risollevare la capitale colombiana dal baratro di violenza in cui era precipitata, vide in quell’ardito comunicatore l’uomo giusto per ricostruire un tessuto sociale devastato e (ri)generare la fiducia collettiva. È nata così la provocazione del Supercittadino, che affronta ogni problema con approcci diametralmente opposti ai soliti schemi di una politica paternalista fallimentare: un’idea che presto si sarebbe incarnata in un personaggio sospeso tra realtà e leggenda metropolitana.
La strategia di Mockus è un sistema costituito da molteplici piccoli atti di provocazione creativa. Lo si è visto chiaramente fin dai primi giorni del suo mandato – in seguito riconfermato – di sindaco di Bogotá, quando decise che la circolazione stradale, notevolmente indisciplinata, non sarebbe più stata controllata dai vigili urbani ma da un esercito di clown e mimi, incaricati di sbeffeggiare i conducenti che avessero violato le regole. I colombiani al volante mostrarono di essere più sensibili alle corde dell’orgoglio che alle multe (che comunque non avrebbero mai pag...

Indice dei contenuti

  1. PREFAZIONE di Domenico Finiguerra
  2. 1. L’OUTSIDER
  3. 2. IL CONTESTO
  4. 3. LA VITA, IL PENSIERO
  5. 4. CULTURA CIUDADANA
  6. 5. LA MAREA VERDE
  7. CONCLUSIONE
  8. POSTFAZIONE ALLA SECONDA EDIZIONE
  9. SITOGRAFIA (Una selezione, basata sulla disponibilità online al 31 maggio 2019)
  10. GRAZIE