Il convento
A molte persone, famose o meno, capita di operare dei cambiamenti radicali nel corso della vita.
A Giò Stajano è accaduto certo molte volte.
Per anni è stato simbolo incontrastato di trasgressione e poi, nell’ultimo periodo della sua esistenza, ha clamorosamente invertito la rotta, decidendo all’improvviso di vivere un’esperienza estrema di fede ritirandosi presso il convento delle suore di Betania del Sacro cuore a Vische, in Piemonte.
All’inizio erano tutti perplessi e increduli. Per primi i suoi famigliari, che pensarono a un nuovo colpo di scena ideato dalla “scandalosa” Giò. Eppure tutti hanno dovuto ricredersi.
«Come è avvenuto questo capovolgimento?»
«Non è stato un capovolgimento, bensì un raddrizzamento che il Signore ha operato nei miei confronti. È il Signore stesso che mi ha presa per i capelli e riportata sulla retta via.
Io l’ho sempre saputo che la mia condotta era riprovevole, ma non riuscivo a cambiarla. Già dopo l’intervento a Casablanca, passato il primo periodo di euforia per aver raggiunto ciò che avevo tanto desiderato, quella stessa femminilità incominciò a darmi disagio, e maturò in me una profonda crisi, sfociata in una depressione vera e propria. Poi ci furono i romanzi porno a Parigi, e infine, al culmine, la prostituzione.
Era come se volessi finalmente essere desiderata da tutti quegli uomini che per troppo tempo non mi avevano mai veramente amata. Fino a quel momento ero stato io a dover pagare o a mantenerli, trovargli un lavoro, far loro dei favori per avere il loro “amore”. Adesso, potevo riprendermi una rivincita per tutti gli anni in cui mi avevano soltanto usata: mi desideravano e mi pagavano.
Lentamente però si faceva strada in me la consapevolezza che la mia condotta dissoluta mi stava portando dove non avrei mai immaginato di arrivare, avevo toccato il fondo del baratro ma non sapevo come uscirne.
È un periodo molto triste della mia vita di cui mi pento e mi vergogno ancora oggi. Anche perché spesso non consideravo le conseguenze delle mie azioni: il ricorso allo scandalo per raggiungere la notorietà, e il vivere un’affettività e una sessualità sfrenatamente disinibite, boccaccesche e completamente slacciate da qualsivoglia orientamento etico naturalmente causavano grande disagio e mortificavano la mia famiglia.
In particolare, e questo è un grande rimpianto che ho, non ho mai tenuto davvero in conto gli enormi dispiaceri che ho dato a mia madre e ai quali non ho più potuto riparare.
Mia madre fu sempre combattuta tra l’amore per me e quello per suo padre, che spesso veniva chiamato in causa dalla stampa per il contrasto tra il suo machismo fascista e la mia effeminatezza.
Io ero il risultato degenere di una situazione sicuramente deplorabile, ma della quale mia madre non aveva colpa alcuna.
A me, ti assicuro, a quel tempo non passava neanche per la testa il dolore che le procuravo. Quando me ne sono resa conto, era troppo tardi per rimediare.
Anche i miei fratelli e sorelle, tutti con carriere rispettabili e ottime famiglie, inevitabilmente dovevano subire le conseguenze delle mie gesta, sempre clamorose, nel loro ambiente. Io non ci pensavo e basta.
D’altra parte, loro non mi hanno mai rimproverato né fatto avvertire riprovazione, per cui io proseguivo per la mia strada.
Dopo la prostituzione, però, mi sembrava di non avere più nulla di eclatante da scoprire. L’unico exploit che mi mancava era quello del matrimonio. Ma altre transessuali l’avevano già fatto. Magari avrei dovuto impalmare l’erede di una casa regnante, ma non ne vedevo né di liberi né di disposti.
All’improvviso balenò nella mia mente combattuta, ma ormai priva di freni e inibizioni, l’idea di consumare il matrimonio più gratificante che ci potesse essere al mondo: quello con Dio».
«Come pensavi di poter realizzare un simile progetto?»
«Sapevo che non sarebbe stato facile, ma cominciai a organizzarmi e a brigare per essere accolta in un monastero.
Io però in chiesa non c’ero più andata dagli anni del collegio dai Padri Gesuiti. Anzi negli anni della mia dissennata vita romana avevo anche peccato di apostasia. In quel periodo infatti mi ero completamente allontanata dalla religione cattolica, rivolgendomi addirittura ai vari déi pagani che avevo conosciuto con lo studio dei classici. A loro chiedevo di propiziare il tipo di vita edonistica che conducevo e li pregavo affinché avessero benevolenza e compiacenza nei miei confronti. Spesso bruciavo incensi e offrivo doni a Zeus, Marte e Venere, e sovente, credimi, ottenevo tutto quello che chiedevo.
Ma ho anche praticato la chiromanzia, avvicinandomi al mondo della magia e dell’occulto. Inizialmente il mio interesse era determinato da semplice curiosità, poi divenne anche un’attività vera e propria che mi procurava, tra l’altro, guadagni significativi.
In particolare negli anni 1993-’94, dopo essere tornata a Sannicola, un mio caro amico e noto ristoratore, Marcello Valente, mi riservò una saletta all’interno del suo bellissimo e rinomato ristorante leccese dove saltuariamente mi dedicavo all’arte dei tarocchi. La fila dei clienti era lunghissima, tutti volevano incontrarmi. In realtà quel successo e quella “capacità divinatoria” era dovuta al fatto che Marcello, prima che incontrassi un cliente, mi raccontava quel che conosceva della sua vita, e così io avevo gioco facile».
«Qual è stato il motivo principale per il quale ti sei allontanata dalla Chiesa prima del tuo rientro a Sannicola?»
«Soprattutto mi sentivo tradita dal Creatore, per avermi dato un animo femminile in un corpo maschile, cosa che non mi ha permesso mai di realizzarmi completamente. Per questo motivo non avevo più fatto né la comunione né la confessione, meno che meno rispettato gli insegnamenti della Chiesa che con tanta devozione avevo seguito da bambino.
Ad un certo punto però realizzai che Roma – e la vita che oramai da troppi anni vi conducevo – era diventata insostenibile per me. Decisi di tornare definitivamente nel Salento, dove ritrovai una tranquillità e una serenità che da tempo avevo dimenticato. Ebbi così modo di conoscere il parroco di Sannicola, don Salvatore Leopizzi, il quale si dimostrò veramente comprensivo. Durante le lunghe chiacchierate con lui non mi è mai capitato di sentirmi giudicata o condannata per il mio stile di vita. Così decisi di confessarmi, dopo tanti anni.
Ricordo ancora ciò che gli dissi: “Padre, io faccio prima a confessare i peccati che non ho fatto, piuttosto che quelli che ho fatto, che sono innumerevoli.
Deve sapere che io ho violato tutti i comandamenti, tranne due. Il quinto, ‘Non uccidere’, in quanto non ho mai ucciso nessuno, se non qualche volta con il pensiero; e il decimo, ‘Non desiderare la donna d’altri’: quello poi non l’ho commesso mai neanche con il pensiero’”.
Il buon don Salvatore non poté fare a meno di sorridere e mi assolse dicendo: “L’importante è che tu ti ravveda”.
Così, dopo più di quarant’anni, ebbi la prima assoluzione dal Signore, e feci la comunione.
Da quel giorno mi sentii subito meglio, e la domenica cominciai a partecipare anche alla messa.
Per dare ancora più credibilità a questa mia progressiva conversione ci voleva però qualcosa di straordinario, di sorprendente. Così iniziai a meditare l’idea di lasciare ogni cosa per entrare in un convento. Ma c’era ancora ben poco di realmente tracciato in questo mio disegno. Poi successe un fatto che accelerò le mie decisioni.
Scendendo le scalinate della chiesa, scivolai rompendomi un braccio. Venni ingessata e rimasi bloccata per quasi un mese. Proprio in quei giorni mi telefonò una giornalista da Roma. Voleva sapere come mai avevo deciso di abbandonare la Capitale, la mia vita e i miei amici, per ritirarmi nel paese natio. Mentre parlavamo al telefono in sottofondo si sentiva Radio Maria, che oramai tenevo quasi sempre accesa perché mi rilassava, mi tranquillizzava. Mi chiese, incuriosita, se ci fosse qualche motivo particolare, se avessi messo la testa a posto e, scherzando, se addirittura stessi pensando di entrare in convento.
La mia risposta fu: “Potrebbe anche essere”. Naturalmente rimase sbigottita.
La settimana dopo uscì un articolo, subito ripreso da altre testate, in cui si diceva che Giò Stajano stava meditando di iniziare una nuova vita sulla strada della fede. A quel punto cominciarono a cercarmi molti giornalisti, e tra questi anche quello che per diverse settimane aveva raccontato su “Gente” la vita di padre Pio a puntate. Mi disse che era molto...