Io, partigiana. La mia Resistenza
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Io, partigiana. La mia Resistenza

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Lidia Menapace è nata nel 1924 a Novara, vive a Bolzano. Staffetta partigiana, senatrice della Repubblica italiana, pacifista e femminista militante, in questo libro racconta la sua esperienza nella Resistenza attraverso i grandi eventi storici e gli episodi di eroismo personale e collettivo. La tessera del pane e i bombardamenti, la solidarietà tra famiglie e le fughe in bicicletta, la distribuzione dei giornali clandestini e la paura dei posti di blocco dei nazifascisti, la consegna dei messaggi in codice imparati a memoria, l'aiuto prestato a un giovane ebreo nella fuga in Svizzera, i libri sui sindacati letti di nascosto, lo studio al lume di candela durante il coprifuoco… E poi, la presa di coscienza graduale del valore politico della Resistenza, che ha posto le fondamenta teoriche e pratiche del progetto di una società solidale e partecipata il quale, se trovò un seguito forte nella Costituzione, fu poi tradito nella storia reale dell'Italia. Ma, come le scriveva in un bigliettino il generale Alexander, comandante delle forze alleate, "Lidia resisté"; e la Menapace continua ancora oggi a combattere.Una fondamentale testimonianza, storica e coinvolgente, corredata da schede di approfondimento che guidano nella lettura anche un pubblico di giovani.

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Informazioni

Editore
Manni
Anno
2014
ISBN
9788862665698
Argomento
Storia

Io spero che a narrarti riesca

Nel 1945 mi fu consegnato un solenne pezzo di carta firmato dal generale Alexander il quale diceva che “Lidia resisté”: oggetto di scherzi e risate da parte di tutti i miei famigliari e anche mia, perché il generale Alexander che per conto degli Alleati sovrintendeva alla Resistenza italiana, era da noi cordialmente odiato per la sottovalutazione che sempre ebbe di noi, fino a che nell’inverno del 1944 non ci consigliò di tornare a casa e smise di inviarci qualunque aiuto, nonostante quello del ’44 sia stato un inverno impossibile: “Resisté” dicevano “nonostante il generale Alexander”.
Ricevetti anche dal Ministero della Difesa il brevetto di “partigiana combattente, col grado di sottotenente”, che mi è molto caro, anche se fui stupita di avere, subito dopo, un congedo militare “assoluto illimitato”, davvero come se volessero levarmi di torno senza appello; e nel contempo mi sono sempre chiesta come potessero congedarmi, se non mi ero mai arruolata. Misteri della logica militare.
In effetti, avevo svolto attività di staffetta in Valsesia, in Val d’Ossola e sul Lago Maggiore; e attività di informazioni, soccorso ed evasione, per i detenuti politici, sotto la copertura assistenziale del Patronato delle carceri di Novara. Avevo partecipato alla Resistenza contro l’occupazione nazifascista, all’unica guerra nella storia italiana che è stata di popolo.
Questo libro è rivolto alle ragazze ed ai ragazzi, una testimonianza che li aiuti ad orientarsi nella modernità confusa e smarrita; lo consegno alle/ai giovani con le parole di Italo Calvino.

ITALO CALVINO

Oltre il ponte

O ragazza dalle guance di pesca
o ragazza dalle guance d’aurora
io spero che a narrarti riesca
la mia vita all’età che tu hai ora.
Coprifuoco, la truppa tedesca
la città dominava, siam pronti:
chi non vuole chinare la testa
con noi prenda la strada dei monti.
Avevamo vent’anni e oltre il ponte
oltre il ponte ch’è in mano nemica
vedevam l’altra riva, la vita
tutto il bene del mondo oltre il ponte.
Tutto il male avevamo di fronte
tutto il bene avevamo nel cuore
a vent’anni la vita è oltre il ponte
oltre il fuoco comincia l’amore.
Silenziosa sugli aghi di pino
su spinosi ricci di castagna
una squadra nel buio mattino
discendeva l’oscura montagna.
La speranza era nostra compagna
a assaltar caposaldi nemici
conquistandoci l’armi in battaglia
scalzi e laceri eppure felici.
Avevamo vent’anni e oltre il ponte
oltre il ponte ch’è in mano nemica
vedevam l’altra riva, la vita
tutto il bene del mondo oltre il ponte.
Tutto il male avevamo di fronte
tutto il bene avevamo nel cuore
a vent’anni la vita è oltre il ponte
oltre il fuoco comincia l’amore.
Non è detto che fossimo santi
l’eroismo non è sovrumano
corri, abbassati, dai corri avanti!
ogni passo che fai non è vano.
Vedevamo a portata di mano
oltre il tronco il cespuglio il canneto
l’avvenire di un giorno più umano
e più giusto più libero e lieto.
Avevamo vent’anni e oltre il ponte
oltre il ponte ch’è in mano nemica
vedevam l’altra riva, la vita
tutto il bene del mondo oltre il ponte.
Tutto il male avevamo di fronte
tutto il bene avevamo nel cuore
a vent’anni la vita è oltre il ponte
oltre il fuoco comincia l’amore.
Ormai tutti han famiglia hanno figli
che non sanno la storia di ieri
io son solo e passeggio fra i tigli
con te cara che allora non c’eri.
E vorrei che quei nostri pensieri
quelle nostre speranze di allora
rivivessero in quel che tu speri
o ragazza color dell’aurora.
Avevamo vent’anni e oltre il ponte
oltre il ponte ch’è in mano nemica
vedevam l’altra riva, la vita
tutto il bene del mondo oltre il ponte.
Tutto il male avevamo di fronte
tutto il bene avevamo nel cuore
a vent’anni la vita è oltre il ponte
oltre il fuoco comincia l’amore.

Gli anni della formazione

La mia famiglia era di tradizioni repubblicane e mazziniane da parte di mio padre, anarchica da parte di mia madre, e questo ci forniva un buon margine di sospetto verso la politica ufficiale, perché eravamo state allevate ad aneddoti sui Savoia, ignoranti come capre e prepotenti o stupidi.
Quando iniziai le scuole elementari nel 1931, IX E.F. (all’era di Cristo bisognava aggiungere quella fascista: modesti!) già era obbligatorio iscriversi alle organizzazioni fasciste per bambini e bambine, altrimenti non si poteva frequentare, sicché quando mi iscrissero alla prima elementare, insieme divenni una Piccola Italiana e ricevetti la relativa tessera. Le classi erano numerose e le maestre per lo più di formazione prefascista e pedagogicamente autoritarie: comunque donne preparate e con una forte coscienza di sé e della propria funzione sociale; molte capivano che la scuola era ineguale e perciò favorivano le bambine povere e di ceto poco colto, prestando loro particolare attenzione.
Le differenze sociali erano molto visibili: i miei ci mandarono tutti e tre, mia sorella, il fratellino e me, alle scuole pubbliche sia perché erano laici, sia perché convinti che bisogna abituarsi a stare insieme, ed inoltre che le scuole dei preti e delle suore, a parte quando si occupavano di orfani o abbandonati, erano per i ricchi e davano una formazione che – oltre all’obbedienza, virtù carissima anche al Fascio – allenava alla gratitudine, mentre i miei erano dell’opinione che non bisogna essere grati per aver avuto soddisfatti i propri diritti: per quelli è solo giusto alzare la voce, se non vengono rispettati.
Mi ricordo una delle prime sottolineature di differenza sociale, quando una bambina molto pettegola, sempre vestita di abitini inamidati, grembiulini vezzosi e coi capelli riccioluti protestò perché la sua vicina di banco “puzzava di aglio”. “L’è perché la me nona la fa i friciulìn cun l’ai”, si difese vibratamente la ragazzina. Riferito l’episodio a casa, tutti convenimmo che le frittelle di patate con l’aglio erano buonissime e che la bambina aveva ragione a difendere la cucina della nonna.
La scuola era uno spaccio di buoni sentimenti sovrabbondanti, diciamo alla De Amicis, era tutta un inno al Fascio, e le maestre ci insegnavano subito a cantare Giovinezza e Balilla. A me comunque andare a scuola piaceva moltissimo, ebbi come prima maestra, nei suoi ultimi anni di insegnamento, la signora Rachele, la stessa che agli inizi della carriera aveva fatto scuola a mia madre: era stata una “maestrina dalla penna rossa” che aveva bravamente portato a termine una gravidanza avuta dal direttore, un prete spretato sposato, con cui coraggiosamente convisse poi tutta la vita: non c’era il divorzio. Di lei si parlava sottovoce, ma mia madre la ammirava moltissimo.
L’insegnamento si faceva ogni anno più insistente dal punto di vista dell’indottrinamento politico, e la storia ci veniva insegnata – ora me ne rendo conto – secondo una sorta di compromesso tra il regime, la dinastia e la Chiesa: grande enfasi sul Concordato del ’29 e Mussolini definito “l’uomo della provvidenza”, ma nessuna notizia dei disordini scoppiati già nel ’31 tra giovani fascisti e giovani cattolici con scontri anche fisici, nei quali pare che i giovani cattolici avessero porto poche guance ma dato pestoni energici e convinti. Erano enfatizzate le solenni encicliche contro il “comunismo ateo”, non venivano ricordate invece quella, sia pure più limitata, contro il fascismo, la Non abbiamo bisogno, né la Mit brennender Sorge contro il nazismo.

SCHEDA

Il Concordato tra Chiesa cattolica e fascismo

Patti Lateranensi è il nome con cui sono noti gli accordi di mutuo riconoscimento tra il Regno d’Italia e la Santa Sede sottoscritti l’11 febbraio 1929, grazie ai quali per la prima volta dall’Unità d’Italia furono stabilite regolari relazioni bilaterali.
Il rapporto tra Stato e Chiesa era precedentemente disciplinato dalla cosiddetta “legge delle Guarentigie”, approvata dal Parlamento italiano il 13 maggio 1871 dopo la presa di Roma. La legge delle Guarentigie non venne mai riconosciuta dai pontefici, da Pio IX in poi; la somma stanziata anno per anno dal governo italiano venne conservata in un apposito conto, in attesa di concludere un accordo con la Santa Sede.
I Patti Lateranensi si compongono di tre documenti distinti. Il primo è un trattato di diritto internazionale che fonda un nuovo Stato, la Città del Vaticano.
La Convenzione finanziaria è il secondo documento, che regola i rapporti finanziari tra Italia e Vaticano.
L’ultimo documento è il Concordato: quarantacinque articoli che trattano la materia religiosa e disciplinano i rapporti tra Stato e Chiesa. Particolarmente significativi sono gli articoli 34 e 36 che riconoscono effetti civili al matrimonio religioso e sanciscono l’obbligo di insegnamento della religione cattolica nelle scuole.

SCHEDA

Il Concordato tra Chiesa cattolica e Germania

Il 20 luglio 1933 papa Pio XI aveva stipulato con la Germania nazista un Concordato (Reichskonkordat) che garantiva alla Chiesa cattolica alcuni privilegi, in particolar modo per quanto concerneva l’insegnamento religioso.
La Germania nazista venne tuttavia ben presto meno ai patti: già durante la Notte dei lunghi coltelli furono uccisi alcuni dirigenti di organizzazioni cattoliche, e poco dopo iniziarono le persecuzioni anticattoliche. Il cardinale Eugenio Pacelli (futuro papa Pio XII e allora cardinale segretario di Stato) rivolse invano, dal 1933 al 1939, 45 note di protesta al governo tedesco, senza alcun risultato.
L’enciclica Mit brennender Sorge parla della situazione della Chiesa cattolica tedesca e dei suoi membri nella Germania nazista. Il documento deplora le violazioni del Concordato del 1933 e condanna la dottrina nazionalsocialista come fondamentalmente anticristiana e pagana:
“Non si può considerare come credente in Dio colui che usa il nome di Dio retoricamente, ma solo colui che unisce a questa venerata parola una vera e degna nozione di Dio. […] Né è tale chi, seguendo una sedicente concezione precristiana dell’antico germanesimo, pone in luogo del Dio personale il fato tetro e impersonale, rinnegando la sapienza divina e la sua provvidenza; un simile uomo non può pretendere di essere annoverato fra i veri credenti.”
In particolare, il documento condanna in chiari termini il culto della razza e dello Stato, definendoli perversioni idolatriche e dichiarando “folle” il tentativo di imprigionare Dio nei limiti di un solo popolo e nella ristrettezza etnica di una sola razza.
La pubblicazione dell’enciclica Mit brennender Sorge destò una violenta reazione da parte del regime nazista, colto di sorpresa dalla lettura dell’enciclica dai pulpiti delle chiese. Hitler in persona ordinò di sequestrare tutte le copie del testo e di impedirne l’ulteriore diffusione. Vennero inoltre inasprite le persecuzioni contro i cattolici. Si celebrarono migliaia di nuovi processi verso esponenti del clero (con l’accusa di frode fiscale o di abusi sessuali), con il supporto della stampa propagandistica. Vennero colpiti anche alcuni giornali cattolici (costretti alla chiusura) e associazioni cattoliche (fino ad ottenerne lo scioglimento).
Nel maggio del 1937, Hitler dichiarò: “Noi non possiamo ammettere che l’autorità del governo sia messa sotto attacco da qualsiasi altra autorità. E questo vale anche per le Chiese”. Tale ammonimento era rivolto non solo alla Chiesa cattolica, ma anche alle Chiese protestanti in disaccordo con il regime hitleriano.
Eugenio Pacelli, eletto papa Pio XII nel 1939, pur conservando una posizione teologica fortemente critica nei confronti del paganesimo nazista e politica contraria alla guerra, ebbe comportamenti ambigui di tolleranza se non di complicità, ad esempio sulla questione degli ebrei e su quella della fuga di criminali nazisti, dopo la caduta di Hitler.
Anche la dinastia veniva raccontata in modo agiografico; l’unica persona di cui si evitava di parlare era la moglie del principe ereditario, Maria Josè del Belgio, sposa infelice di un principe bellissimo, stupido e dissoluto, la quale porta nella bigotta corte dei Savoia un guizzo di novità e modernità; la cosa che suscitò maggiore scandalo è che faceva bagni di mare quando era incinta, dato che nuotare fa bene: ma ciò infrangeva il provinciale riserbo delle donne di casa Savoia infagottate nei loro ridicoli abiti a strascico e con chilometri di perle al collo.
Anche sul Risorgimento e sul processo di costituzione dello Stato italiano il racconto era molto di parte, pochissimo si diceva dei federalisti lombardi e si inneggiava ai Savoia e si denigravano tutte le altre dinastie che erano state spesso migliori. I Savoia venivano studiati secondo la storiografia di corte e chiamati con nomi elogiativi, tipo Padre della Patria Vittorio Emanuele II e Re Buono Umberto I; a me giovò molto il giudizio critico che circolava in famiglia, perché sul Padre della Patria già il nonno paterno scuoteva il capo e diceva: “Molto padre della patria, metteva incinte tutte le ragazze che incontrava quando andava a caccia nelle sue riserve!”, e sul Re Buono poi…
A casa era venerato uno zio materno che aveva fatto da padre a mia mamma, rimasta orfana bambina, con grande generosità e dolcezza. Lo zio Luigi, anarcosindacalista, era perciò considerato un esempio; tra gli episodi che ci venivano trasmessi vi era che, quando nel 1900 Bresci uccise Umberto I, gli aveva mandato un telegramma di felicitazioni: “Bravo Bresci, firmato Luigi Vercesi”. Naturalmente era arrivato un ispettore, zio Luigi era ferroviere e quindi dipendente statale, e tutti i ferrovieri del dipartimento di Novara, anche quelli meno politicizzati, testimoniarono: “Eravamo tutti lì che festeggiavamo, lui aveva bevuto un po’ di più e ha mandato il telegramma”; il comportamento dei ferrovieri documenta la solidarietà di quella che era una delle più organizzate e compatte categorie operaie, ma anche quanto fosse odiato Umberto I. L’inchiesta si fermò prima che portasse al licenziamento di tutti i ferrovieri e prima che palesasse nella sua vastità l’odio popolare che pesava sul re,...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Prefazione: di Carlo Smuraglia
  3. IO, PARTIGIANA
  4. SCHEDE
  5. APPENDICE PRIMA
  6. APPENDICE SECONDA