Sono nata il ventuno a primavera. Diario e nuove poesie
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Sono nata il ventuno a primavera. Diario e nuove poesie

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Sono nata il ventuno a primavera. Diario e nuove poesie

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"Le prime volte che venivo a trovare Alda, son passati diversi anni, mi guardavo intorno nella stanza di ricevimento tinello libreria deposito di quadri, col televisore e il riscaldamento perennemente accesi e sorridevo del disordine, dell'affastellamento; poi via via ho capito che quella stanza è come la poesia di Alda: vive di accumulo, aggiungendo immagine ad a immmagine, oggetto ad oggetto, con una semplicità ed una innocenza che riscattano e sublimano qualunque esperienza come qualunque disordine.La stanza si costituisce anche per sottrazione: Alda è generosa, non ti lascia andar via senza donarti qualcosa: un libro, una fotografia, un cappello ecuadoregno, oppure una poesia o una esecuzione al pianoforte." Piero Manni

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Informazioni

Editore
Manni
Anno
2014
ISBN
9788862665605
Argomento
Literature
Categoria
Poetry

SONO NATA
IL VENTUNO A PRIMAVERA

* * *
Sono nata il ventuno a primavera
ma non sapevo che nascere folle,
aprire le zolle
potesse scatenar tempesta.
Così Proserpina lieve
vede piovere sulle erbe,
sui grossi frumenti gentili
e piange sempre la sera.
Forse è la sua preghiera.
* * *
Il 21 marzo era del 1931; in famiglia c’era già mia sorella, poi verrà un fratello.
Mia madre era bellissima: noi tre figli sembravamo la sua brutta copia, ed insieme autoritaria, prevaricante. Anche la madre di Manganelli era così, tipo carabiniere, un po’ mascolina, imperativa; non si potevano amare queste madri, si potevano solo temere nonostante tutto l’amore che ci portavano, un amore dominante come quelli dei preti insomma, come un dogma: c’era un dogma in casa mia, mia madre era dogmatica.
Non le si poteva confidare un amore, una disobbedienza, t’avrebbe comunque castigato.
Anche i miei fratelli sono stati vittime di questo autoritarismo; mia sorella maggiore era molto timida, reagiva appartandosi, mentre mio fratello si vendicava tirando con la cerbottana i bussolotti nelle orecchie a mia madre.
* * *

A mia sorella

Il nostro viale era il mattino,
silenzioso, mattino di aprile,
immote come fanciulle
scendevamo nell’aia
dei nostri sogni infiniti,
qualcosa ci consolava
la ridente e giocosa giovinezza,
eravamo come le capre
ci bastava un po’ d’erba
e un po’ di rorida acqua.
Adesso la tempesta ci avvelena,
e il nostro cuore è fatto sospettoso
dai mille pericoli di vita,
forse tremiamo per gli altri
ma in fondo siamo rimaste intatte
credenti in un Dio che non muore,
ma forse ci troveremo
oltre queste barriere
come angeli oscuri
che hanno patito la morte
ma che possono credere ancora
che oltre le mura del cielo
sorga una terra santa,
edificante leggera,
la terra di tutti i fratelli.
* * *
Mia madre era una persona molto semplice; figlia di un insegnante, non aveva voluto studiare: una donna pratica, determinata, ma di libri nemmeno a parlarne, era proprio la negazione della cultura.
Mio padre invece, impiegato delle Assicurazioni Generali Venezia, era un valente scrittore, scrittore di casa, non è che pubblicasse. Mi ha usato una grossa violenza quando mi ha impedito di continuare gli studi che preferivo, e ha voluto che frequentassi una scuola per sole signorine, una scuola molto su, in via Liberto, un professionale di avviamento al lavoro, ma con andamento di scuola tecnica; si prendeva il diploma di disegno e…: diciamo che era una scuola molto educativa per sole donne.
*
Eppure, quando mi morì, nel ’55, per me è stato tremendo; è morto improvvisamente, mentre mangiava, di infarto. Un po’ come Raboni. Ero incinta di Manuela, e probabilmente anche il feto ne ha risentito poiché la bambina è nata un po’ deficitaria.
* * *
Eravamo felici e nei quaderni nostra madre, d’estate, metteva uno spigo di lavanda. Poi c’era il calamaio contro la finestrella della casa di campagna, dove veniva Croce qualche volta, nella val di Susa. E poi c’erano le corse in paese con le scarpette da tennis, e gli incontri bellissimi con la gente bene di Torino. Un’infanzia fantastica, una gioventù prodigiosa, una madre che era un inno alla felicità. E ogni settimana una lettera accorata d’amore della mia mamma in cui mi diceva che ero la più bella bambina del mondo. E poi la raccolta delle pagelle anno per anno, ogni trimestre la firma fedele di mio padre. Poi la regina di maggio, Maria José del Belgio che mi mandò a otto anni il primo diploma di poeta. Era bella Maria José, seguo ancora il suo esilio.
A Natale, e solo a Natale, un grosso cappone cuoceva per quattro ore. Poi c’erano i presepi semoventi. Mia madre era un’ottima artigiana e faceva le figurine una ad una. La notte della vigilia si alzava in silenzio, deponeva il Bambino Gesù e tornava in camera in silenzio. Io allora dormivo con i miei genitori e avevo un letto con due sponde, proprio come quelli che più tardi ebbi in manicomio.
Nel pomeriggio di Natale si aprivano i regali, ogni parente portava il suo dono, si giocava fino a notte fonda a tombola coi fagiolini che suonavano in un sacchetto, poi a nanna. Questa tensione durava fino al sei di gennaio, giorno in cui i giochi venivano riposti e si tornava a scuola.
* * *
Dopo le scuole elementari, volevo entrare in convento: avevo una grande vocazione e sono andata in un convento a Vercelli; a casa si sono ammalati tutti, perché sostenevano che io avrei potuto essere una buona madre.
Io ho fatto una vita esattamente contro la mia volontà, e lì è andata persa tutta la mia spiritualità. E poi, come donna di casa non valevo un tubo, come madre nemmeno, anche se ho sempre sentito la maternità, sono una madre nata, però non una madre che spolvera, che sta attenta che il bambino non sporchi, non si faccia una macchia: sono una madre morale, mentale, custode dei figli.
Questo l’ho imparato dallo psichiatra Fornari, dal quale mi aveva mandata Manganelli. Mi ricordo che, quando andai nel suo studio, vedo entrare quattro bambini sporchi, mocciosi e dico: Ma scusi, lei tiene i bambini così? E lui, che era un uomo severissimo, mi fa: Certo, si devono autoeducare; se uno guardava le parti intime dell’altro lui non interveniva, non diceva: Non si guarda il pisello, o altro del genere; infatti, sono cresciuti ragazzi disciplinatissimi.
*
Leggevo molto. Il mio papà era abbonato al “Parigi”, aveva parecchi libri, aveva la Commedia del Dorè che io gli rubavo, poi andavo sotto il letto e la leggevo, guardavo questi uomini nudi, tremendi, ritratti a capofitto, capovolti infilzati come degli spiedini. Lì ho imparato a memoria la prima cantica:
Per me si va nella città dolente…
Avevo una memoria prodigiosa, un tempo: me ne sono resa conto dopo, e l’ho esercitata molto, anche nelle scuole.
Il lirismo che è in me è sempre andato di pari passo con un’inclinazione alla musica alla quale mi hanno educata fin da bambina. Adoravo la musica, e la trovo più efficace della poesia. Durante lo sfollamento, avevo tanto tempo libero, ho incominciato a suonare il pianoforte.
Andammo via da Milano dopo il bombardamento del 14 ottobre 1943 dove tutta Milano perse la vita.
Milano era diventata un rogo, la gente scappava dappertutto e si strappava i capelli, i rifugi erano pieni di morti. Era il tempo in cui Quasimodo scriveva:
E come potevamo noi cantare
con il piede straniero sopra il cuore
coi morti abbandonati nelle piazze
Io e la mia famiglia c’eravamo miracolosamente salvati e eravamo sfollati a Vercelli dove praticamente vivevamo nelle risaie. Passarono tre inverni tremendi in cui io stessa per potermi guadagnare da vivere andai a fare la mondina. E avevo appena dodici anni.
Mia madre era divenuta inservibile.
Traumatizzata dalla guerra non riusciva a dirigere la famiglia, mia sorella corteggiava i tedeschi e in tutta quella sarabanda molti divennero ricchi a spese dei poveri diavoli. Per un pezzo di pane avremmo venduto l’anima al diavolo.
Finita la guerra tornammo a Milano a piedi e ci accampammo nel primo vano libero trovato.
Siamo approdati qui, sul Naviglio, in un unico locale dove eravamo in cinque e si dormiva per terra; non c’erano case ed eravamo tutti di una povertà… Certo non si rubava però, ed anzi c’è stata una grande fratellanza tra tutti i milanesi, perché uno aiutava l’altro. È stato un periodo difficile, molto penoso.
*
Nell’età dello sviluppo sono diventata una ragazzona, molto prosperosa, e allora ho fatto una cosa tremenda, ho fatto una poderosa cura dimagrante a base di… non mangiare, per cui mi sono guadagnata un esaurimento nervoso e sono caduta in un’anoressia potente che poi ho curato con lo shock da insulina. Era tremendo, però mi faceva recuperare il peso.
Ero una ragazza come tutte, un’adole...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Dedica
  3. Presentazione
  4. SONO NATA IL VENTUNO A PRIMAVERA
  5. È STANCO, IL POETA
  6. NUOVE POESIE
  7. Notizia sui testi