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L'Europa che non ti aspetti

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L'Europa che non ti aspetti

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Informazioni sul libro

Scrittore nomade e collezionista di luoghi, Nicola Lecca ha visitato più di quattrocento città. Le più insolite sono raccontate in questo libro che accompagnerà il lettore in un'ostinata ricognizione delle periferie del mondo: dall'isola di Lesbo, in Grecia, al piccolo villaggio di Zsira in Ungheria, dall'avamposto di confine di Rattersdorf, in Austria, alle sconfinate spiagge di Newquay in Cornovaglia: fino alla nordica traversata a bordo dell'Hurtigruten: il postale dei fiordi norvegesi.

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Informazioni

Editore
Ares
Anno
2022
ISBN
9788892981966
Categoria
Travel

Francia

Cassis

Il treno regionale per Cassis è strapieno, ed è sporco. La stazione marsigliese della Blancarde, con la sua armonia un po’ appassita e l’intonaco bianco ombreggiato dal tempo sembra già un ricordo lontano. Ritornano alla mente le parole del rivenditore di stecche di vaniglia. Un uomo algerino con gli occhi azzurri e i capelli ricci, nerissimi. «Marsiglia è una città allergica alla pulizia: Cassis, invece, è l’opposto: è pulita fino al midollo. Ed è piena di purezza».
Nonostante l’affollamento, in treno c’è silenzio.Non si chiacchiera più in viaggio. Ognuno è troppo impegnato a leggere, a giocare a Scarabeo sul suo Ipod, o ad ascoltare musica con gli auricolari.
Ci sono poi i passeggeri multi task: quelli che, in pieno silenzio, riescono addirittura a fare più cose contemporaneamente.Fortuna che i bambini (almeno loro) qualche volta, un po’ di rumore lo fanno. Un ragazzo biondo (e con i capelli rasati) legge un libro sui templari. Un libro vero, di carta: con le pagine da sfogliare e da sottolineare. Poi un telefonino squilla: e una madre premurosa e risponde a suo figlio, che è in difficoltà nel preparare lo sformato di zucchine. I passeggeri vicini, allora, ascoltano in dettaglio, e con l’acquolina in bocca, la sua ricetta: talmente deliziosa che una ragazza prende appunti: per poterla provare a casa, più tardi.
Appena giunti a destinazione, ci si rende conto che – rispetto a Marsiglia – Cassis è tutto un altro mondo. Fatto di panorami sognanti, profumo di fiori, brezza marina, vecchi viali, vigneti, boschi, scogliere e casette che paiono uscite dalle favole. Per raggiungere il mare bisogna camminare a lungo. Chilometri di strada in discesa che fanno perdere al viaggiatore la cognizione del tempo. Tutto si ferma: e l’incanto comincia, immediatamente, fin da subito, contornato da ulivi nodosi e da vigneti grondanti di grossi grappoli d’uva nera. In molti prendono l’autobus, o fanno l’autostop. Ma in un posto come Cassis è un peccato bruciare le tappe. È meglio lasciare che tutto accada a poco a poco, indisturbatamente. Altrimenti si perde la possibilità di conoscere le fattorie che vendono il formaggio di capra biologico, o quelle che producono il sidro. Fino a scoprire che un vecchio registratore di cassa è stato abbandonato in mezzo a un cespuglio di bacche rosse. Si trovasse all’interno della Tate Modern, a Londra, verrebbe applaudito come una strepitosa installazione d’arte concettuale: e i critici farebbero a gara per partorire elucubranti interpretazioni riguardo al suo significato. I soldi e il danaro, annientati dal potere della natura. Invece no. Invece è tutto un caso.
Perché a Cassis perfino la disarmonia diventa armonica e perfino un registratore di cassa abbandonato in mezzo a un cespuglio sembra obbedire a un qualche misterioso canone di eleganza.Non ci troviamo, forse, in uno di quegli irreali luoghi di villeggiatura che si fatica immaginare abitato anche d’inverno?
Ecco perché appena si arriva in centro, è un piacere perdersi nel reticolo intricato delle sue stradine, e rendersi conto che, oltre alle boutique, ci sono una biblioteca, un asilo e una scuola e che, dunque, a Cassis si nasce, si vive e si muore: come in qualsiasi altra città del mondo: ma certamente con maggior privilegio: e, soprattutto, con molta più emozione. È mezzogiorno, ormai. Il sole si infiltra nel vicolo Bonaparte, dipingendo di ombre le facciate dei palazzi. Le botteghe degli artigiani pasticceri vestono l’aria dei loro profumi prelibati: mandorla, miele, fior d’arancio e crema alla vaniglia. I gatti, d’intorno, ne rimangono estasiati, almeno quanto i passanti. Un cartello un po’ bigotto informa che è vietato passeggiare per le strade del centro in costume da bagno.
Dal piccolo porto, intanto, partono i battelli alla volta delle Calanques, le insenature per eccellenza: quelle scelte dall’Unesco come Patrimonio dell’Umanità.Sullo sfondo pini, cipressi, un piccolo faro verde e la cornice scoscesa di bianche scogliere millenarie.
Il vento e l’acqua fredda non scoraggiano i bagnanti.Le case che abbracciano il porto sono tutte diverse fra loro. Hanno due o tre piani e le tegole un po’ sbilenche: ma stanno bene insieme. Gli intonaci sono rosa, o color crema. A Cassis, perfino gli alberghi a due stelle vantano prestigio, e ostentano vanità. Peccato che le antenne paraboliche sui tetti appaiano come una micosi aliena: che ha colpito un paesaggio fatto di torri e di montagne, ammorbandolo di modernità.
Consola sapere che, nella sua bottega, un poeta locale vende parole incorniciate. Poesie d’occasione, composte per celebrare fidanzamenti, battesimi, cresime e matrimoni. È un uomo schivo, il poeta, ma è disponibile a scrivere versi su commissione, adatti a qualsiasi ricorrenza. Ormai da trent’anni fa questo mestiere. Non è ricco: ma sembra felice di regalare emozioni agli altri. Poco distante, un ristorante corsicano propone ai suoi clienti Figatellu Grillé e Strozapretti (volutamente scritto con una «z» e due «t»): mentre il dottor Raymond Landret offre l’ipnosi per curare le malattie del sistema nervoso.I balconi fanno a gara per primeggiare: grondano di fiori e di piante rampicanti. Perfino le mollette che stendono i panni sono tutte coloratissime!
La rue Rastit è la più cinematografica di tutte. Sembra la ricostruzione di un mondo che non esiste più. Certi palazzi sono così antichi che il campanello si suona tirando una cordicella. Lungo il davanzale di un monolocale al pianterreno sfila una spinosa collezione di piante grasse. Un negozio vende cappelli di Panama. E c’è una profumeria, in loco dal 1851, che produce fragranze inebrianti. Il loro slogan, però, è ambiguo e provinciale: «100% profumo del Sud», promette. Ma è tutto relativo. Perché per molti abitanti del mondo Cassis è, inevitabilmente, una città del Nord. Meglio contemplare le vetrine dei tanti vecchi bar: quelli che propongono ancora le bottiglie vintage di Pastis e di Anisette. Come se gli anni Sessanta non fossero mai passati.
Le spiagge sono piene: le chiese vuote.Cassis non è un luogo dell’anima: ma all’anima fa bene. È caldo, accogliente, irreale, armonioso e incoraggia la serenità. Perché è pieno di armonia. E l’armonia – si sa – è un balsamo: tanto per le anime semplici quanto per quelle più complesse.

Frioul

Esistono al mondo luoghi assai più rilevanti della loro piccolezza geografica. Pensiamo alla Città del Vaticano: uno fra i più piccoli Stati al mondo: e ciò nonostante punto di riferimento per miliardi di persone. Ci sono poi le isole. Posti remoti e soli che il mare separa dalla terraferma, allontanandoli tanto dal corpo, quanto dalla mente: come l’isoletta islandese di Grimsey abitata da un centinaio di persone soltanto e dolcemente adagiata sulla linea del Circolo polare artico: o, ancora, lo svedese arcipelago di Gotland, scelto dal regista Ingmar Bergman per concludere la propria vita in piena armonia con la natura.
Sulla carta geografica paiono briciole. Invece, a visitarle con piglio da esploratore, ci si rende conto che ognuna di queste isole custodisce un mondo a sé.
Proprio come l’arcipelago delle Frioul dove un’altissima densità di storia, natura, mito e leggenda riescono a far salire all’istante il termometro dell’attenzione.
Impervie insenature calcaree, sabbia, rocce e ciottoli, nascoste spiagge deserte, trecento specie di piante (diverse fra loro: ma tutte resistenti alla siccità), un microclima raro e ventoso, un’invidiabile fauna sottomarina e un parco marittimo in cui – pur di non disturbare i gabbiani – è vietato far troppo rumore, accendere falò o guidare auto, moto e perfino biciclette.
Che isole straordinarie, quelle dell’Arcipelago di Frioul! Minime frazioni di chilometro quadrato dirimpetto al colorato alveare marsigliese del quale fanno parte soltanto istituzionalmente, pur rappresentandone il suo contrario in un gioco di parole che potrebbe continuare all’infinito: rumore e silenzio, caos e calma, grandezza e piccolezza, semplicità e complicazione, incanto e disincanto...
Da qui Marsiglia appare immobile, disabita: e perfino i giganteschi palazzi popolari delle sue estese periferie sembrano essere vuoti.
Un vero paradosso: perché l’arcipelago delle Frioul, pur essendo parte della municipalità marsigliese (tanto che il biglietto per i trasporti urbani della città basta ai residenti delle isole per raggiungerle in traghetto) si oppone all’intricata e variopinta ragnatela di strade che caratterizza l’indaffarata atmosfera portuale e quella, un tempo losca, dell’ormai rinnovato quartiere Panier.
Dimenticati i tempi in cui erano state trasformate in luoghi di reclusione, lazzaretti o ghetti per i malati di febbre gialla, le Frioul sono oggi il trionfo della serenità: luoghi protetti in cui regnano rare specie di piante e uccelli che difficilmente sopravvivrebbero altrove: ma che qui hanno potuto insediarsi grazie alla purezza di un habitat a loro congeniale.
Ma soffermiamoci a conoscerle singolarmente queste quattro isole: tanto vicine a una fra le più cosmopolite metropoli francesi, quanto lontane dai ritmi confusionari e dai vivaci colori che rallegrano le sue malandate strade. Qui, fra strapiombi e insenature, dominano il bianco e il grigio di prepotenti rocce calcaree, il verde di una natura ancora dominante e l’azzurro del mare e del cielo.
L’isola di Tiboulen è fra tutte la più piccola e sola, ma anche la più ventosa. Per la gioia delle numerose specie di volatili che la abitano, raramente qualcuno si prende la briga di visitarla.
Era il 1513, quando nella piccola isola di If il primo rinoceronte mai arrivato in Europa sbarcò per sgranchirsi un po’ le zampe durante il lungo viaggio verso Papa Leone X – cui fu donato dal re del Portogallo. Una quindicina di anni dopo, proprio su quest’isola puntiforme, Francesco I fece costruire una grandiosa fortezza destinata a diventare, nei secoli, una prigione di massima sicurezza. La stessa che Alexandre Dumas rese celebre nel suo romanzo Il conte di Montecristo, permettendo al protagonista Edmond Dantès un’intrepida evasione: leggendaria per tutti, ma soprattutto per una comunità di torcedores cubani cui era affidato il compito di arrotolare i più celebri sigari al mondo, intrattenuti proprio dalla lettura di quelle emozionanti pagine, capaci di rendere meno stancante l’estenuante lunghezza delle loro giornate di lavoro.
Il castello che ispirò Dumas – così come le sue oscure segrete – sono oggi visitabili e permettono alla mente di viaggiare a ritroso in secoli lontani, conosciuti soltanto grazie ai libri di storia.
Le isole di Pomègues e Ratonneau – ormai unite – sono il corpo principale dell’arcipelago e vengono regolarmente raggiunte da moderni traghetti bianchi e blu carichi di turisti desiderosi di avventurarsi fra i loro scombussolati sentieri alla scoperta di ospedali ottocenteschi, insenature che fanno odiare la modernità e teatrali panchine panoramiche capaci di rendere le Frioul il più bel balcone possibile per ammirare Marsiglia da lontano.
A bordo, ci sono anche i residenti. Fra tutti i passeggeri, si riconoscono per le pesanti buste della spesa dalle quali spuntano baguette, mazzi di sedano e zampe di gallina. Si tratta per lo più di pescatori che abitano in un piccolo villaggio di recente costruzione: un agglomerato assurdo che ha violentato la natura incontaminata delle isole, rovinandola con una sfilza di dozzinali ristoranti: come se fosse assolutamente necessario bere e mangiare in qualunque momento della giornata e non, invece, godere anche della lontananza dalla modernità, per fermarsi a meditare in solitudine.
Questo vien naturale fare quando ci si ritrova di fronte alla millenaria imponenza dello Château d’If.
E si rimane lì inermi, immobili, incantati da quel perfetto momento d’intimità con sé stessi. Un istante prezioso, vestito dal cielo, dal mare, dal vento, dalla storia e dal verso dei gabbiani con un sontuoso abito imperiale che si chiama incanto.
Raramente nella vita capita il privilegio di emozionarsi tanto, per così poco.
Ed è questo, in fondo, il più grande privilegio che le isole Frioul sanno offrirci, in cambio di nulla.

Cerbère

Cerbero: il favoloso cane a tre teste della mitologia greca, figlio di Tifone e Echidna, custode dell’Ade: e posto da Dante nel terzo cerchio dell’Inferno a vigilare sulla dannazione dei golosi con le sue orride sembianze. Lui, avido di quelle focacce al miele che i parenti dei defunti sotterravano insieme ai cadaveri dei loro cari: nella speranza che quel dolce viatico li avrebbe aiutati a raggiungere l’aldilà.
Ed è proprio da Cerbero: da questa fantasiosa ma inquietante figura che il ridente paesino francese di Cerbère prende nome. E non a caso: dato che si trova proprio al confine con la Spagna e rappresenta non soltanto l’ultimo insediamento francese della Costa Vermiglia: ma anche la fine dei Pirenei che qui sfumano via verso il mare davanti a una spiaggia che mozza il fiato, permettendo alla vista il privilegio di spaziare da zero a 643 metri in un batter d’occhio.
Bisogna ammetterlo, Cerbère è bella soprattutto grazie al profilo drammatico delle sue scogliere: sei chilometri di costa frastagliata che trasmettono all’animo irrequietezza e tumulto. Eppure, in questo incantevole villaggio di confine abitano poco più di mille persone. È vero: cinquant’anni fa erano quasi il doppio, ma il turismo è diventata una risorsa sempre meno fruttuosa e ciò ha costretto molti giovani a trasferirsi altrove: dove il reddito medio mensile per nucleo familiare può ambire a superare quei 2000€ che – è vero – garantiscono una vitadignitosa, ma difficilmente straordinaria.
Dieci ristoranti e trattorie, cinque alberghi, qualche bar e tre negozi di souvenir oltre alla piacevolezza dell’Hotel Belvédère du Rayon, costruito dall’architetto Baille in stile Art Deco per ospitare quei tanti viaggiatori che, agli inizi del Novecento, proprio a Cerbère si fermavano a trascorrere la notte durante il loro viaggio verso la Francia. Dichiarato Monumento Nazionale, questo storico edificio testimonia l’importanza di uno snodo ferroviario tanto cruciale da richiedere l’intervento di Gustave Eiffel in persona per la progettazione della successiva stazione di Portbou: già parte della Spagna e primo comune della Costa Brava catalana.
L’Hotel Bélvèdere du Rayon ha ormai chiuso i suoi lussuosi battenti da decenni: ma il viaggiatore incallito saprà comunque trovare una parvenza d’incanto nel vicino Hotel La Vigie ospitato in una scogliera a strapiombo sul mare. Una location «alla Hitchcock»: con le vecchie finestre bianche incrostate di salsedine, gli spifferi profumati dal mare e le camere dell’ultimo piano misticamente trasandate, cigolanti, ma capaci di offrire un’atmosfera (e una vista) in pieno stile cinematografico.
Detto questo, fa sorridere che, quegli stessi spagnoli capaci di intitolare Desayuno con diamantes il film Colazione da Tiffany, si ostinino a chiamare Cerbère con il complicato (e molto meno poetico) nome di Cervera de la Marenda.
Cerbère e Portbou. Due luoghi vicini ma opposti, capaci di regalare a chi li visita la suggestione di trovarsiin bilico lungo una linea di confine storicamente significativa e teatro di numerose tragedie umane: come quella vissuta da Walter Benjamin.
Dopo sette anni di esilio e una trentina di tormentosi cambi di residenza, il 25 settembre 1940 il filosofo tedesco – nonostante i suoi problemi di cuore – attraversa il confine con la Spagna per fuggire alla furia dei nazisti: ormai da mesi in pieno possesso della Francia, dopo la firma dell’armistizio avvenuto in un vagone ferroviario adagiato lungo la foresta di Compiègne.
Walter Benjamin custodisce in tasca un prezioso passaporto americano. In valigia ha qualche indumento un manoscritto, una pipa, un po’ di soldi in contanti (che serviranno a pagare il suo funerale) e una lastra a raggi X.
Poche cose. Ma del resto che importa? Una grande mente porta sempre la propria casa dentro di sé.
La faticosa traversata da Cerbère a Portbou è tormentata. Walter Benjamin ha difficoltà ad affrontare quelle alture: sente il respiro sempre più corto e il sudore gocciolargli, freddo, dalle tempie fino al collo. Ma non importa. Bisogna andare avanti: il sogno della fuga si avvicina. I miraggi dell’America e della libertà sembrano essere vicinissimi. Soprattutto quando, sfinito, egli riesce a raggiungere Portbou.
Invece, poi, accade qualcosa di inspiegabile. Un affronto del destino: un contrordine. La polizia di Portbou ferma Walter Benjamin, lo arresta e lo informa che l’indomani mattina lo consegnerà alla polizia francese e, di conseguenza, alla Gestapo.
Walter Benjamin è terrorizzato. Chiuso nella camera numero tre del modesto albergo Franca apre una busta contenente una forte dose di morfina e si suicida. Almeno, questo è ciò che riferirà ufficialmente la polizia: con un referto medico alla mano. Ma sono in molti, ancora oggi, a pensare che quella notte il filosofo della scuola di Francoforte sia stato ucciso.
Del suo manoscritto, infatti, si perse misteriosamente traccia.
Oggi l’albergo Franca non esiste più: e il corpo di Walter Benjamin riposa sotto la solenne ufficialità di un monumento, voluto per onorare la sua memoria e ricordare l’orrore causato dalla Germania nazista.
Il confine tra Cerbère e Portbou, oramai, è diventato l’ago di una bilancia molto più serena d’un tempo: anche se – bi...

Indice dei contenuti

  1. Sì, viaggiare
  2. Grecia
  3. Ungheria
  4. Norvegia
  5. Islanda
  6. Regno Unito
  7. Francia
  8. Italia
  9. Svezia
  10. Germania
  11. Svizzera
  12. Austria
  13. Nota