1. Il “momento hamiltoniano” per l’Europa?
Il 20 maggio del 2020 su «Die Zeit», uno dei più autorevoli settimanali tedeschi ed europei, Olaf Scholz, allora ministro delle Finanze della Germania nel governo di Angela Merkel e oggi neo cancelliere tedesco dopo il risultato vittorioso dell’SPD alle elezioni politiche di domenica 26 settembre 2021, ha espressamente fatto riferimento al “momento hamiltoniano” che l’Europa sta vivendo considerando le decisioni che sono state assunte a Bruxelles a seguito della necessità di intervenire a sostegno dei Paesi membri, e dell’Unione europea nel suo complesso, per reagire alla crisi sociale ed economica che ha generato la pandemia da Covid-19.
Da più di un anno una parte significativa del dibattito e degli studi riguardanti la prospettiva di futuro dell’UE si sono concentrati su quest’espressione e sul suo significato e, soprattutto, sulle implicazioni concrete che comporterebbe.
Che a farne espresso riferimento, insieme a studiosi e personalità, sia stato l’allora “controllore” delle finanze della più forte economia del continente e oggi guida politica della prima potenza economica e commerciale dell’area, ha reso tutto ciò qualcosa in più di una semplice suggestione e dato concretezza a una prospettiva associata alla locuzione “rilevanza strategica” usata quando si fa riferimento a decisioni e atti di questi mesi e che impattano sul futuro dell’Unione europea. Il richiamo storico è evocativo perché prende il nome da Alexander Hamilton, uno dei padri fondatori degli Stati Uniti, che nel 1790 riuscì a trasformare il debito che le 13 colonie avevano accumulato nella lotta per l’indipendenza dal Regno Unito in debito pubblico del nuovo Stato federale, mettendo così le basi per la nascita degli Stati Uniti, che grazie a questa decisione si son potuti dotare di mezzi finanziari comuni e di uno strumento unico e unitario per la gestione della leva fiscale e del bilancio. L’espressione “momento hamiltoniano” ha assunto un rilevante significato perché è stata una decisione che si è rivelata cruciale nel processo di costituzione degli Stati Uniti che hanno così potuto gestire proprie (nuove) politiche pubbliche e di sviluppo non soltanto verso l’esterno, ma anche rispetto agli Stati membri fondatori (nel curioso corso della storia, è da ricordare che Hamilton, determinante per la nascita degli Stati Uniti, morì nel 1804 in un duello con Aaron Burr all’epoca vicepresidente USA).
Sono molti gli osservatori – tra questi Scholz con la propria autorevolezza e posizione politica / istituzionale – che ritengono che l’istituzione del Next Generation EU e del Recovery Fund europeo abbia aperto lo spazio perché un tale “momento” si realizzi anche per l’Europa, con un percorso di avvio verso la creazione / evoluzione di una forma di unione fiscale che abbia una significativa gestione unitaria delle risorse e garantisca una piena autonomia alle istituzioni di Bruxelles.
Il motivo per cui si è aperto questo dibattito (con le implicazioni che comporta sulla prospettiva futura e rispetto ai posizionamenti politici nazionali) è dato dalla condizione in cui si è ritrovata l’Europa (e tutto il pianeta) a causa dell’impatto sociale ed economico che ha avuto la pandemia globale da Covid-19 che ha generato, in meno di due anni, una crisi senza precedenti e di dimensioni non previste né preventivabili. Crisi che ha obbligato gli Stati nazionali e le istituzioni internazionali a prendere provvedimenti di assistenza prima e di rilancio economico dopo, a supporto delle economie, delle comunità, delle persone e in generale del tessuto socioeconomico.
Per capire la dimensione della crisi pandemica in termini economici, sociali e finanziari rispetto alle economie nazionali, basta fare riferimento all’Organizzazione per lo sviluppo e la cooperazione (OSCE) e al suo rapporto G20 GDP Growth Second Quarter of 2020 sull’andamento del Pil dei Paesi del G20. Analizzando infatti il secondo trimestre del 2020 si è registrata una notevole caduta del dato del Pil di queste economie pari a una media di -11,8 per cento (per capire il valore di tale negatività basta confrontare questo dato con quello registrato nel primo trimestre del 2009, in piena crisi finanziaria mondiale, periodo in cui la riduzione del Pil dei Paesi del G20 si è attestata “solo” a -1,6 per cento). Insomma, un calo del prodotto interno lordo così forte che ha visto tutti governi intervenire con primi necessari provvedimenti emergenziali di natura solidaristica e di sostegno (prevalentemente con misure a fondo perduto o attraverso sussidi) così rilevanti che il Fondo monetario internazionale (FMI) ha conteggiato lo sforzo concretamente realizzato e messo in campo dai singoli Stati, sempre del solo G20, pari a 10,290 miliardi di dollari, cioè circa il 7,5 per cento del loro Pil.
Oltre che i singoli Stati anche l’Europa, come organizzazione più volte invocata dalle opinioni pubbliche come soggetto chiamato a intervenire e “farsi carico” dell’emergenza, ha dovuto fare i conti con questa situazione e ha sostanzialmente reagito con due differenti tipologie di intervento: una prima, di natura emergenziale, e una seconda, di programmazione e rilancio. Rientrano tra le misure della prima fase le seguenti iniziative: il Coronavirus Response Investment Initiative (CRII); il Coronavirus Response Investment Initiative Plus (CRII+), rispettivamente di marzo e aprile 2020; la sospensione del patto di stabilità e crescita, in particolare con riferimento alle regole sul tetto del debito per i singoli Stati; le misure di maggiore flessibilità nell’utilizzo / riassegnazione / rendicontazione dei diversi fondi strutturali e di investimento europei (SIE); la realizzazione del fondo SURE, lo strumento temporaneo per attenuare i rischi di disoccupazione nelle fasi di emergenza – con una dotazione, sotto forma di prestiti, di 100 miliardi di euro finalizzati al mantenimento dell’occupazione. Tutte misure appunto emergenziali, di aiuto “immediato” per il momento drammatico dal punto di vista sanitario ed economico, utili a gestire il quotidiano, ma misure con poca prospettiva e con una forza economica e gestionale certamente importante ma limitate per tempistica, dimensione o impatto. Soprattutto senza una strategia di medio / lungo periodo che accompagnasse fuori dal tunnel della crisi.
Rispetto invece alla seconda tipologia di misure, quelle di rilancio e sostegno strutturale all’economia dell’UE, si tratta di fare riferimento all’iniziativa del Next Generation EU (NGEU) finanziata dal Recovery and Resilience Facility (RRF) a cui fanno riferimento i piani nazionali di ripresa e resilienza (PNRR) che i singoli Paesi hanno definito e presentato a Bruxelles per riceverne, nei termini che vedremo, il finanziamento.
Quest’ultima iniziativa si pone quindi in una dimensione di prospettiva lunga e ha l’ambizione di sostenere gli Stati dell’Unione in politiche di respiro e con percorsi di riforma e modernizzazione che definiscano una nuova dimensione economica complessiva. Uno strumento che nella sua impostazione ha un duplice profilo: da un lato la riduzione del gap infrastrutturale tra Stati e aree dell’Europa sostenendo gli sforzi di riforma e risanamento; dall’altro lo sviluppo di politiche nuove supportando economia green, transizione ambientale, innovazione tecnologica, coesione e investimento sul capitale umano.
Tale percorso, che come vedremo si è concretizzato in un apposito Regolamento europeo, trova la sua legittimazione formale sia nell’art. 175 comma 3 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) nella parte in cui riconosce all’Unione competenze per promuovere «uno sviluppo armonioso dell’insieme dell’Unione» attraverso il rafforzamento della coesione sociale e territoriale e la riduzione del divario tra regioni, e sia nell’art. 122 dello stesso Trattato secondo cui l’Unione può concedere assistenza finanziaria allo Stato membro in casi eccezionali.
2. I passaggi temporali, le condizioni di partenza, cosa si è messo in campo
I numeri usati sopra per descrivere l’entità della crisi – insieme ad altre analisi e valutazioni utili a “leggere” il drammatico momento del biennio 2020-2021 – hanno sviluppato la consapevolezza, poi tramutata in convinzione politica trasferita in decisioni e procedure, che la gravità della situazione descritta necessitasse di un intervento europeo del tutto nuovo per impatto, dimensione, straordinarietà e regole di gestione. Un intervento che ha avuto una genesi estremamente rapida se si considera che dal marzo 2020 a luglio dello stesso anno è maturata e ha preso forma la decisione che ha dato vita alla più grande iniziativa di politica economica mai realizzata in capo dall’Unione europea e il conseguente suo rafforzamento come soggetto attivo in materia finanziaria e quindi anche politico.
A puro titolo di elencazione utile a capire la tempistica decisionale, di seguito un rapido richiamo delle tappe più significative che hanno determinato l’iniziativa oggi al centro della politica europea e che potrebbe offrire uno degli elementi centrali per la sua prospettiva futura. Calendario alla mano, si può notare anche la velocità con cui istituzioni e consessi politici abituati a valutare / decidere con tempi di gran lunga diversi, abbiano assunto una determinazione di così forte rilievo e con un’omogeneità di orientamento mai verificatasi sino a oggi.
Il 25 marzo 2020 i leader di nove Paesi (Francia, Italia, Spagna, Belgio, Grecia, Irlanda, Lussemburgo, Portogallo, Slovenia) inviano al Presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, una lettera in cui si chiede che, per fronteggiare la crisi in atto, venga introdotto un qualche strumento di debito comune emesso da una delle istituzioni europee. A seguito di una trattativa durata un mese, il 23 aprile 2020 il Consiglio europeo nelle proprie conclusioni delibera di delegare alla Commissione UE l’elaborazione di una proposta che affronti il risanamento considerando anche l’ipotesi di uno strumento di obbligazioni.
In parallelo all’attività del Consiglio, il 18 marzo del 2020 la Banca centrale europea (Bce) guidata da Christine Lagarde ha presentato il Pandemic Emergency Purchase Program (pepp), un’operazione «volta a garantire che tutti i settori dell’economia possano beneficiare di condizioni di finanziamento favorevoli consentendo loro di superare lo shock causato dalla pandemia», e il 4 giugno la Bce aumenta il volume di risorse investite su tale misura passando da uno stanziamento di 750 miliardi di euro a 1350 in un primo momento, arrivando a dicembre 2020 a un totale di dotazione complessiva di 1850 miliardi di euro, superando anche la logica del tradizionale Quantitative Easing (App ‒ Assets Purchase Programme) fondato sul rispetto rigido del principio della capital key (gli acquisti della Banca centrale europea avvengono in proporzione alla quota di partecipazione al suo capitale da parte delle banche nazionali).
Sempre il 18 marzo dello stesso anno i leader di Francia (Emmanuel Macron) e Germania (Angela Merkel) rilasciano una dichiarazione comune per chiedere l’attivazione di un fondo da 500 miliardi destinato a ...