Ragione e persona nella persuasione
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Ragione e persona nella persuasione

Testi su dialogo e argomentazione

  1. 153 pagine
  2. Italian
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Ragione e persona nella persuasione

Testi su dialogo e argomentazione

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La dimostrazione e il ragionamento formale possono avere validità in sé, senza riferimento a un destinatario. L'efficacia della persuasione non può invece essere studiata nella sua completezza senza sapere cosa rappresenti il parlante per l'interlocutore, senza tener conto delle circostanze in cui l'argomentazione si svolge. La verità è debole almeno in due aspetti molto evidenti: a) è possibile possedere la verità senza poterlo dimostrare (quante volte abbiamo vissuto l'esperienza di avere ragione senza che gli altri lo abbiano riconosciuto?); b) con la verità (con proposizioni vere) si può ingannare, corrompere, diseducare: la disinformazione più efficace è di solito quella che non dice altro che verità. Si dice che alla fine la verità vinca sempre: sono convinto che sia così, e Aristotele assicura che «la verità e la giustizia sono per natura più forti dei loro contrari». Tuttavia, se non vogliamo aspettare fino al giudizio universale, dobbiamo dotare la verità di maggior vigore. I due aspetti della sua debolezza ci riportano alla nozione aristotelica di retorica, «la facoltà di scoprire il possibile mezzo di persuasione riguardo a ciascun soggetto», che a me piace ridefinire "l'arte di far sì che la verità sembri vera". Non è poco! Che cosa non darebbe un genitore per essere in grado di presentare ai figli le cose in modo tale che essi le vedano nella maniera adeguata? Che cosa non darebbe un maestro? Che cosa non darebbe uno che si accinge a dichiarare il suo amore?Rafael Jiménez Cataño è Professore Ordinario della Facoltà di Comunicazione Istituzionale della Pontificia Università della Santa Croce, a Roma. Fra i suoi libri, La debilidad del poder creador (2006, sulla creazione artistica) e Lo desconocido es entrañable.Arte y vida en Octavio Paz (2008). La sua ricerca nell'ambito tematico di questo volume si riflette nell'insegnamento (soprattutto nei corsi di Retorica e di Logica) e nei convegni sul dialogo e l'argomentazione, in particolare quelli organizzati da Ergo, Associazione di Pratica e Teoria dell'Argomentazione, dall'International Association for Dialogue Analysis e dall'International Association for the Study of the Controversies, associazioni di cui è membro. Legata a questi soggetti è anche la sua regolare collaborazione con riviste come Ixtus (Messico), per la quale cura la rubrica "La bendición de Babel".Fra i testi presentati ai convegni, non inclusi in questa raccolta, possiamo segnalare: "Negotiating meanings: the appeal to dictionaries" (Tel Aviv, 1999), "Separating vs. uniting distance in Chicano speech" (Göteborg, 2001, in collaborazione con I. García Martínez), "Monologue and dialogue in politeness choices" (Salzburg, 2003), "Historia e identidad en Octavio Paz: la libertad ante las libertades" (Viseu, 2005), "Dialogo dei saperi" (Palermo, 2006), "What does sentimentalism mean? Emotive meaning in some elliptic and a fortiori argumentations" (Milano, 2008), "Buona e cattiva retorica nel dibattito sulla vita e la morte in Italia" (Roma, 2010), "Risorse per gestire stereotipi e fenomeni simili" (Padova, 2010), "Literary Text's Freedom and ist Encounter with the Reader" (Turku, 2012).

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Informazioni

Editore
EDUSC
Anno
2020
ISBN
9788883338663

II. Cortesia, perché la nostra immagine non è soltanto immagine*



Per la sua stessa essenza, la cortesia è legata all’incontro e all’accoglienza, è uno strumento di cui ci serviamo, in modo più o meno riflesso, per avvicinarci gli uni agli altri. Allo stesso tempo, poche realtà umane sono così perentorie come è talvolta la cortesia nel ricordarci che ci sono differenze tra gli uomini. Qualcuno potrebbe pensare che un episodio di mancata comunicazione dovrebbe portare soltanto a ricordare che esistono tante lingue. Ma non è così. Non soltanto, infatti, ricordiamo questo fatto, ma ci sentiamo come posti nuovamente di fronte a un mistero. E quando non si tratta del fenomeno generale del linguaggio, ma di quello più specifico della cortesia, emergono altre due sfumature che sembrano muoversi in senso contrario. Da un lato si accentua la varietà degli ambiti in cui il contatto interpersonale ha luogo, perché, a parte i registri del linguaggio (selezione delle parole, stile, ecc.), vi è l’immenso campo del non verbale: lo sguardo, il tono della voce nelle sue mille sfumature, la posizione del corpo, una molteplicità di gesti possibili, ecc. Dall’altro, il carattere vitale e concreto della cortesia fa sì che questa sovrabbondanza di risorse conservi a volte una notevole unità e sia gestita in un modo fondamentalmente intuitivo e spontaneo.
Quando si vive un errore di cortesia, il trauma è spesso profondo, ma nel concreto la cortesia dà ordinariamente più soddisfazioni: è nell’ambito dell’astratto che sopravvivere al contatto umano ci sembra un miracolo. In altre parole, da una lista di costumi e prescrizioni di altri popoli si potrebbe concludere che è molto difficile, se non impossibile, comunicare tra noi. Dall’esperienza concreta della nostra comunicazione, forse persino alle prese con gli stessi costumi e prescrizioni, la conclusione sarà, semmai, che è molto difficile spiegare come mai ci riusciamo.

1. Attualità della cortesia


Tra gli studi sulla cortesia in ambito linguistico ce n’è uno che è diventato un classico: Politeness. Some universals in language Usage, di Penelope Brown e Stephen C. Levinson1. Il titolo è significativo proprio perché suggerisce una prova dell’universalità dell’uomo là dove meno ce la saremmo aspettata. L’analisi tiene conto saltuariamente di numerose lingue e culture e si basa invece regolarmente su tre lingue che non appartengono alla stessa famiglia: l’inglese (lingua indoeuropea), il tamil (lingua dravidica, del sud dell’India), e il tzeltal (del Chiapas, in Messico, appartenente alla famiglia maya). Progressivamente il lettore va concludendo che l’immensa varietà di sensibilità sociali costituisce una molteplicità di mezzi per ottenere sostanzialmente lo stesso scopo.
Essendo un classico, per i linguisti il libro di Brown e Levinson non rappresenta certo una novità, ma, poiché io qui non mi rivolgo ai linguisti, mi permetterò di esporre con parole semplici i profili della cortesia presentati dal libro.
Nel definire la cortesia, i vocabolari sono soliti ricorrere alle nozioni di affabilità, gentilezza, rispetto, garbatezza2. Non bisogna però farsi sfuggire la cosa più importante: si tratta sempre di relazioni tra persone, si tratta di affabilità, di gentilezza, di rispetto o di garbatezza che una persona ha verso un’altra, che una persona mostra a un’altra. Ciò avviene «nei rapporti con il prossimo», dice esplicitamente il dizionario Devoto-Oli. Tra i diversi rami della linguistica vi sono la semantica, la sintassi e la pragmatica: la cortesia è una branca di quest’ultima. La semantica si occupa del significato dei segni. Penso sia più o meno familiare a tutti noi parlare di una “questione semantica” quando si tratta per l’appunto di capire che cosa vuol dire un’espressione. La sintassi studia le relazioni dei segni tra loro. Non è difficile accorgersi del necessario nesso tra semantica e sintassi, perché un segno può cambiare significato quando cambia un segno che lo accompagna. Ad esempio, ho parlato prima di “lingue” senza preoccuparmi di chiarire che non mi riferisco all’organo della bocca perché il contesto è sufficiente a farlo capire. La pragmatica, infine, ha come oggetto la relazione tra i segni e coloro che li usano. Accade spesso che, nell’udire una parola pronunciata da una persona, oltre all’informazione semantica propria della parola (il suo significato), riceviamo anche una informazione di carattere pragmatico, relativa, cioè, alla persona che la pronuncia: se è o meno educata, se è o meno contenta, se desidera avvicinarsi a noi o vuole mantenere le distanze, ecc. Si tratta di questioni pragmatiche.
Gli studi di pragmatica sono molto in auge. A me questo interesse sembra affascinante per l’attenzione che implica nei confronti della persona. Diversi anni fa, a un congresso sul dialogo tenutosi a Bologna, ascoltai la relazione del linguista inglese John Sinclair3 (dell’Università di Birmingham), intitolata È possibile intavolare una conversazione con un computer?4 La risposta che lo studioso dava a questa domanda era negativa; tra i motivi da lui addotti fui colpito soprattutto dagli ultimi due, che costituivano una specie di riassunto dei precedenti: lack of person e lack of agenda. L’assenza della persona è il motivo fondamentale. Quali criteri seguiamo, però, per concludere che non ci sia persona? Qui entra in gioco l’ultimo criterio: l’assenza di iniziativa. Un programma software può essere molto complesso e riservarci quindi delle sorprese. Una persona, perfino una che non definiremmo complessa, ce ne riserva...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione
  2. I. La mia verità, la tua verità
  3. II. I margini del dialogo
  4. III. In difesa del microfondamentalismo
  5. IV. Il personale dell’interpersonale
  6. V. Il valore critico della fiducia
  7. VI. E perché dovrei dialogare, se tutto è così chiaro?
  8. VII. Babele e la retorica della redenzione
  9. I. Cortesia o l’arte di tradurre
  10. II. Cortesia, perché la nostra immagine non è soltanto immagine
  11. III. Una topica fra ethos e logos: la valutazione della capacità di capire come mezzo di argomentazione
  12. IV. Wishful thinking e argomentazione per metonimia
  13. V. Il ruolo della buona volontà nella comunicazione conflittuale
  14. VI. Il valore unitivo della distanza nel dialogo
  15. VII. Il comportamento dialettico dello stereotipo