Capitolo IV
TECNICHE PRINCIPALI
NELL’ELABORAZIONE DEL DISCORSO
La buona predicazione non cresce spontaneamente come frutto magico di ispirazione poetica, ma è, come sappiamo, il risultato di un lavoro di riflessione. Questo si traduce in un testo ben strutturato, che possa essere seguito facilmente e che attivi le idee e i sentimenti del destinatario. L’ascoltatore viene molto aiutato se può inquadrare in ogni momento il punto in cui si trova con il tema centrale dichiarato dal predicatore.
Per questo motivo, distinguiamo come tecniche principali per l’elaborazione di un discorso:
A) ciò che accade all’interno del relatore, cioè la sua riflessione;
B) ciò che ne risulta all’esterno, cioè la strutturazione stessa;
C) la comunicazione verbale;
D) la comunicazione non verbale.
Ciò che avviene nella prima fase (A) è di grande importanza per la seconda (B), poiché servirà come linea guida per una buona struttura del discorso. Sulla base di un buon lavoro in A e B, la presentazione in quanto tale (C e D) è molto più facile da gestire e diventa più efficace.
Per una spiegazione più dettagliata di queste tecniche, faremo riferimento ancora al testo di Alberto Gil L’arte di convincere, capitolo 5.2, riproponendo o adattando le idee più utili per la predicazione in generale. Nei capitoli 5 e 6 vedremo in dettaglio le caratteristiche speciali delle varie tipologie di discorso sacro.
1. Fase di riflessione
I temi di predicazione di solito hanno un certo grado di astrazione e sono abbastanza ampi: la grazia, la misericordia, l’amore per il prossimo, la santificazione personale e così via. Pertanto, la prima fase per un buon discorso è quella della riflessione. Non si tratta di cominciare a leggere tante cose, che alla fine saranno solo fonte di confusione e nervosismo. Si tratta di pensare attentamente alla questione centrale intorno a cui far ruotare quel particolare discorso.
Sottolineiamo che ogni meditazione o omelia è necessariamente una riduzione: non è possibile né auspicabile esaurire l’argomento. La riduzione, o meglio, la focalizzazione su una questione precisa, viene determinata dalle caratteristiche degli ascoltatori: i loro bisogni e condizioni di vita, la loro età e formazione… Questa è un’applicazione pratica di ciò che abbiamo visto nel capitolo sul pathos: parliamo sempre per qualcuno; quindi, tentiamo di metterci nella sua situazione e andiamo in cerca di quell’accento speciale che riesca a commuoverne l’anima. Chiamiamo questa fase intellectio.
Vi possiamo distinguere due momenti:
a) considerare il tema da vicino, analizzandone le componenti (spectare).
b) meravigliarsi di qualche aspetto particolare, che possa interessare gli ascoltatori (mirari).
Se la tecnica dello spectare è ben applicata, prima o poi ci si imbatte con meraviglia in qualcosa su cui varrà la pena di centrare il discorso: mirari. Questo stupore è il nocciolo del nostro discorso. Facciamo un esempio, indicando solo alcune tra le molte possibilità.
Il tema che ci proponiamo di svolgere (o di cui ci viene chiesto di parlare) è la misericordia:
Spectare: riflettendo sul tema ci rendiamo conto delle diverse prospettive:
- la misericordia di Dio verso di noi;
- la misericordia reciproca tra di noi:
- e così via.
Possiamo formulare varie domande:
- Non è più giusto punire in certi casi? Si tratta di fare giustizia…
- O forse Dio è giusto nei confronti della nostra debolezza, quando ci perdona?
- Gli altri meritano davvero il perdono?
- E se l’altro non si lascia nemmeno amare?
- E così via.
Forse riusciamo già a intravedere una domanda centrale che coinvolge i nostri ascoltatori, per esempio: “Se io sono generoso e perdono… gli altri la prendono come la cosa più naturale del mondo e se ne approfittano…”.
Mirari: Osservando da vicino questo fenomeno, che pesa su molti di coloro che ci ascolteranno, ci meravigliamo di una nuova logica, la logica divina, che non contraddice, ma supera il modo umano di vedere il mondo: la logica del perdono e della misericordia. Eccoci giunti ad una buona intellectio: conoscere e abbracciare una nuova logica, la logica divina, che apre prospettive insospettate nella nostra vita.
È possibile allenare l’intellectio? Sì, coltivando la contemplazione, e non solo nella preghiera personale, ma anche cercando momenti di quiete e solitudine (che saranno di grande attività intellettuale) nella giornata così piena di appuntamenti e cose da fare. Ci si può chiedere: riesco a trascorrere una serata senza internet, senza televisione, magari solo con un buon libro, riflettendo su quello che leggo? Vado in campagna, nella natura, e osservo, magari con occhi nuovi, il paesaggio? Posso anche osservare attentamente, magari prendendone nota, certi particolari che catturano la mia attenzione quando guardo un’opera d’arte o ascolto una sonata. Un esercizio più diretto è quello di formulare risolutamente queste domande sui temi classici della predicazione, anche se al momento non devo predicare su di essi. In questa linea, per esempio, può servire chiedersi cosa potremmo dire su ciascuno dei formulari “comuni” della Messa: cosa significa per me il martirio, o la verginità, o perché celebriamo la vita di un santo pastore, o quale influenza hanno gli angeli sulla nostra vita, e così via.
Potremmo quindi parlare di una preparazione prossima e di una preparazione remota di un discorso. Quest’ultima si realizza quando leggo trattati o articoli di teologia o di vita ascetica per aggiornarmi, o quando leggo libri di carattere letterario per migliorare la mia espressività.
Negli incontri con amici sacerdoti, possiamo discutere e scambiare opinioni sulle possibili domande da proporre, secondo l’uditorio e le necessità, sui diversi temi di predicazione. Un’attività così può unire e favorire l’amicizia e la fraternità sacerdotali. Naturalmente, questa capacità di osservazione si moltiplicherà da una parte quando l’oratore conosce molto bene l’argomento, dall’altra, quando ha testa e cuore nei bisogni e nella vita dei suoi parrocchiani, perché sarà più facile per lui trovare domande che altri non riescono nemmeno a pensare. L’intellectio è un buon incentivo a rinnovare costantemente il materiale di predicazione, a non riciclare sempre lo stesso, superando così o evitando proprio la crisi del “maledetto quinto anno”, in cui ci si accorge di non dire mai niente di nuovo.
Un esercizio interessante è quello di chiederci come programmare le nostre omelie. Per esempio, cosa vogliamo fare nelle prossime 5 domeniche di Quaresima, o quali sono i temi importanti del programma pastorale della diocesi e come potremmo collegarli al prossimo mese di predicazione in parrocchia. Questa capacità di pensare a lungo termine può aiutarci a formare meglio il nostro popolo. Molti dei nostri fedeli fanno affidamento solo sull’omelia della Messa domenicale per migliorare la loro formazione cristiana; quindi, è utile pensare a quali punti della fede o della vita cristiana vogliamo sviluppare nelle settimane a venire. Inoltre, poiché le omelie possono essere strutturate non solo in base alle letture, ma anche a partire dalle preghiere del giorno o del rito ordinario della Messa, conviene cercare opportuni punti di coincidenza tra questi temi che vogliamo svolgere e la liturgia del giorno che si sta preparando.
Il secondo passo è quello di raccogliere informazioni solo su questo tema selezionato. Si definisce inventio, e il fatto di limitarsi a cercare i contenuti rilevanti per la intellectio offre il vantaggio di ridurre notevolmente il materiale da utilizzare, senza perdersi in letture infinite, che possono appesantire, dato che in linea teorica ci potrebbero essere sempre molti aspetti da trattare. La tecnica non è quella di leggere molto, ma di cercare le informazioni rilevanti in fonti conosciute.
Segnaliamo qui due fonti particolarmente utili: la prim...