Capitolo 5
La virtù teologale della carità
l. 4
«Dio è amore e chi rimane nell’amore, rimane in Dio e Dio in lui» (1Gv 4,16). Dio ha diffuso il suo amore nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo, che ci fu dato (cfr. Rm 5,5); perciò il dono primo e più necessario è la carità, con la quale amiamo Dio sopra ogni cosa e il prossimo per amore di lui. Ma perché la carità, come buon seme, cresca e nidifichi, ogni fedele deve ascoltare volentieri la parola di Dio e con l’aiuto della sua grazia compiere con le opere la sua volontà, partecipare frequentemente ai sacramenti, soprattutto all’eucaristia, e alle azioni liturgiche; applicarsi costantemente alla preghiera, all’abnegazione di se stesso, all’attivo servizio dei fratelli e all’esercizio di tutte le virtù.
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 42
5.1 Attualità della virtù teologale della carità
l. 7La speranza teologale ci ha portato a considerare il movimento pieno di fiducia della volontà umana verso il bene supremo, che è Dio. Il fatto che questo moto sia posto da Dio stesso nel cuore dell’uomo, implica che, in qualche senso, la volontà umana “tocchi con mano” l’amore che riceve e ad esso corrisponda con il suo amore vicendevole. Parimenti, quando si parlava della fede, è stato chiarito che non la si capisce se non come conoscenza preceduta ed informata dall’amore di Dio per noi. L’amore è quindi il centro della vita teologale, culmine a cui tendono le due prime virtù.
Sorprende e dispiace, perciò, che il termine “carità”, con cui si definisce la terza virtù teologale, sia tanto logorato da un uso comune che riduce il suo significato, praticamente, alla beneficenza verso i bisognosi. Proviene, invece, dall’aggettivo latino carus, da cui deriva caritas, indicante la cosa o persona oggetto di intenso affetto, per cui si è disposti a pagare un alto prezzo. Da questo significato originario bisogna muovere: trascinato dalla grazia, il cuore umano è reso capace di un vero amore di risposta, nel quale ama Dio con lo stesso amore con cui Dio ama sé stesso.
Che l’uomo è fatto per amare, e trova la sua felicità ultima nell’amore, è forse l’idea più condivisibile che possiede l’umanità: nonostante l’innegabile realtà della costante presenza dell’odio e del rancore nella storia degli uomini, chi non sente come proprio il grido di Antigone? L’uomo, diceva l’eroina tragica, è nato per amare, non per odiare. Tuttavia, paradossalmente, l’amore è molto probabilmente il concetto più ambiguo, l’idea su cui è più difficile trovare un accordo di significato ultimo: «Il termine “amore” è oggi diventato una delle parole più usate ed anche abusate, alla quale annettiamo accezioni del tutto differenti»1. In questa introduzione al capitolo partiremo dalla costatazione e dall’origine delle difficoltà recenti sull’amore (1.1), per passare poi ai motivi di ottimismo che fornisce l’attuale civiltà postmoderna (1.2).
5.1.1 La malattia del secolo
l. 14
«Per capire la rivelazione che Dio ha fatto a proposito dell’amore ch’egli nutre per l’uomo e a proposito della vocazione di questi a rispondergli con amore, occorre aver fatto l’esperienza di un amore interumano genuino, anche se soltanto naturale. Una determinata epoca crea in questo senso delle condizioni favorevoli o sfavorevoli, a seconda della posizione che essa assegna o nega all’amore interpersonale»2
l. 18Risulta abbastanza evidente la crisi dell’amore che si è venuta creando nella modernità. Nell’amore moderno sovente non si cerca tanto il dare, quanto il ricevere; l’amore non ha come termine la persona dell’altro, ma proprio il piacere che quella persona può produrci. Amiamo l’essere amati, e non l’essere che ci ama. Quest’oblio della persona, conseguenza della mentalità scientifistica, si traduce anche nel ridurre l’amore interpersonale ad uno scambio di operazioni affettive per le quali l’alterità personale è per ora necessaria ma non imprescindibile, dal momento che lo sviluppo tecnico potrebbe fornire dei validi sostitutivi. Essendo ristretta la considerazione della persona stessa alla dimensione funzionale, l’altro è visto solo in base al beneficio proprio, ed in questo senso sostituibile dal momento in cui altre realtà possano fornire maggiori benefici.
In definitiva, la modernità, che ha chiuso la ragione e la ricerca della verità nella ragione scientifica, ha anche ristretto l’amore a ciò che di piacevole ed appagante il singolo può ricevere dall’esterno. Riferita a questi due aspetti, verità e amore, si capisce la tendenza ad arginare nell’appetito sessuale la chiave ultima dell’amore è fortemente presente nella cultura scientista, sia a livello teorico, come afferma l’opera di Sigmund Freud, sia a livello pratico, come testimonia la cosiddetta “rivoluzione sessuale”, fondata non tanto sugli sviluppi culturali e filosofici di Kinsey, Reich, Marcuse ed altri, quanto sulla disponibilità, attraverso l’anticoncezione ormonale, di una vera capacità tecnica in grado di permetterla.
Davvero l’amore sembra essere la malattia del secolo. Forse la Lettera alle famiglie di Giovanni Paolo II contiene, insieme al richiamo a costruire una civiltà dell’amore, una delle più profonde denunce della condizione egotistica della civiltà moderna.
«Chi può negare che la nostra sia un’epoca di grande crisi, che si esprime anzitutto come profonda “crisi della verità”? Crisi di verità significa, in primo luogo, crisi di concetti. I termini “amore”, “libertà”, “dono sincero”, e perfino quelli di “persona”, “diritti della persona”, significano in realtà ciò che per loro natura contengono? (…) Lo sviluppo della civiltà contemporanea è legato ad un progresso scientifico-tecnologico che si attua in modo spesso unilaterale, presentando di conseguenza caratteristiche puramente positivistiche. Il positivismo, come si sa, ha come suoi frutti l’agnosticismo in campo teorico e l’utilitarismo in campo pratico ed etico. Ai nostri tempi la storia in un certo senso si ripete. L’utilitarismo è una civiltà del prodotto e del godimento, una civiltà delle “cose” e non delle “persone”; una civiltà in cui le persone si usano come si usano le cose. Nel contesto della civiltà del godimento, la donna può diventare per l’uomo un oggetto, i figli un ostacolo per i genitori, la famiglia un’istituzione ingombrante per la libertà dei membri che la compongono. Per convincersene, basta esaminare certi programmi di educazione sessuale, introdotti nelle scuole, spesso nonostante il parere contrario e le stesse proteste di molti genitori; oppure le tendenze abortiste, che cercano invano di nascondersi dietro il cosiddetto “diritto di scelta” (“pro choice”) da parte di ambedue i coniugi, e particolarmente da parte della donna. Sono soltanto due esempi tra i molti che si potrebbero ricordare»3.
l. 28 Quando ciò che si ama è l’amore ricevuto in termini di godimento personale, e non la persona da cui si riceve, facilmente questa verrà giudicata deludente o non appagante, e la tentazione della sua sostituzione attraverso la tecnica si farà premente. Questo potrebbe spiegare il massiccio incremento della ricerca di soddisfazione affettiva solipsistica, attraverso il ricorso alle immagini pornografiche, o all’industria del sesso, in prima linea al momento di ricorrere a ogni attuale sviluppo tecnologico, come risulta, per esempio, dalla presenza ogni volta più consistente della robotica umanoide in questo campo.
5.1.2 Il modello relazionale postmoderno
l. 31La grossa limitazione dell’idea di amore interpersonale causata dalla modernità non è sparita nella tardo-modernità, cioè, nel tentativo di uscire dalla crisi moderna, spingendo ancora di più il ricorso alla tecno-scienza come risorsa.
«Che ci siano segni di difficoltà, e anche di declino della modernità, è evidente. Alcuni, tuttavia, li interpretano come cambiamenti transitori, non necessariamente come segni di degrado. Anzi, così si dice, questa è la modernità: una continua innovazione e trasformazione, che bisogna accettare per quello che è. Pochi si azzardano a mettere in causa la modernità, come se questa fosse diventata una sorta di DNA culturale dell’umanità. Siamo destinati, allora, ad essere moderni per sempre?»4
l. 37 In questa linea si possono includere alcuni movimenti come il trans-umanesimo, tra le cui anticipazioni si può citare la teoria del cyborg manifesto di Dana Haraway. L’oblio della persona, di cui si parlava nel paragrafo precedente, viene accentuato, tanto da dissolvere lo stesso concetto in un predicato attribuibile univocamente non solo agli animali non umani, ma anche alle macchine dotate di intelligenza artificiale.
Tuttavia, insieme a questo perdurare del moderno, è presente anche una forte spinta al cambiamento, una consapevolezza diffusa del bisogno radical...