Inviati per servire
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Il sacramento dell'ordine

  1. 241 pagine
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Il sacramento dell'ordine

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Nel vangelo di Giovanni, Gesù parla di se stesso in primis come «l'inviato del Padre», ed è in questa veste che Egli, rivolgendosi al Padre, affida agli apostoli la loro missione, la quale continuerà poi nei vescovi, loro successori, coadiuvati dai presbiteri: «Come tu hai mandato me nel mondo, anche io ho mandato loro nel mondo» (Gv 17, 18). L'inviato svolge la sua funzione non come qualcosa di proprio, ma come ricevuta, e solo nella fedeltà al mandato ricevuto troverà efficacia reale il suo ministero. Si tratta, infatti, di un dono concesso non a beneficio proprio, ma degli altri, e perciò la dimensione di servizio segna in modo essenziale la funzione sacerdotale. Più che svolgere il suo ruolo "con spirito di servizio", il sacerdote deve "realizzare un servizio". L'invio e il servizio si trovano dunque non solo fra loro intrinsecamente collegati, ma affondano le loro radici nel sacramento ricevuto. Consacrazione, ministero e spiritualità s'intrecciano così saldamente, da non poter essere né pensati né vissuti separatamente.Philip Goyret (Raleigh, N.C. - USA, 1956) è professore ordinario di ecclesiologia presso la Facoltà di Teologia della Pontificia Università della Santa Croce (Roma) e, dal 2016, Decano della medesima. È anche Rettore della Chiesa di san Girolamo della Carità a Roma e membro della Società Italiana di Ricerca Teologica. Fra le sue pubblicazioni si annoverano: Chiamati, consacrati, inviati (Città del Vaticano 2001); L'unzione nello Spirito (Città del Vaticano 2004); Dalla Pasqua alla Parusia (Roma 2007); Chiesa e comunione. Introduzione alla teologia ecumenica (Verona 2012); Dono e compito. La Chiesa nel simbolo della fede (Roma 2012, curatore); Diccionario de Eclesiología (Madrid 2016, curatore); Llamados a la unidad (Madrid 2019), Sacerdozio, ministero e vita Itinerario biblico-dogmatico-spirituale (Roma 2019, in collaborazione).Giovanni Zaccaria (Roma, 1979) svolge il suo lavoro di ricerca e di insegnamento presso la Pontificia Università della Santa Croce, in qualità di professore associato di Teologia dei sacramenti. Il suo principale ambito di ricerca è la teologia dei riti dell'iniziazione cristiana. Tra le sue pubblicazioni, Liturgia. Un'introduzione (Roma 2016, in collaborazione), Immitte Spiritum Paraclitum. Teologia liturgica della confermazione (Città del Vaticano 2019).

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Informazioni

Editore
EDUSC
Anno
2020
ISBN
9788883339240

Capitolo 1
Il sacerdozio di Cristo

l. 141
Punto di partenza obbligato per lo studio che ci apprestiamo a iniziare è il sacerdozio di Cristo. Non può essere diversamente dato che, come afferma la Lettera agli Ebrei «Gesù (…) possiede un sacerdozio che non tramonta (…): egli infatti è sempre vivo per intercedere a loro favore. Questo era il sommo sacerdote che ci occorreva: santo, innocente, senza macchia, separato dai peccatori ed elevato sopra i cieli» (Eb 7,24-26). Il suo sacerdozio è il fondamento imprescindibile al quale ogni altro sacerdozio deve fare riferimento. In questo senso la costituzione dogmatica del Concilio Vaticano II Lumen Gentium è molto lineare, facendo derivare da Lui il sacerdozio episcopale e presbiterale: «Cristo, consacrato e mandato nel mondo dal Padre (cf Gv 10,36), per mezzo dei suoi apostoli ha reso partecipi della sua consacrazione e della sua missione i loro successori, cioè i vescovi, i quali hanno legittimamente affidato, secondo diversi gradi, l’ufficio del loro ministero a vari soggetti nella Chiesa (…). I presbiteri (…), in virtù del sacramento dell’ordine, a immagine di Cristo, sommo ed eterno sacerdote (cf Eb 5,1-10; 7,24; 9,11-28), sono consacrati per predicare il vangelo, pascere i fedeli e celebrare il culto divino, quali veri sacerdoti del nuovo testamento» (LG 28/1).
La prospettiva deve però essere completata da uno sguardo previo al sacerdozio dell’Antica Alleanza e al profetismo messianico, ai quali si dedicano le prime pagine di questa sezione. Si entrerà poi nel vivo dell’argomento affrontando lo studio relativo alla natura del sacerdozio di Cristo – avendo come punto di riferimento la Lettera agli Ebrei –, per passare infine alle categorie di consacrazione e missione, il binomio privilegiato dal Concilio Vaticano II come asse portante per l’intelligenza del sacerdozio.

1.1 La rivelazione veterotestamentaria

l. 147
Nelle culture antiche è sempre rintracciabile almeno un riferimento ad una certa divinità e non di rado possiamo trovare in esse un sacerdozio istituzionalizzato, con persone dedicate alle attività cultuali. Tuttavia solo presso gli ebrei vi fu un sacerdozio voluto esplicitamente da Yahvè, Dio degli ebrei e dei cristiani, lo stesso Dio che volle, poi, il sacerdozio in Cristo per la sua Chiesa. Si tratta dunque di una realtà radicale che merita tutta la nostra attenzione.

1.1.1 L’unità della storia della salvezza

l. 150
La preghiera consacratoria per l’ordinazione dei vescovi riportata dalla Tradizione Apostolica (n. 3) si rivolge a Dio «che fin dal principio hai predestinato la razza dei giusti discendenti da Abramo e hai istituito capi e sacerdoti e provveduto a che il tuo culto non mancasse mai di ministri»;1 è questo un richiamo esplicito al sacerdozio dell’Antica Alleanza che trova conferma anche nella preghiera consacratoria dei presbiteri riportata dalla stessa Tradizione Apostolica (n. 7), quando ricorda a Dio «come volgesti lo sguardo sul popolo da Te eletto e ordinasti a Mosè di scegliere dei sacerdoti che riempisti dello stesso spirito che avevi donato al tuo servo».2 Questo allacciamento fra il ministero ordinato e il sacerdozio levitico, ripreso dall’attuale liturgia,3 sembrerebbe non essere in sintonia con il tono generale del Nuovo Testamento in cui non troviamo la terminologia sacerdotale veterotestamentaria applicata ai ministri cristiani ed in cui, anzi, i capi d’Israele vengono spesso rimproverati. Nei Vangeli la figura di Gesù appare mantenersi a distanza dai sacerdoti ebrei, distanza diventata poi confronto aperto fino al dramma finale del Golgota. Certamente Cristo non fu sacerdote al modo degli israeliti4 e nemmeno aveva un’ascendenza sacerdotale;5 la Lettera agli Ebrei mette continuamente in risalto tale distinzione e parla addirittura dell’abolizione del sacerdozio levitico (Eb 7,18).
E tuttavia Cristo ripete più di una volta che la sua missione non cancella la legge di Mosè, ma ne è il compimento.6 Si riferisce alla sua missione con connotazioni sacrificali (Mt 16,21; 17,22-23; 20,18-19; Gv 10,15), anche in un contesto di alleanza (Lc 22,20). Mostra riverenza verso il tempio di Gerusalemme (Lc 2,22; 2,46) ed esorta ad adempiere alla legge mosaica, anche in riferimento ai sacerdoti (Lc 5,14; 17,14). I rimproveri di Gesù ai capi di Israele si riferiscono soprattutto ai farisei e agli scribi più che agli stessi sacerdoti; quest’ultimi non vengono mai rimproverati per essere tali, ma per il loro atteggiamento ostile riguardo al suo messaggio. Un punto di forza della predicazione apostolica presso gli ebrei fu il fatto che in Cristo si era compiuta (At 3,22) la promessa fatta a Mosè sul profeta che sarebbe venuto (Dt 18,15). Gli scritti paolini, che tanto frequentemente presentano a confronto l’antica e la nuova legge (Rm 7,4-6; Gal 3,10; 2 Cor 3,6), non tralasciano di ricordare la fedeltà di Dio alle sue promesse (Rm 11,29).
Tale contesto generale, dunque, consiglia una certa prudenza al fine di non svincolare troppo il sacerdozio neotestamentario dal sacerdozio dell’Antica Alleanza. Il loro rapporto non è certamente quello di una continuazione dell’uno nell’altro, come se quello nuovo fosse lo sviluppo dell’antico; meno ancora si può parlare di convivenza dei due sacerdozi, come se fossero contemporaneamente validi; tuttavia non sembra coerente pensare al sacerdozio levitico come se fosse solamente una prefigurazione di quello cristiano, senza alcun valore a se stante e senza elementi di continuità nel sacerdozio nuovo. «È da respingere una concezione che, riguardo al culto e al sacerdozio, suppone un taglio netto con la storia della salvezza precristiana, negando dunque ogni rapporto tra il sacerdozio dell’Antico e quello del Nuovo Testamento. In tal caso il Nuovo Testamento non sarebbe in adempimento, ma in contrasto coll’Antica Alleanza; sarebbe distrutta l’unità interiore della storia della salvezza». Si deve invece affermare che «il sacerdozio della Chiesa è continuazione e ripresa del sacerdozio dell’Antico Testamento, che trova il suo vero adempimento proprio in quella novità radicale e trasformante».7
Dobbiamo pertanto necessariamente rivolgere un primo sguardo al sacerdozio aronnico, in modo da poter poi comprendere la novità del sacerdozio di Cristo, inquadrandola nell’insieme dell’unità della storia della salvezza.

1.1.2 Il sacerdozio nell’Antico Testamento

l. 160
Gli sc...

Indice dei contenuti

  1. Indice
  2. Abbreviazioni
  3. Introduzione
  4. Capitolo 1 Il sacerdozio di Cristo
  5. Capitolo 2 Il collegio apostolico
  6. Capitolo 3 La successione apostolica
  7. Capitolo 4 La trasmissione del sacerdozio di Cristo
  8. Capitolo 5 Teologia liturgica del sacramento dell’ordine
  9. Capitolo 6 Natura del sacerdozio ministeriale
  10. Capitolo 7 I gradi dell’ordine
  11. Capitolo 8 Effetti dell’ordine
  12. Capitolo 9 Il soggetto dell’ordine
  13. Bibliografia
  14. Volumi pubblicati nella collana