Pier Paolo Pasolini
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Quaderni di Visioni Corte Film Festival

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“Poiché il cinema non è solo un’esperienza linguistica, ma, proprio in quanto ricerca linguistica, è un’esperienza filosofica.” Quando Pier Paolo Pasolini gira la sua opera prima, Accattone, ha appena 39 anni e alle spalle già un’intensa attività letteraria di una ventina d’anni e oltre dieci di frequentazione dell’ambiente cinematografico romano.Molta critica giudicherà erroneamente il passaggio al cinema come un proseguimento della sua attività letteraria in quanto sia Accattone che Mamma Roma, descrivono quel sottoproletariato tanto caro al poeta. Ma non è propriamente così. Pasolini si avvicina al cinema dapprima come spettatore fin da giovanissimo, avendone sempre una certa passione, in seguito quando approda nella Capitale farà esperienza di comparsa a Cinecittà e come recensore per riviste, per poi passare a scrivere soggetti e sceneggiature. Questo volume, realizzato in occasione del centenario della nascita, vuole essere un omaggio a questo grande regista, cantore di un personalissimo “cinema di poesia”, il cui messaggio è ancora oggi attuale. Hanno partecipato alla redazione dei vari saggi Gianmarco Cilento, Gordiano Lupi, Francesco Saverio Marzaduri, Davide Persico, Roberta Verde.

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Informazioni

Anno
2022
ISBN
9788833469621
Argomento
Arte
Categoria
Fotografia
Gianmarco Cilento
Totò e Pasolini
«L’incontro tra il più grande regista e scrittore italiano del dopoguerra e il comico più popolare cioè Totò è una di quelle cose che destano meraviglia più per il fatto che siano avvenute e non per il risultato raggiunto»1. Così commenta Mario Sesti la collaborazione tra Antonio De Curtis e Pier Paolo Pasolini. A sentire queste parole si evince quanto la “meraviglia” sia stata quella per il comico napoletano di poter essere finalmente diretto da uno dei maggiori autori del grande cinema italiano del Novecento. La sua vasta filmografia di 97 film include ben tre film per la regia di Pasolini, ovvero un lungometraggio e due episodi all’interno di film collettivi.
Quasi tutte le altre pellicole che compongono il suo vasto corpus cinematografico sono state infatti dirette da competenti professionisti dell’industria cinematografia italiana: Steno, Carlo Ludovico Bragaglia, Mario Monicelli, Luigi Zampa, per citarne alcuni. Negli ultimi anni arrivano Alberto Lattuada, Dino Risi, Pier Paolo Pasolini e cominciano a fioccare le proposte di altri registi di grande levatura artistica, almeno dal punto di vista della critica ufficiale. Famosa, per esempio, quella di Federico Fellini, destinata a non realizzarsi in parte a causa dell’improvvisa scomparsa dell’attore nel 1967 ancora in piena attività professionale e in parte per via di alcuni ripensamenti o tentennamenti dei registi stessi2.
La collaborazione tra Pasolini e Totò è invece realtà assoluta. Ed è lo stesso regista a spiegarla: «Io ho scelto Totò per la sua natura, diciamo così doppia. Da una parte c’è il sottoproletariato napoletano e dall’altra c’è il puro e semplice clown, il burattino snodato, l’uomo dei lazzi e degli sberleffi. Queste due caratteristiche insieme mi servivano a formare il mio personaggio. Ed è per questo che l’ho usato»3.
Si può collocare dalla fine delle riprese de Il Vangelo secondo Matteo l’inizio dell’interesse che Pasolini inizia a nutrire per Totò. Il 1964 è un anno cruciale per entrambi: Totò si è cimentato in un ruolo decisamente diverso rispetto alla media della sua prolifica produzione annuale, quello del generale Cavalli ne Il comandante (1963) diretto da Paolo Heusch, acclamato tra gli altri anche da Alberto Moravia, nonostante la pellicola non si riveli un grande successo al botteghino; Pasolini, invece, intasca la sua prima vera grande rivalsa nei confronti della critica nazionale, dal momento che Il Vangelo secondo Matteo viene accolto calorosamente dalle testate giornalistiche di ogni sponda politica, da L’osservatore romano a L’Unità, dal Corriere della Sera a La notte. E il buon successo di pubblico tranquillizza gli umori dei produttori dopo i fiaschi dei precedenti film come La rabbia (1963), episodio di un film in due parti, del quale l’altro segmento viene girato dal romanziere Giovannino Guareschi, l’autore dei Don Camillo.
Il Principe e il Poeta. Nascita di un’amicizia
Nell’autunno 1964 Pasolini inizia a scrivere un soggetto pensato per Totò. A quel mese è infatti da collocare la stesura di un soggettino dal titolo La (Ri)cotta che il regista pubblica su l’Unità il 6 dicembre4. Si tratta di una sorta di invito, di lettera aperta al Principe De Curtis, che non stimola particolare dibattito e interesse nei confronti del pubblico, ma agli occhi di certi lettori suscita sicuramente una certa curiosità. La storia è una sorta di sequel de La ricotta, con tanto di nome di battesimo del comico, ovvero Principe De Curtis, per il protagonista.
È un racconto suddiviso in tredici piccoli paragrafi e illustrato con due disegni molto semplicistici. Narra di un potente capitalista e produttore cinematografico, appunto il Principe De Curtis, che sul Viale della Dolce Vita (citazione a quel film di Fellini a cui Pasolini ha collaborato alla sceneggiatura) incontra una bambina mendicante che tira a campare suonando il violino, come lo Charlot de L’eterno vagabondo (1916). È la figlioletta di Stracci, il borgataro morto sulla croce per indigestione di ricotta. Il Principe si muove a compassione cercando di regalare alla bambina un futuro migliore (come d’altronde Totò faceva realmente nella vita). La riporta a Roma dai suoi fratelli ma questi lo ricattano e De Curtis, chiamato anche Master Danarosa, comincia la sua caduta professionale in tutti i sensi. Paradossalmente va in rovina per una buona azione. I parenti lo interdicono a suon di calunnie e torte di ricotta in faccia (altra citazione al cinema di Chaplin e alle comiche «slapstick»). Ormai in miseria, il Principe è ancora alla ricerca della bambina. Ormai è diventata una diva del cinema e non ha più bisogno di lui, costretto ad adattarsi ad una vita sempre più miserabile. Imbattendosi in un cane, vorrebbe annunciargli le sue ultime volontà, ma non se la sente, sa di non avere più un’anima. Muore consapevole che della sua vita non è rimasto nulla. Per i poveri morire non cambia nulla, filosofia di vita che in un modo o nell’altro trova spesso riscontro nella poetica dello scrittore di Casarsa.
Probabilmente Totò non legge il soggetto al momento della sua pubblicazione, anche perché non è di sua abitudine comprare quel quotidiano così esplicitamente di matrice comunista e marxista. Ma la notizia gli arriva, ed è anche lo stesso Pasolini a perseverare. Agli inizi del 1965 sta di fatto che lo scrittore e regista rimane temporaneamente inattivo a livello cinematografico dopo tre anni di frenetica attività filmica segnata da tre lungometraggi a soggetto, un eccellente documentario sulla sessualità (Comizi d’amore) e due episodi in film collettivi.
Chiaro che in questi mesi stia dedicando tutte le sue energie alla gestazione del nuovo progetto da far interpretare a Totò. Tutte le sue emozionalità creative sono dettate da questo nuovo desiderio. Nel frattempo, il comico napoletano è impegnato con le ultime riprese e il doppiaggio di Totò d’Arabia di Jose Antonio de la Loma, e le riprese di Amore e morte episodio diretto da Mario Costa, inserito nel film collettivo Gli amanti latini. Film molto diversi dai progetti di Pasolini, opere canoniche e dalla realizzazione ovvia e approssimativa che rientrano, secondo lo scrittore friulano, nel calderone di «quei bruttissimi film» che il Principe De Curtis gira ormai a quantità industriale da quasi vent’anni. I due film citati sono, per quanto simili nelle tecniche e tempistiche di realizzazione, molto diversi tra loro: il primo è una frivola parodia di Lawrence d’Arabia (1962) di David Lean e del filone di James Bond, ed è uno degli ultimi film dove la recitazione del comico rientra nel cosiddetto «Totò-marionetta»; il secondo è una breve farsa a tinte nere, che fa già presagire quella sorta di humor grottesco che caratterizzerà il suo futuro lavoro con il regista friulano.
Per il film da far interpretare al comico, Pasolini stila tre soggetti differenti, molto complessi e articolati, ambientati in epoche e luoghi differenti, e La (Ri)cotta viene quindi accantonato. Tra gennaio e marzo 1965 prendono vita i seguenti pezzi, tutti intitolati in francese: L’aigle (L’aquila), Faucons et moineaux (Falchi e passeri) e Le corbeau (Il corvino). Le tre storie escono una dietro l’altra tra il 29 aprile e il 13 maggio sul settimanale fiorentino Vie nuove, guidato da Luigi Longo, esponente del Partito Comunista. Nonostante le già citate differenze d’ambientazione e di epoca, i tre soggetti sono uniti da due principali connessioni tematiche, di irrimediabile connotazione ideologica: la lotta di classe, la rivalità tra uomini e l’eterno contrasto tra sciacalli prepotenti e classe meno abbiente. È l’inizio della fase politica di Pasolini più pessimista e dubbiosa, che non fa che prendere atto di una situazione di crisi, di incertezza. In un contesto politico europeo segnato dalle tensioni della Guerra d’Algeria, dei contrasti tra Nato e Unione Sovietica, la riflessione sul destino del Terzo Mondo e delle culture contadine più arretrate dei paesi occidentali in via di industrializzazione capitalista è uno dei dilemmi più ricorrenti di Pasolini. E la fiaba, l’allegoria, nonché la metamorfosi allegorica sembrano una buona strategia per affrontarli.
L’aigle è la favola di un tirannico e presuntuoso domatore di circo che impone diktat assurdi ai suoi animali, in particolare ad un’aquila silenziosa, ma alla fine si immedesimerà con il volatile, arrivando a spiccare il volo. Faucons et moineaux racconta di due frati a cui San Francesco d’Assisi incarica di stabilire la pace tra due specie di uccelli: i falchi e i passeri, prepotenti i primi e umili i secondi. I tentativi saranno spesso vani, ma Francesco impone loro di ricominciare tutto da capo: la pace tra queste classi deve essere assolutamente raggiunta. Le corbeau ha come protagonisti un padre e un figlio adolescente in giro per le borgate romane intenti a sfrattare utenti morosi all’interno delle loro proprietà e che strada facendo si imbattono in uno strambo corvo parlante, dalla voce spocchiosa e dalla parlantina da scuole alte che, seguendoli, sciorina riflessioni esistenziali di taglio marxista. Stanchi delle sue chiacchiere, padre e figlio alla fine lo uccidono e se lo mangiano.
I tre soggetti, accomunati dagli uccelli come personaggi chiave, sono in realtà la struttura preliminare del futuro lungometraggio del regista friulano. A poche settimane dalla loro pubblicazione risale comunque il primo incontro vero e proprio tra Pasolini e il Principe De Curtis, al cui cospetto è presente il futuro attore feticcio del regista: l’appena diciassettenne Giovann...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione
  2. Biografia
  3. Roberta Verde
  4. Francesco Saverio Marzaduri
  5. Giuseppe Mallozzi
  6. Gordiano Lupi
  7. Gianmarco Cilento
  8. Gordiano Lupi
  9. Davide Persico
  10. Gordiano Lupi
  11. Gordiano Lupi
  12. Gordiano Lupi
  13. Filmografia
  14. Gli Autori