Il calice e la spada
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Il calice e la spada

Come riconoscere e gestire l'aggressività nella prima infanzia

  1. 80 pagine
  2. Italian
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Il calice e la spada

Come riconoscere e gestire l'aggressività nella prima infanzia

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Un bambino che tira i capelli ad un altro, perché quest'ultimo gli sta strappando dalle mani un giocattolo, è una situazione comune nelle famiglie e nei servizi educativi e non denota necessariamente che qualcosa in quel dato contesto non funzioni.Il confine tra aggressività "sana" e sfogo irruento e incontrollato delle emozioni è sottile.Se da un lato l'aggressività è quasi universalmente accettata dalle scienze psicopedagogiche come qualcosa di naturale, dall'altro rimangono ancora pensieri estremamente diversi sul come accostarsi ad essa.L'approccio di questo libro è maieutico e parte dalla consapevolezza, ormai acquisita, che intorno ai sei anni la struttura della personalità di ciascuno è sostanzialmente formata e che gli imprinting ricevuti influenzeranno il resto della vita.I primi anni di vita in famiglia, al nido, alla scuola dell'infanzia e nei contesti più vari, sono essenziali per imparare ad esprimere, riconoscere e gestire le emozioni e, con esse, l'aggressività.Questo vale per il bambino, ma anche per chi gli sta vicino con compiti educativi.Sono anni in cui si apprende come regolare l'aggressività, intesa come istinto, e in cui si lavora sulla dimensione adattiva dell'incontro con gli altri individui: i genitori e i familiari più prossimi, i bambini e le bambine, gli educatori e gli insegnanti, ma anche gli animali, l'ambiente e il sistema in generale.La differenza e la complementarietà dei codici del calice e della spada, che rimandano rispettivamente al materno e al paterno, accompagnano lo sviluppo del bambino; il modo in cui gli adulti mettono in relazione questi due codici, influenzerà i piccoli nella loro capacità di gestione e regolazione delle emozioni e degli istinti, non solo durante l'infanzia, ma anche negli anni a venire.

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Informazioni

Anno
2022
ISBN
9788861538825
Argomento
Education

Gravidanza: conflitto o violenza?

Onde evitare spiacevoli malintesi chiarisco subito che nell’usare i termini conflitto e violenza faccio più riferimento ad una dimensione simbolica che reale. Nella realtà consideriamo violenza la sopraffazione che tende ad eliminare concretamente l’altro come soggetto, mentre il conflitto fa riferimento ad un confronto che può diventare anche scontro, ma che rispetta sempre l’altra persona nella sua dignità e soggettività. Preferisco utilizzare questi termini perché mi permettono di evidenziare meglio le dinamiche che intendo descrivere, anche rischiando che il linguaggio possa risultare aspro in taluni passaggi. È una licenza di scrittura che mi prendo, proprio con l’intento di lavorare a favore di un approccio nonviolento all’aggressività. Sono cioè convinto che se siamo consapevoli che la natura può essere a volte violenta, potremo essere più pronti a entrare in relazione con essa senza lasciarci sopraffare, trasformando in conflitto vitale quello che a volte può apparire come un violento scontro mortale.
Credo che per la maggior parte delle persone il pensiero che rimanda alla gravidanza sia tendenzialmente pieno di poesia e romanticismo. È l’incontro di un bambino con la propria madre, la donna che accoglie dentro di sé una nuova vita, un mistero affascinante che le più raffinate tecnologie dell’attuale scienza medica riescono solo a volte a riprodurre tramite la fecondazione artificiale. L’incontro di uno spermatozoo con l’ovulo dal quale si genera la vita rimane per molti aspetti un mistero. Certo, molto si sa. Grazie all’ecografia e alla tecnologia sono stati osservati fenomeni difficili da immaginare. Sembrerebbe infatti che lo spermatozoo che riesce a varcare la membrana dell’ovulo non sia quello che percuote con maggior potenza, ma quello che viene “accolto” dall’ovulo. Sembrerebbe anche, ed il condizionale rimane d’obbligo, che avvenga una specie di danza amorosa, un corteggiamento che assomiglia al ballo pugliese della pizzica, dove il maschio si muove sperando di essere accolto ed alla fine la femmina sceglie secondo un criterio che non è automaticamente legato alla forza del maschio. Tutto ciò sfugge ancora alla spiegazione scientifica. Quale peso abbiano l’accondiscendenza dell’ovulo a lasciarsi fecondare da un lato e la potenza seduttiva dello spermatozoo nel penetrare l’ovulo dall’altro, resta un mistero. E io sono tra coloro che sperano che tale mistero rimanga. Il termine “mistero” contiene un fascino che è intrinseco alla parola stessa. In esso risuona la parola “mestiere”, che ha a che fare con il manipolare, il lavorare. Volendo spingere ancora un po’ più avanti il gioco con i termini notiamo che “mestiere” contiene anche la parola “ister” che significa utero ed è alla base etimologica del termine isteria. Quindi, fantasticando sull’etimologia, si potrebbe dire che il mistero contenga tracce di isteria. Insomma, potremmo pensare che in quell’incontro profondo, almeno così sembra dirci il linguaggio, non c’è soltanto il mistero, ma anche il mestiere, e quindi il lavoro che rimanda all’elaborazione dell’Io legata al logos solare della scienza e anche l’isteria che è legata alla ciclicità lunare che sfugge all’osservazione scientifica. Non a caso il vocabolo “ister” (“hystéra”) si ritrova anche nell’etimologia della parola “strega” e le streghe ad un certo punto sono state bruciate dalle istituzioni esclusivamente maschili (e maschiliste) che delle streghe non riuscivano a comprendere un bel nulla.
Se sono riuscito nel mio intento, che non è frutto di un pensiero razionale, ma piuttosto di un lasciarmi andare ad associazioni etimologiche forse non proprio scientifiche, ma dettate da un principio di analogia poetica, dovrebbe apparire evidente come tra logos e “ister” (“hystéra”) non corra proprio buon sangue. Anzi, possiamo sostenere, confortati dalla psicoanalisi e dalla filosofia orientale, che femminile e maschile sono tra loro opposti, così come lo Yin e lo Yang. C’è tra loro una differenza che arriva alla conflittualità, ma che poi, come nell’immagine del Taiji, tende ad armonizzarsi. Tutto ciò ci consente di distinguere in modo chiaro il conflitto dalla violenza: il conflitto è la relazione di due parti che contemplano l’una l’esistenza dell’altra; diversamente, la violenza consiste nella sopraffazione di una parte sull’altra e può arrivare addirittura all’annientamento. Quindi, dove c’è violenza non c’è conflitto, appunto perché una delle due parti tende a distruggere l’altra.
A questo punto, se la premessa è stata sufficientemente chiara, possiamo chiederci se la gravidanza evidenzi una situazione di conflitto oppure di violenza. Questo ci può tornar utile per comprendere l’imprinting, come direbbero gli etologi, o il protomodello relazionale, come direbbe Silvia Montefoschi, tra madre e bambino. Montefoschi sostiene che le relazioni hanno un imprinting iniziale che le accompagna poi per il resto del loro svolgersi. Se una relazione nasce fondata su una reciproca dipendenza accadrà che l’uno diventerà per l’altro oggetto e non soggetto, creando così una relazione di interdipendenza. Solo il riconoscimento della reciproca libertà dotata di una propria soggettività consentirà di impostare fin dall’inizio un rapporto intersoggettivo, un imprinting di accettazione reciproca, facendo in modo che il modello iniziale possa essere definito, appunto, un protomodello relazionale di tipo intersoggettivo e non interdipendente17.
Tanto per iniziare, l’esperienza, confortata poi dalla ricerca scientifica, ci insegna che non sempre il concepimento avviene con facilità. A parte i periodi più o meno fertili della donna, ci sono poi situazioni in cui il corpo femminile ostacola il concepimento tramite particolari secrezioni che impediscono agli spermatozoi di procedere nel loro percorso verso l’ovulo o tramite altri fenomeni ancora oggi non del tutto noti, per cui l’ovulo fecondato non si annida, non si attacca alla parete dell’utero e viene espulso. Insomma, molti aborti avvengono spontaneamente, senza che la madre ne sia responsabile. La discesa dell’anima in questo mondo, come direbbero i neoplatonici (Plotino), non è così semplice e rimane nelle mani degli dei. Occorre sfondare quella specie di sistema immunitario della donna che si oppone alla nuova vita. Si è soliti dire allora che la donna non rimane incinta perché è cattiva, perché non è donna, perché è nevrotica, perché, perché, perché... A volte, forse ci può essere una ragione. La psicosomatica ci insegna che se una donna desidera coscientemente un figlio e questo non arriva può essere che una sua parte inconscia lo respinga o non sia comunque pronta ad accoglierlo. È un territorio, ancora oggi, misterioso anche per la scienza medica. In alcune situazioni, è chiaro che le condizioni fisiche della donna non consentono una gravidanza. In altre situazioni, le motivazioni sono più sfumate e il confine tra la componente fisica e quella psicologica è difficilmente marcabile. L’approccio psicosomatico si occupa di questi aspetti e può succedere che con un percorso psicoterapico qualcosa cambi.
Ricordo il caso di una paziente che non riusciva a rimanere incinta. Lei desiderava diventare madre, ma il suo corpo respingeva la gravidanza. Nelle visite ginecologiche i medici le dicevano che aveva delle potenti secrezioni antispermatozoi. Fin dai primi colloqui di psicoterapia emerse la sua rabbia nei confronti del maschile. Essere femmina era stata ai suoi occhi una sfortuna di fronte ai fratelli maschi e così aveva sviluppato un’invidia fortissima di tipo distruttivo: odiava i suoi fratelli e augurava loro ogni possibile disgrazia. Anche nei miei confronti aveva un atteggiamento di sfida e dovevo stare attento a dosare ogni parola. In alcuni momenti avevo la sensazione di essere di fronte ad un animale ferito ed inferocito, pronto a mordermi nel momento in cui mi fossi distratto per un attimo o lo avessi toccato. C’è voluto del tempo perché lei si rendesse conto di tutto ciò. Ne era completamente inconsapevole. Nel momento in cui ha preso coscienza e si è riconciliata con il maschile fuori di sé, per quanto è stato possibile con i fratelli, ma specialmente con il marito e il maschile dentro di sé, le cose sono cambiate ed ha potuto diventare madre.
La stessa cosa può valere per un uomo, anche se è evidente che gran parte del processo di fecondazione e annidamento dell’ovulo avviene nell’oscurità dell’inconscio corporeo della donna. Ma al di là di queste particolari situazioni, una certa resistenza alla gravidanza è per così dire, a quanto sembra, insita nella natura stessa, in quanto la gravidanza è una vera e propria “invasione violenta” nei confronti della donna e solo il profondo desiderio di un figlio può far sì che la donna nella sua totalità psicosomatica accolga questa invasione senza ripercussioni fisiche, psicologiche o entrambe. Non è sufficiente che la madre accetti che il bambino vada verso di lei, come avviene in una relazione normale, ma deve acconsentire di lasciarsi invadere, di lasciare che il bambino le usi violenza, forzi le pareti del suo utero e comprima i suoi organi. Si tratta di una vera e propria violazione di territorio, anche se nella maggior parte dei casi essa è desiderata anche dalla donna.
Se guardiamo quanto avviene dopo la fecondazione dell’ovulo e il suo annidamento nell’utero, sembra proprio di assistere ad una dinamica violenta. Da quel momento in poi, se la donna non abortisce volontariamente o involontariamente, l’embrione si impossessa del suo corpo senza rispettare alcuna forma di democrazia. Non discuterà con il corpo della madre su quante e quali sostanze nutritive prendere, se ne ha bisogno. Prenderà quel che gli serve senza tener conto della madre, fino a lasciarla priva di sostanze nutritive. A puro titolo di esempio, basti pensare al ferro. Il bambino si prende il ferro che gli serve e, se la madre rimane senza, deve provvedere a reintegrarlo. Anche dal punto di vista dello spazio l’irruenza dell’embrione non ha limiti. Un ginecologo mi spiegava che se dovessimo gonfiare nell’utero di una donna non gravida un palloncino delle stesse dimensioni di un feto di sei mesi, la donna verrebbe sopraffatta dal dolore. Accade, invece, che l’intero complesso psicosomatico, organi, ormoni, glicemia, neurotrasmettitori, tutta la struttura corporea insomma ed il suo funzionamento dinamico si adatta all’invasione alla quale è sottoposta, così che l’invasione si trasformi in accoglienza. La natura, cioè, ha fatto sì che la donna, diventando madre, si adattasse a ciò che in termini psicologici viene descritto come l’autismo, il narcisismo e l’onnipotenza del bambino nel momento in cui si presenta nella vita su questa terra. Sulla base di queste considerazioni ecobiopsicologiche, possiamo dire che la discesa di un bambino nel mondo è un atto pieno di aggressività che presenta le caratteristiche di un colpo di stato agito da una cellula rivoluzionaria. La natura ha fatto sì che la vita del bambino sia più importante di tutto il resto e può capitare che una donna si trovi prima del previsto costretta a rinunciare ai suoi progetti di presenza operativa nel mondo per mettersi a riposo e consentire il procedere della gravidanza. Sembra proprio una di quelle situazioni in cui si realizza uno dei detti più noti della psicoanalisi secondo il quale l’inconscio fa la storia e il conscio la scrive. In un libro dal titolo Lettera a un bambino mai nato, Oriana Fallaci descrive la sua scelta di continuare nella sua professione sapendo di mettere a repentaglio la gravidanza18. Senza alcun giudizio sulla scelta fatta, possiamo constatare come appunto nella vita di una donna si possa concretizzare questo conflitto intrapsichico che diventa anche fonte di scelte precise sul versante pratico extrapsichico. Ci sono donne che continuano a svolgere delle attività pur sapendo che facendolo metteranno a rischio la gravidanza. Se la gravidanza non è una malattia, come spesso viene ribadito, è comunque uno stato particolare, definito appunto “interessante” nel linguaggio comune, che richiede un certo interesse, una certa attenzione. Da quanto so, per esempio, una donna incinta evita di andare a cavallo. Ho visto donne accanite fumatrici smettere all’improvviso di fumare appena consapevoli di essere incinte, altrettanto spesso pronte a riprendere all’improvviso nel momento in cui partoriscono o smettono di allattare. Questo stato “interessante” riguarda sicuramente più la donna che l’uomo in quanto coinvolta dal punto di vista fisico in modo diverso. Mi è, però, capitato di incontrare diverse situazioni in cui anche l’uomo subisce una profonda trasformazione nel momento in cui apprende che la propria compagna è incinta. Se da una parte ci sono uomini che non si accorgono di diventare padri, neanche dopo anni che ciò è avvenuto e continuano quindi a condurre la propria vita come se nulla fosse e la cosa non li riguardasse, dall’altra ci sono uomini che non appena ricevuta la notizia della gravidanza entrano immediatamente in una nuova dimensione di vita. Vengono talmente coinvolti dalla notizia della gravidanza che si sentono già padri, nella buona e nella cattiva sorte, con tutti i vantaggi e svantaggi del caso. Un vantaggio importante solitamente riconosciuto è sicuramente l’assunzione di responsabilità che fornisce alla donna un sostegno importante. Nelle famiglie delle corti di campagna tale sostegno veniva fornito dal collettivo delle donne. Nell’attuale famiglia nucleare composta appunto dal nucleo uomodonnafigli questa protezione ci si aspetta venga fornita dal futuro padre. Questa assunzione di responsabilità può anche mandare intilt il futuro padre, specialmente se la gravidanza non era prevista o desiderata. Mi è capitato di seguire delle situazioni nelle quali la donna è rimasta incinta in modo ingannevole, dicendo per esempio al compagno che prendeva un contraccettivo quando non era vero o facendo la “mossa del granchio” che consiste nell’impedire al compagno di interrompere il coito per evitare appunto la gravidanza, trattenendo dentro di sé il pene in modo da farlo eiaculare dentro. Ho visto uomini andare completamente in tilt, fino al rischio di grave scompenso psicologico, perché incastrati in situazioni di questo tipo. La gravidanza è probabilmente una delle cose più belle al mondo e anche nei sogni indica solitamente un’energia vitale che si sprigiona. Nello stesso tempo può diventare un evento catastrofico se va a scontrarsi con altri progetti di vita che la persona, femmina o maschio che sia, sta nel momento coltivando. Il conflitto che, a volte, si genera tra un progetto e l’altro, tra una vita e l’altra, non sempre consente la sopravvivenza di entrambi e a volte il vecchio moto mors tua vita mea, diventa inevitabile.
La devozione della madre, che dal punto di vista psicologico è necessaria nei primi mesi di vita del bambino e prima del parto19, dal punto di vista psicosomatico inizia dal concepimento ed è necessaria per assecondare l’autismo, il narcisismo e l’onnipotenza del bambino. Quest’ultima ha bisogno della devozione della madre, altrimenti è possibile che avvenga un aborto, poiché il bambino è ancora troppo fragile per potere contrastare la potenza della madre su di lui. La scienza consente ormai di interrompere una gravidanza con una semplice pastiglia. Ma anche in passato un decotto di prezzemolo o un ferro da calza hanno impedito la nascita di molti bambini. Tante madri si sono difese in questo modo da un’invasione non desiderata. Occorre perciò che ci sia un’accettazione della gravidanza, occorre il desiderio, anche sorto a posteriori e non previsto, perché si possa attivare una funzione materna sufficientemente devota. Questa dimensione di devozione riguarda sicuramente la madre perché, inevitabilmente coinvolta anche sul piano fisico, ma dal punto di vista psicologico coinvolge anche il padre. Un uomo per diventare padre deve accettare che la propria anima venga fecondata.
Se accettiamo di riflettere in senso ecobiopsicologico e prendiamo spunto da quel che accade nel bios per comprendere quello che succede nella psiche, possiamo recuperare un concetto della psicoanalisi andato piuttosto in disuso, e cioè quello del bambino perverso e polimorfo. Sono due termini antipatici che ci riportano alla cronaca nera dei giornali e forse per questo poco utilizzati. Ma se ci soffermiamo sul loro significato etimologico i due termini ci possono essere di grande aiuto anche per affrontare la questione dell’aggressività. Se pensiamo agli istinti nella loro potenza animale, è più facile immaginarli, mettendoli metaforicamente in parallelo con qualcosa di liquido, o quantomeno di fluido. La libido tende a dilagare in tutte le direzioni, come avviene per un liquido quando non è raccolto in un contenitore. Per questo motivo la libido è appunto, almeno in origine, perversa, non nel significato clinico della parola, ma in quanto può andare in tutti i versi travolgendo gli argini dentro i quali la cultura vorrebbe che fluisse. Fintanto che non si consolida la personalità i due grandi filoni dell’istinto, la sessualità e l’aggressività, tendono ad andare in tutti i versi, senza alcun contenimento, come avviene per la pipì e la cacca.
Giustamente i bambini vengono chiamati cuccioli, perché condividono con i cuccioli degli animali la pura istintualità. Senza offendere i bambini, ma con estrema tenerezza, si può ritenere corretto dal punto di vista educativo considerare il bambino come un piccolo di animale; questo almeno fino all’anno di vita, fino a quando cioè il bambino non inizia a camminare e, assumendo la posizione eretta, ad assomigliare sempre di più all’essere umano20. Ci viene così utile il secondo termine, “polimorfo”, intendendo con ciò che la morphè, la forma, che il bambino andrà ad acquisire può essere di molti tipi. L’accudimento materno sufficientemente buono durante il primo anno di vita sarà fondamentale perché i cuccioli possano assumere la morphé umana21.
Ma perché la gravidanza è un vero e proprio atto di violenza e non di semplice aggressività? Perché se osserviamo cosa succede nel corpo femminile e se ascoltiamo quello che raccontano le donne, affinché nasca la madre occorre che muoia la donna. Non esiste donna che per diventare madre non abbia dovuto sacrificare una parte importante di sé. Certo, le donne costrette a rimanere distese a letto per parecchi mesi a causa di una minaccia d’aborto sentiranno di più questa violenza rispetto alle donne piene di energia e di salute in grado di lavorare fino al giorno prima del parto; è indiscutibile, tuttavia, che la presenza del bambino nella pancia della madre modifichi in modo radicale lo schema corporeo e l’immagine che ogni donna ha di se stessa. La donna deve accettare modificazioni non sempre gradite, deve acconsentire che il figlio la uccida. L’uccisione del genitore è un tema studiato dalla psicoanalisi per quanto riguarda la figura paterna, legato, com’è noto, al complesso di Edipo; si tratta di un tema prettamente psicologico. La “violenza” esercitata dal figlio o dalla figlia sulla donna che si arrende a diventare madre è una violenza psicosomatica che coinvolge pienamente tutto il corpo. Non si tratta perciò solamente o prevalentemente di un tema psicologico. Anzi, per certi aspetti, è innanzitutto un tema fisico, se consideriamo che molte gravidanze iniziano senza che la donna se ne accorga. Casomai è l’inconscio della donna a saperlo, ma quasi sempre la consapevolezza psicologica inizia a svilupparsi soltanto giorni, settimane, a volte mesi dall’evento fisico.
Insisto su questo concetto perché esso influisce in modo decisivo sul rapporto che occorre instaurare con l’aggressività del bambino. Quanto finora esposto, infatti, utilizzando un’espressione un po’ ardita, ci porta a sostenere che il bambino nasce violento, se per nascita consideriamo il concepimento e per violenza la sopraffazione di un soggetto su di un altro. C’è, però, un altro aspetto importante da prendere in considerazione. Il sangue del bambino non si mescola con il sangue della madre. Se ciò avviene sono guai seri. La natura prevede che il bambino invada la madre, le usi violenza e si impossessi del suo corpo prendendosi lo spazio che gli serve, ma solo fino ad un certo punto. Ci sono, infatti, una placenta e un utero dentro i quali deve restare. È dentro l’utero, per quanto elastico esso possa essere, che il bambino deve rimanere; non può andare a spasso per il corpo della madre. La natura ha saputo trovare una sintesi perfetta tra la forza necessaria per “violare il territorio” della madre e annidarsi e l’accoglienza necessaria, adeguatamente confinata, affinché ciò avvenga. Si realizza una perfetta armonia tra il femminile e il maschile, tra l’utero e il fallo, tra il calice e la spada.
Si parla spesso di simbiosi madre-bambino per descrivere i primi tempi della relazione: il termine, composto dal prefisso “sin” che significa insieme e dal termine “bi...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Premessa
  5. Introduzione
  6. L’aggressività
  7. Le fasi dello sviluppo
  8. Gravidanza: conflitto o violenza?
  9. Il lattante
  10. Il cucciolo: il gattonare e il rapporto tra pari
  11. Il bambino e la bambina
  12. L’aggressività della madre
  13. L’aggressività del padre
  14. Quando si confonde l’autonomia con il lasciar fare tutto
  15. Codice materno e codice paterno: coppa e spada
  16. Ordine e disciplina
  17. Diventare genitori senza rinunciare a essere individui
  18. Bibliografia