La Russia, un impero in espansione sulla soglia di due continenti, in ragione della sua presenza nello spazio politico, geografico e culturale europeo partecipò sotto molteplici aspetti alle vicende dello stato italiano [1] . Influenzata dall’ideologia panslavista e animata da un’«ansia di vie marittime» [2] , la sua classe dirigente era infatti determinata ad assicurare alla Russia uno status di grande potenza a tutti gli effetti, guadagnando all’impero una posizione politico-territoriale certa e indipendente nei punti di accesso al Mediterraneo, attraverso il controllo degli Stretti turchi e la penetrazione nell’Europa danubiano-balcanica. In questo suo obiettivo secolare, oltre a scontrarsi con la presenza ottomana e asburgica, la Russia finì per incontrare le direttrici della politica estera dell’Italia liberale, la quale, decisa a consolidare il suo ruolo nel consesso delle potenze europee dopo l’Unità, cercava a sua volta di realizzare i propri interessi di stato nazionale indipendente. Si trattava non solo di completare il processo di unificazione, chiudendo la questione irredentista tramite l’annessione dei territori popolati da italiani in possesso dell’impero asburgico [3] , ma anche di affermare e vedere riconosciuta la propria presenza in un settore fondamentale per la sicura esistenza e la vitalità politica ed economica del regno – i Balcani e, con essi, il Mediterraneo.
Non è un caso, del resto, che l’Italia e la Russia siano state le potenze più insoddisfatte dall’esito del congresso di Berlino, che nel 1878 aveva messo fine alla guerra russo-turca scoppiata a seguito delle rivolte nelle regioni ottomane di Bosnia ed Erzegovina. Come è noto, il congresso aveva sovvertito l’opera diplomatica con cui la Russia, vincitrice della guerra contro l’impero ottomano, aveva inteso riorganizzare l’assetto politico-territoriale della regione danubiano-balcanica a proprio vantaggio, facendo leva sul sentimento di solidarietà e comunanza che, sul piano etnico e culturale, legava il popolo russo a quello delle altre nazionalità slavo-ortodosse dei Balcani [4] . I preliminari di pace di Santo Stefano che la Russia aveva imposto al Sultano prevedevano infatti l’elevazione di Serbia e Montenegro a stati indipendenti e territorialmente ingranditi sulla costa adriatica, nonché la creazione di una “Grande Bulgaria” che, estesa dal Danubio all’Egeo, avrebbe garantito alla Russia un’influenza decisiva nella penisola balcanica e in tutti i restanti punti di accesso al Mediterraneo. Il trattato di Berlino, imposto alla Russia dalle altre grandi potenze europee, invece, oltre ad annullare gran parte delle attribuzioni territoriali prospettate da Pietroburgo a vantaggio di Serbia, Montenegro e Bulgaria, confermò il principio di chiusura degli Stretti turchi al passaggio di navi militari straniere, già sancito dai trattati di Parigi e Londra del 1855 e del 1871, lasciando al Sultano la facoltà di aprirli alle sole potenze alleate e amiche qualora lo avesse ritenuto necessario [5] .
Nonostante questa indesiderata svolta degli eventi, a Berlino la Russia era riuscita quantomeno ad ottenere l’indipendenza della Serbia e del Montenegro, ossia di due importanti avamposti dell’impero russo nell’Occidente europeo. Il Montenegro, proteso verso i porti di Cattaro e Antivari, sarebbe stato un alleato prezioso al fine di esercitare la propria influenza in una regione in cui, priva di proprie basi navali, la Russia si trovava a fronteggiare la predominante presenza asburgica [6] . L’annessione di Antivari e del suo litorale al nuovo stato indipendente, tuttavia, era avvenuta a condizioni che vanificavano i vantaggi attesi: secondo le disposizioni dell’articolo 29 del trattato di Berlino, infatti, il Montenegro non avrebbe potuto disporre di navigli e di fortificazioni militari, il porto di Antivari e le sue acque territoriali rimanevano chiusi, mentre il controllo della polizia marittima e sanitaria era attribuito all’Austria-Ungheria, con la quale il Montenegro avrebbe dovuto preventivamente concordare anche la costruzione di strade e ferrovie sul proprio territorio. Similmente, la provincia di Bosnia ed Erzegovina, anch’essa in parte affacciata sull’Adriatico, che la Russia aveva inteso assegnare alla Serbia, non solo venne restituita alla sovranità ottomana ma fu posta per la durata di trent’anni sotto l’amministrazione dell’Austria-Ungheria, che vi avrebbe mantenuto una propria guarnigione militare, ottenendo anche il controllo delle vie commerciali e militari nel sangiaccato di Novi Bazar, un territorio incuneato tra Serbia e Montenegro.
I vantaggi acquisiti dall’impero asburgico nei territori balcanico-adriatici, conseguiti in cambio di altrettanti benefici concessi a Francia e Gran Bretagna nel Mediterraneo, avevano danneggiato la politica italiana non meno che quella russa. L’Italia si ritrovava infatti stretta tra la Francia, sempre più competitiva nel settore mediterraneo e politicamente ostile a seguito del mancato sostegno italiano nella guerra persa contro la Prussia nel 1870-71, e la storica rivalità con l’Austria-Ungheria che, dopo la guerra del 1866 [7] , si era confermata un avversario contro cui era impossibile confrontarsi militarmente. In questo quadro, la Triplice alleanza costituita con Austria-Ungheria e Germania nel 1882 fu lo strumento con cui l’Italia si propose di garantire la propria sicurezza da uno scontro con la Francia e, al contempo, di completare la propria unificazione nazionale acquisendo le terre irredente per via pacifica, tramite un accordo diplomatico con Vienna. A questo, in ottica italiana, serviva infatti la clausola annessa al trattato con il primo rinnovo del 1887 e poi integrata nell’articolo VII del trattato rinnovato nel 1891, in base alla quale in caso di “inorientamento” dell’Austria-Ungheria, ossia di sue eventuali occupazioni, temporanee o permanenti, nelle regioni dei Balcani o delle coste e isole ottomane nell’Adriatico e nell’Egeo, l’Italia avrebbe avuto il diritto ad un compenso rispetto ai vantaggi che l’alleata avrebbe realizzato [8] .
Per parte sua anche la Russia, occupata in una campagna di conquiste ad Oriente a spese dell’impero cinese, era impossibilitata a sostenere uno scontro militare con l’Austria-Ungheria, ancor più da quando era venuto meno il sistema di assicurazioni e controassicurazioni tra Pietroburgo, Vienna e Berlino, costruito dietro la regia del cancelliere tedesco Otto von Bismarck [9] . Per porre rimedio al proprio isolamento dinanzi al blocco austro-tedesco, la Russia aveva stretto un’alleanza militare con la Francia, perfezionata tra il 1892 e il 1894 [10] , provvedendo altresì ad impegnare l’impero asburgico ad una politica di intese dirette riguardo ai Balcani. Nel 1897, infatti, alla ripresa di agitazioni da parte delle popolazioni cristiane nella regione macedone e a Creta, tramite uno scambio di note segreto Vienna e Pietroburgo concordarono che, in caso di mutamenti nello statu quo politico-territoriale dell’impero ottomano, avrebbero favorito la spartizione dei territori ottomani tra gli stati balcanici e la creazione di uno stato albanese indipendente [11] .
Informata, benché sommariamente, dell’intesa raggiunta dall’alleata con la Russia, tra il 1897 e il 1901 l’Italia provvide a sua volta ad impegnare l’Austria-Ungheria ad un analogo accordo a favore dell’autonomia dei vilayet albanesi dell’impero ottomano [12] , mentre non riuscì il tentativo di vincolare il governo di Vienna ad una politica concordata per l’intera penisola balcanica, come proposto dal ministro degli Esteri Giulio Prinetti al momento di negoziare il rinnovo della Triplice nel 1902 [13] .
Dinanzi al rifiuto dell’Austria-Ungheria, Prinetti si rivolse alla Russia, con l’intento di ottenere il suo benevolo assenso a che l’Italia partecipasse alla gestione degli affari balcanici in una pos...