— Digione, Mâcon, Lione, Valenza, Avignone, Marsiglia! — gridò il capostazione. Paul Ashby, in piedi sulla banchina della stazione di Boulogne, pensò che non ci poteva essere una melodia di suoni più gradevole. Aveva prenotato il posto e i suoi bagagli erano stati sistemati nel vagone letto, così lui camminava su e giù osservando il tremendo viavai di gente che si verifica sempre alla partenza di un treno francese. Era come se stesse per essere effettuato un grande esperimento in materia di trasporti, pensò, e il primo veicolo a vapore della storia si avviasse a partire per un viaggio azzardato lungo la Francia. I facchini gridavano, il capostazione azionava di tanto in tanto il fischietto, e i passeggeri continuavano a dirigersi follemente su e giù per la banchina, perdendo e ritrovando i posti, i bagagli e persino i figli. A parte Paul, sembrava che tutti viaggiassero in famiglia. La terza classe era già affollata all’inverosimile, e dai finestrini lui vedeva una folla di visi sudaticci di ogni professione, di ogni colore e di ogni nazionalità: contadini, soldati e marinai; mori, turchi, indiani, cinesi e francesi; gente dal viso marrone, nero, giallo, bianco e persino truccato. Paul avvistò i denti d’oro e gli occhi scintillanti di un nero, poi il volto glabro e i capelli scuri di una donna francese, che si era tolta il cappello e si stava sistemando uno scialle in testa per la notte. I venditori di generi alimentari, con i loro carretti, stavano facendo buoni affari, e filoni di pane, bottiglie d’acqua frizzante e di vino passavano velocemente di mano. L’aria sapeva di zolfo e di fumo e, in maniera più intima, rimandava odori di corpi, aglio e sigarette francesi.
Il frastuono e l’eccitazione della gente aumentarono al punto tale che persino le grandi travi di ferro della Gare de Lyon parvero mettersi a vibrare, poi una campanella squillò con più decisione del solito. Paul diede un’occhiata all’orologio e si avviò verso la sua carrozza.
— En voiture, m’sieurs, dames, en voiture! — gridavano i facchini con l’entusiasmo che gli inglesi riservano a una partita di calcio. Paul salì a bordo, le porte vennero chiuse con decisione, il capostazione fischiò definitivamente e, con un tremendo scossone, il convoglio partì.
Mentre le ruote del treno giravano sempre più in fretta, l’umore di Paul migliorò in proporzione. La sua conoscenza del continente, almeno fin lì, non andava oltre una visita a Boulogne, con le sue casette grigie sotto la pioggia. Davanti a lui, oltre il finestrino del treno, si stendeva una campagna piuttosto monotona fatta di campi verdi e di villaggi di pietra grigia dall’aria sorprendentemente inglese, pensò. Poi si concesse un buon pranzo nella carrozza ristorante, dove provò un enorme sollievo nel rendersi conto che il suo primo ordine in francese, espresso in modo un po’ goffo, veniva eseguito senza la minima esitazione. Guardando dai finestrini, si accorse che la pioggia continuava sempre a scendere e, attraverso i vetri appannati, notò squarci di lunghe strade rettilinee fiancheggiate da pioppi. Quelle, insieme ai cartelli pubblicitari, conferivano una certa aria inconsueta al paesaggio. BYRRH, lesse. SAVON CADUM. THÉ LIPTON.
Alla fine il treno arrivò a Parigi, con i suoi sobborghi desolati e persino un po’ sordidi, illuminati da un’occasionale veduta della Senna. I passeggeri scesero alla Gare du Nord, dove Paul si seccò moltissimo perché uno zelante funzionario si rese subito conto che lui era inglese. Ancora tre ore da far passare. Ma cosa poteva fare in tre ore?
Decidendo di non badare a spese, prese un taxi e si fece scarrozzare senza sosta per le vie bagnate della città. Forse a causa del tempo, non era proprio la Parigi che si sarebbe aspettato: una città scintillante, piena di fontane e di fiori, raffinata, elegante e un pizzico peccaminosa. Invece, la trovò piuttosto sinistra, vecchia e carica di storia. Si sarebbe quasi aspettato di vedere una di quelle carrette su cui si trasportavano i condannati alla ghigliottina arrancare lungo le strade grigie, mentre dalle grondaie scendevano fiotti di sangue. In Place de la Concorde, però, la città lo stupì di nuovo; lì risultava austera, grave e intellettuale; poi, in un baleno, cambiava nuovamente e sembrava agitargli in faccia una gonna mentre Paul scendeva per Rue de Rivoli e sbirciava attraverso le arcate le vetrine piene di perle, fiori e profumi. Alla sua destra c’erano giardini, statue e un grande palazzo che doveva essere il Louvre. Decise di concedersi un drink prima di vedere qualcos’altro, e dando un colpetto al vetro divisorio disse al tassista di fermarsi nei pressi di un bar.
Una volta lì, pagò il conducente, si sedette all’interno del bar, ordinò una birra e ascoltò un signore barbuto che stava spiegando a un altro, e con grande passione, come mescolare un’insalata. Si chiese se le conversazioni che lo circondavano da ogni parte fossero ugualmente frivole; poi, di colpo, sentendosi solo, terminò di bere e se ne andò. Fu contento quando la sua visita panoramica della città terminò. Se Brian ed Evans fossero stati con lui, avrebbe provato una diversa sensazione, ma esplorare le città da soli è sempre triste. Avevano progettato di fare quel viaggio insieme, tutti e tre, mentre esaminavano una carta geografica della Francia nelle stanze di Paul, durante la loro ultima sessione d’esami a Oxford; ma poi, durante l’estate, un lavoro improvviso aveva spedito Brian in India, mentre Evans si era fidanzato tanto improvvisamente quanto inaspettatamente, con l’idea di sposarsi nel giro di poco. Paul non aveva potuto farci niente, e così, sentendosi un po’ un sopravvissuto, aveva stabilito di passare la vacanza da solo, in parte perché il suo carattere deciso gli rendeva odioso modificare i piani fatti in precedenza, e in parte per soddisfare un desiderio di avventura che esisteva in qualche parte segreta della sua anima. Una volta nuovamente sul treno, dimenticò la sua solitudine. Adesso stava dirigendosi a sud in uno strano paese e, cosa inattesa, avrebbe dovuto intraprendere una ricerca ancora più strana.
Il giorno prima, a Londra si respirava un’atmosfera alquanto opprimente. Era appena terminata una lunga ondata di caldo, e in quella particolare sera d’agosto la città aveva un’aria sinistra. Fuori non tirava un filo d’aria. A Bloomsbury le foglie pendevano molli sui platani, e le case georgiane sembravano squallide e depresse. Paul, seduto nei suoi alloggi di Great James Street, contemplava la fila di bagagli tutti ben etichettati e si chiedeva se non si stesse comportando da perfetto idiota. Andare a sud con quel tempo…
Fissò fuori dalla finestra e notò che in cielo era comparsa una nuvola color porpora, poi si alzò, stirò le lunghe gambe e si preparò un drink. “Se non altro” pensò “potrò farmi una nuotata nel Mediterraneo e girare in maniche di camicia. A proposito, chissà se avrò messo in valigia abbastanza camicie…” Così portò i suoi pensieri ai bagagli, si sedette di nuovo e cominciò a vergare con grafia elegante, quasi accademica, un’etichetta extra per la sua valigia più grande:
PAUL ASHBY
Passeggero per Marsiglia via Boulogne e Parigi
Asciugò l’etichetta con la carta assorbente e poi si fermò, in ascolto. Dei passi oltrepassarono la sua porta per poi salire le scale. Nell’atmosfera tesa di quella sera calda, ogni rumore sembrava avere un particolare significato. Si chiese chi potesse essere, perché il piano alto della casa era occupato solo dagli uffici di un’agenzia investigativa che aveva chiuso i battenti per la giornata mezz’ora prima.
I passi parvero esitare e infine si fermarono. Poi ci fu uno schianto, seguito dal rumore di qualcosa che scivolava giù dalle scale.
Paul si affrettò a raggiungere la porta, l’aprì e si ritrovò davanti il corpo di un uomo che giaceva ai suoi piedi. Non sembrava privo di sensi, e respirava affannosamente, il viso contorto dal dolore. Paul riuscì a trasportarlo sul divano e lo mise in posizione seduta puntellandolo con dei cuscini, poi gli lanciò un’occhiata piena d’ansia. Sarebbe stato davvero scoraggiante, alla vigilia di una vacanza estiva, trovarsi con uno sconosciuto appena caduto dalle scale e magari in procinto di morire. E mentre, con metà della sua mente, Paul era già impegnato a raffigurarsi come testimone chiave in un’inchiesta, con l’altra metà stava cercando di studiare meglio il suo ospite precipitato dalle scale. L’uomo era anziano, con i capelli bianchi, e aveva un viso dall’espressione distinta, sensibile. Gli abiti erano di taglio sartoriale e mostravano una gradevole armonia nelle tonalità della camicia, dei calzini e della cravatta. Certo che sembrava patetico, messo lì con quegli abiti eleganti.
— Le va un whisky, signore? — disse Paul, nervoso. Proprio non sapeva come affrontare la situazione.
— Grazie, ma no. Solo un sorso d’acqua, magari — disse il gentiluomo con un filo di voce, muovendo le mani verso il taschino della giacca.
Paul gli portò un bicchiere d’acqua e vide un paio di pilloline bianche sparire nella bocca dell’uomo.
Non gli andava di starsene lì in piedi a guardare il vecchio, così si diresse alla finestra in attesa di nuovi sviluppi.
Non c’era nessuna auto all’esterno. Ma chi diavolo poteva essere quel tizio? Un vecchio soldato con l’hobby dello studio? Un gentiluomo che si occupava di belle arti nel tempo libero? Di sicuro, uno che sarebbe sembrato più a suo agio in un club di St James’s che negli uffici di un’agenzia investigativa.
Dopo un po’, Paul sentì un movimento alle proprie spalle e si voltò trovando il suo ospite, scosso ma in via di ripresa, che si era alzato e si stava spolverando i pantaloni.
— Certo che è stato un bel tonfo — disse in tono di scuse. — Molto gentile da parte sua avermi soccorso. È il mio cuore malato, sa. Certe volte mi succede proprio questo. Spero di non averle fatto prendere un brutto spavento. Adesso vado. E grazie, grazie tante.
— Non ci pensi nemmeno, signore. Anzi, la prego di sedersi nuovamente e di riposare un po’. Poi le chiamerò un taxi. Deve aver preso una brutta botta, cadendo giù dalle scale. Non vuole bere un bicchiere di sherry insieme a me?
— Be’, lei è veramente molto gentile, mio caro amico; e se è proprio sicuro che non disturbo, magari mi fermo ancora per qualche minuto.
Si accomodò sul divano con un’aria di sollievo, e Paul andò a prendere lo sherry e i bicchieri.
Quando tornò, trovò un biglietto da visita sul tavolo e lesse: “Maggiore E.W. Kent, Black’s Club”. Si presentò a sua volta mentre versava i drink e, dopo essersi seduto col bicchiere in mano, si rese conto che la situazione stava diventando più normale.
— Ha delle belle stanze qui — disse il maggiore Kent, contemplando con apprezzamento le pareti dipinte di verde su cui si allineavano varie librerie, le acqueforti incorniciate e le tende rosse di seta indiana che pendevano dalle alte finestre in stile georgiano.
— Sì, ma temo che al momento sembrino un po’ un deposito bagagli — si scusò Paul. — Come vede, sto per partire. Vado all’estero.
— Conta di fermarsi a lungo a Marsiglia? — chiese il maggiore Kent, guardando l’etichetta della valigia più vicina. — Perché la troverà piuttosto calda in questo periodo.
— Non ne ho idea. Questa è la prima volta che riesco a viaggiare fuori dall’Inghilterra da quando ero un ragazzino, e intendo godermi il sole e il clima della Francia per un mesetto, prima di cominciare a lavorare. Non ho fatto piani precisi e ho pochi soldi, ma l’idea di vedere il Mediterraneo mi rende avventuroso come se dovessi esplorare l’Africa nera. Voglio soggiornare in Francia perché conosco la lingua abbastanza bene e credo che viaggiare lì sia più economico che in Italia. E poi, immagino che la riviera francese sia non meno eccitante di Bath o Tunbridge Wells, giusto?
— Dipende dai pos...