Da una caviglia storta si guarisce, anche da una botta in testa, se non si entra in coma, ma da una scelta evitata non si può piú tornare indietro. Ecco perché bisogna buttarsi nonostante la paura, ed ecco perché non dobbiamo lasciarci condizionare da lei.
Ed era proprio quello che avevo intenzione di fare.
Per inaugurare il mio nuovo spirito battagliero, che sapevo sarebbe durato poco, decisi di traslocare.
E trovai una casa bellissima, luminosa, grande. Era di un’artista francese che viveva a Nizza e aveva arredato l’appartamento in maniera incredibile.
C’erano parecchi candidati, ma io la desideravo tantissimo e fu grazie a quel desiderio che capii che qualcosa in me stava cambiando.
Tornai a rivedere la casa una seconda volta con Elisa e poi ci fermammo a parlare con la tizia dell’agenzia, una gatta morta con il tacco dodici e un barboncino scuoiato attaccato al colletto della giacca.
– C’è anche una coppia di ragazzi molto a modo che…
– Io però sono assunta a tempo indeterminato.
– Ma è sola.
– E quindi?
– E quindi, se dovesse perdere il lavoro… senta, in due si vive meglio, si è piú sicuri.
Non ci avevo mai pensato. Se non me lo avesse fatto notare lei, avrei continuato a vivere la mia vita inconsapevole di questa ennesima tragedia che si poteva abbattere su noi zitelle, già abbastanza provate dalla nostra condizione.
– Non accadrà, – affermai.
– Chi può dirlo? La signora non è disposta a rischiare. La casa è la sua unica fonte di reddito ed è stata categorica.
Elisa mi dava le gomitate, mi diceva di lasciar stare, che di appartamenti in affitto a Milano ne avrei trovati a bizzeffe. Io la ignorai. Fatto di per sé molto strano.
Era una sfida, tra me e la gatta morta.
– Ma forse la signora non sa chi sono io, – dissi a un certo punto.
Elisa quasi si strozzò.
– Perché? Chi è lei? – mi domandò quella con tono strafottente.
– Guardi, se va su Google e digita il mio nome le viene fuori subito.
È sorprendente ciò che può succedere quando ostenti sicurezza.
Lei mi ubbidí e la vidi cambiare espressione mentre leggeva le informazioni su Internet.
– Incredibile! Una scrittrice! – cominciò a gridare con voce stridula. – Proprio qui davanti a me! Guardi, le dirò, in confidenza, che la decisione era in pratica presa, ma posso darle la mia parola che come la signora saprà chi è lei tornerà sui suoi passi. E se non lo fa, la convincerò io! Sono una donna di parola –. Mi accompagnò alla porta dopo avermi offerto caffè e brioche che erano lí in bella vista ma che si era guardata bene dall’offrirmi.
– Mosca, sei stata grandissima! – disse Elisa appena fummo uscite.
– Mi tremano ancora le gambe. Sono una persona orribile.
– Direi piuttosto una che sapeva il fatto suo!
Tre mesi dopo mi trasferii nel nuovo appartamento.
Ma prima, diedi fuoco alla mia vecchia casa.
Stavo facendo le ultime scatole quando il braccio della lampada alogena si era piegato all’improvviso andando a colpire i vestiti che avevo appena lavato e appeso allo stendino. Vestiti che evidentemente erano di plastica, perché avevano preso fuoco in un attimo. Non me ne accorsi subito e le fiamme fecero a tempo ad attaccare le tende, la moquette, gli armadi Ikea e io mi ritrovai circondata dal fuoco.
Ero rimasta paralizzata.
Poi, per fortuna, mi aveva preso fuoco una ciocca di capelli. Cosí mi ero rianimata ed ero riuscita a scappare di casa.
Scesa al secondo piano, avevo bussato alla porta di Elisa.
– Non ti allarmare, – le avevo detto, – ma la casa sta bruciando.
– Sí, certo. Mosca, sono stanca, ho lavorato tutto il giorno e vorrei andare a letto.
In effetti, era in pigiama.
– Non sto scherzando. Non credo sia grave, eh, ma non so cosa fare.
Seccata, aveva afferrato le chiavi ed era salita insieme a me.
Quando aveva visto uscire il fumo dalla porta d’ingresso, si era voltata: – Mosca, ma la casa è in fiamme!
– E io che ho detto?
Senza aggiungere altro, era corsa ad avvisare il nostro vicino (quello che mi aveva risolto il dramma del contatore) e si era precipitata come un’eroina all’interno.
– Non hai un contenitore grande? – gridava, mentre spalancava le ante della cucina, ancora non invasa dal fuoco.
Non riuscivo a rispondere. Mi ero seduta sul divano ed ero scoppiata a piangere, circondata dal crepitio delle fiamme.
– Mosca, alzati da lí, non vedi che prendi fuoco! Possibile che tu non abbia altro che questo pentolino?
Niente, io piangevo. Pensavo a dove trovare i soldi per ricostruire una casa non mia, al fatto che ero sola, e che la tizia dell’agenzia aveva ragione.
Sapevo, sapevo che non avrei dovuto alzare la cresta, che me ne sarei dovuta restare buona nel mio angolino. Ero stata punita per avere mirato troppo in alto e quello era il risultato.
Poi, a un certo punto, ero scoppiata a ridere.
Elisa riempiva di acqua le tazzine di caffè e correva a rovesciare il contenuto ai piedi dell’incendio.
Aveva ripetuto l’operazione almeno dieci volte, con scarsissimi risultati.
– Mosca, che ti ridi?
– Scusa, ma come pensi di spegnere un incendio con delle tazzine di caffè?
Per fortuna, non scoprimmo mai se ci sarebbe riuscita perché l’intervento provvidenziale del nostro vicino salvò la situazione, e la casa. Prese asciugamani e cuscini e cominciò ad abbatterli contro le fiamme. Quelle, lentamente, si spensero.
La moquette era andata, le ante Ikea anche. Ripararla mi costò un affitto e mezzo e una settimana di lavori.
A fare il trasloco mi aiutarono Letizia e Federico. Per la verità, mentre Letizia utilizzava con furia ed energia la brugola per assemblare i pezzi di uno scaffale Ikea, montava la cucina, attivava televisore e antenne varie, Federico, che avrebbe solo dovuto indicare ai trasportatori le stanze dove collocare gli scatoloni, si era addormentato sul letto nel pieno dell’azione. Al suo risveglio, le scatole erano indistintamente accatastate all’ingresso.
– Moscardelli, posso testimoniare che il materasso è molto comodo, se mai avessi avuto dei dubbi.
Lo guardai e gli sorrisi. Ero pronta per ricominciare.
Sí, perché, se c’era una lezione che avevo imparato dalla mia vita precedente, era che bisognava lavorare sodo per riuscire a liberarsi delle zavorre del passato e imparare cosí ad amare sé stesse e il proprio futuro. La felicità è dietro l’angolo ed essere felici non vuol dire avere il meglio di tutto, ma cercare di prendere il meglio da quello che è in nostro possesso. Non si sfugge dai propri demoni. Sono lí, dietro la porta, che ci aspettano. Sta a noi decidere se farli entrare e distruggerli o lasciarli dall’altra parte. Ma non smettono di esistere solo perché abbiamo deciso di ignorarli.
Woody Allen ha detto: «La vita è sostanzialmente tragica, ma qualche volta riesce a essere meravigliosa».
Ecco, il nostro dovere consiste nel tenerci stretto quel «qualche volta» e non dimenticarcene mai.