Saletta di un ristorante rustico con pretese.
Il tavolo che sarà al centro della storia è vicino a una parete imbiancata ruvidamente «alla spagnola».
In questa stessa parete si apre una porta a mezzi vetri a molla. Gli altri tavoli sono raggruppati piú lontano, tutti liberi e apparecchiati e si vedranno ogni tanto in rapide panoramiche.
Un grosso orologio antico piazzato su una consolle sta sospeso in mezzo alla parete e segna le 12.15.
Al tavolo sono seduti uno di fronte all’altro un uomo e una donna. Lei è magra, alta, si vedono le sue gambe lunghissime piegate all’indietro sotto la sedia, un tipo molto moderno, con i capelli lunghi e lisci, la faccia pallida e l’aria stanchissima e ansiosa, ha le mani secche piene di anelli e si tocca sempre i capelli.
Lui è un uomo molto nervoso, piú vecchio evidentemente di lei, ma al massimo quarantenne, alto e robusto, stempiato ma con molti capelli ricci.
Non sta fermo un secondo. Lei tace, guarda la tovaglia e si tocca i capelli. Lui tace, si agita, guarda la carta, il suo orologio, quello al muro, si allaccia e slaccia la giacca a quadri, volta la testa verso la sala e nel girarla scocca un’occhiata furente alla sua compagna.
UOMO (mormora appena)
Eccola là.
La ragazza abbozza un sorriso amaro e guarda ostentatamente di lato.
A un tratto, come spinta da una tromba d’aria, la porta a molla si apre decisa per lasciar passare la signora Lide. La signora è evidentemente la padrona. È vestita come a un ricevimento di provincia, ben pitturata, coi capelli corvini «in su» e voluminosi. Si dirige sicura verso il tavolo ostentando una gran finezza e aguzzando occhi e muscoli facciali per capire di che genere di clienti si tratti.
LIDE
Scusino se ho fatto attendere...
Si stropiccia le mani come se avesse appena finito di lavarsele.
Purtroppo abbiamo preso su gli orari di Roma anche noi...
Dà un’occhiata all’orologio in alto.
È venuto il mio capo cameriere a dirmi che c’erano i signori... vuol credere? non ero ancora pronta...
Si tocca la spilla sul petto, l’occhio vigile la avverte che i due seguono poco le sue parole:
Cominciamo con un bell’affettato?... ho una salama proprio di casa, la facciamo noi in campagna, guardi è squisita, è tutta di bestia, ci metto anche due fettine di prosciutto di quello dolce dolce?... casalingo come sopra... oh, scusi signore sono mortificata, perdoni, purtroppo al giorno d’oggi il personale...
Ha afferrato un bicchiere che forse non è neanche sporco e lo rigira contro luce, poi raccoglie decisa anche gli altri bicchieri e li porge a un vecchio cameriere robusto, piccolotto e compunto:
Garfagni... scusi Garfagni, faccia un po’ vedere di là... ha capito a chi?... ecco... che indecenza, scusi il termine signora.
L’uomo sospende un attimo il suo costante agitarsi e fissa ironicamente la sua compagna.
UOMO
Ti chiede scusa per il termine. Perspicace!
Lei alza la testa lentamente e sorride nel vuoto.
DONNA
Eh! forse sí...
Lide, per sottolineare la sua discrezione, si guarda addosso, toccandosi con grandi manate le tasche.
LIDE
O Santa Celeste, il carnet...
Il maître sta uscendo dalla cucina.
Garfagni, mi dia mo’ il suo carnet un attimo che prendo l’ordinazione, il mio l’ho lasciato in cucina e bisogna che non ci vado per un cinque minuti se no sbotto... io non so in che ramo è il signore, ma certo che dappertutto ormai le maestranze...
Il maître fermo a poca distanza le fa dei cenni.
...