Il taxi percorse veloce Oxford Street e si immise su Charing Cross Road. Frieda teneva la borsa da viaggio sulle ginocchia e la valigia ai piedi. Aveva lo stomaco sottosopra per l’ansia e il nervosismo. E se lui alla fine aveva cambiato idea? Se avere come amante un’attempata madre di tre figli cominciava ad andargli stretto e a sembrargli una responsabilità troppo grossa? E nel caso fosse venuto avrebbe comunque chiesto di Ernest. Come avrebbe fatto lei a giustificarsi?
Aprí la borsa. Le lettere di Otto erano in cima, dove le aveva messe dopo il viaggio in treno. Aveva deciso di tenerne una nella camicetta, come un monile segreto. Come cinque anni prima, quando era tornata da Monaco. Infilò la prima lettera della pila tra i bottoni di madreperla della camicetta e la fece scivolare nel corsetto. Aveva la pelle umida e sperava che il sudore non facesse sbiadire l’inchiostro. Quanto sarebbe stato bello poter fare a meno di indossare tutti quei ridicoli capi. Se non fosse stato per la disapprovazione di sua madre, il corsetto non se lo sarebbe proprio portato. L’avrebbe buttato nel falò del giardiniere. Le tagliava la carne, stringeva le costole, graffiava sulle anche.
Scese dal taxi e si ritrovò in un vortice di traffico: omnibus, cavalli, automobili, biciclette, un carretto dei gelati, un carretto per il trasporto degli alcolici. In mezzo alla nuvola di calore che incombeva sul traffico, Frieda intravide Lorenzo che a sua volta scrutava i volti della folla – schiena dritta, capelli ben divisi e pettinati. Il cuore di Frieda era in subbuglio. Perché aveva dubitato di lui?
– Lorenzo! – Avrebbe dovuto darsi una sistemata ai capelli e incipriarsi il naso, asciugarsi il sudore e lo sporco che si era raccolto nelle pieghe della pelle, ma era troppo tardi. Lorenzo doveva prenderla per come era.
– Sono qui, Lorenzo! – Avrebbe voluto buttargli le braccia al collo, proprio lí davanti ai cavalli che defecavano coperti di mosche, ai signori compassati con la bombetta in testa che facevano la fila all’ufficio cambi, alle governanti ignare tutte impettite con le loro carrozzine luccicanti, ai gatti rinsecchiti che osservavano nell’ombra.
– Grazie al cielo sei arrivata –. Lorenzo la strinse a sé. – Ero in un vortice di follia, come un povero cretino frastornato –. Si staccò da lei e diede un lungo colpo di tosse catarrosa. – Come l’ha presa Weekley? Cos’ha detto?
Frieda si asciugò la fronte con un fazzoletto. Sentí l’improvviso desiderio di trovarsi già sull’imbarcazione: aria di mare sulla pelle, fresca e salmastra, i gabbiani che volteggiavano in alto per poi fiondarsi giú, le bianche scogliere di Dover che si allontanavano e diventavano sempre piú piccole. – Non hai nessun bagaglio?
– Ho un taccuino e un cambio di vestiti –. Nell’altra mano aveva una piccola valigia grande abbastanza per contenere qualche capo di biancheria intima. – Weekley ha accettato di concederti il divorzio? Io ti voglio sposare il prima possibile. Tu sai quanto è importante il matrimonio per me, no?
Frieda deglutí. Aveva molto caldo, si sentiva in fiamme. La gola era secca e le pizzicava.
– Dobbiamo sposarci, mia Ape Regina. Lui deve concederti il divorzio. Non me ne frega niente di quello che ci costerà.
– E i bambini? – Aveva una specie di formicolio in tutta la bocca, e le parole le uscirono come un’unica nota stonata.
– Ha detto che possiamo prenderli con noi? – Lui indicò la banchina. – Potrai raccontarmi tutto quando saremo in treno. E una volta in Germania potremo stare insieme, apertamente e onestamente.
Frieda annuí. Le serviva piú tempo per comporre le sue risposte, per trovare le parole giuste, per prepararlo alla delusione. Le facce dei suoi figli continuavano a ballarle davanti agli occhi: Monty in giardino con la sua trottola, Elsa e Barby con i loro vestiti a righe che divoravano con cocciutaggine caramelle effervescenti al limone. Un dolore sordo cominciò a roderla dalla bocca dello stomaco. Come avrebbero mai potuto vivere dei miseri guadagni di Lorenzo? No, era ridicolo, impossibile.
– Dobbiamo chiamare un facchino, – disse lei indicando la valigia e la borsa da viaggio.
– Sciocchezze –. Lorenzo prese i bagagli e con passo sicuro si diresse verso il binario; la sua voce le arrivò alta e stridula. – Odio l’Inghilterra e aborro Londra. È come un enorme e vetusto inferno… Dove il traffico scorre come i fiumi degli inferi. Andiamo, Ape Regina.
Lei lo seguí, sentendo il calore dell’aria e delle piastrelle sotto i suoi piedi e il calore che le pulsava nelle vene e che effondeva dalla pelle. – In Germania sarà piú fresco, almeno spero, – disse, affrettando il passo mentre le lunghe gambe nere di Lorenzo scomparivano in mezzo alla folla. Forse sarebbe riuscita a ragionare con maggiore lucidità senza dover combattere con quel caldo infernale.
E poi fu di nuovo accanto a lei, gli occhi azzurri mordaci e la faccia pallida appena colorata di un rosa tenue. – In Germania potremo stare insieme come si deve: un’unione assoluta, spirituale e mistica. Saremo come due stelle, ci daremo equilibrio a vicenda. Capisci cosa intendo?
Frieda annuí, ma sentiva qualcosa di oscuro, un’incertezza che le si agitava dentro. E tutto d’un tratto capí perché non era riuscita a parlare apertamente con Ernest, perché non gli aveva detto di Lorenzo. Non voleva risposarsi. Non voleva scambiare una vita matrimoniale con un’altra. Aveva bisogno di piú tempo. Aprí le labbra, in cerca delle parole giuste. Ma non fece in tempo. Lorenzo le aveva avvicinato la bocca all’orecchio e le parlava con una tale urgenza che si sentí incapace di interromperlo.
– Ho avuto tanta paura, ero molto preoccupato. Pensavo che Weekley ti avrebbe uccisa. È il tipo di uomo che può rivelarsi un bruto. Glielo si legge negli occhi. Come un’anguilla che sbuca dal fango e morde rabbiosa e non molla. Ma ti ha lasciato andare; e adesso siamo liberi!
Frieda fece una smorfia e si morse il labbro. Ernest non si era affatto rivelato un bruto né un’anguilla rabbiosa. Le venne in mente che forse Ernest non l’aveva mai amata, che avrebbe lasciato andare lei e i bambini senza opporsi, sollevato dalla loro partenza. Cosí si sarebbe potuto concentrare interamente sul suo libro e sulla sua collezione di prime edizioni. Sentí una fitta di dolore. Quei tredici anni erano stati soltanto apparenza?
– In Germania ti amerò alla follia, spinto solo dalla passione piú pura e scatenata! – Lorenzo si perse di nuovo in mezzo alla calca.
Sentí un brivido che dalla testa le scese lungo la spina dorsale, e ogni centimetro del suo corpo cominciò a formicolarle. Il corpo allampanato di Lawrence si faceva largo tra la folla, ma era come se le sue parole le saltassero davanti alla faccia… «spinto solo dalla passione piú pura e scatenata»… Sí, era cosí che voleva vivere, non per le apparenze o per convenienza, ma per la passione piú pura e scatenata.
Barby arricciò il naso, preparandosi a quell’odore che conosceva bene. Lo sentí già quando la nonna aprí la porta di casa; con il caldo era ancora piú pungente. Lanciò un’occhiata a Elsa da dietro le spalle di Maude e si turò il naso con un gesto teatrale, sperando in una risata da parte della sorella, in un breve momento di intimità tra loro, qualcosa in grado di riempire quel piccolo senso di vuoto che sentiva dentro. Ma Elsa la guardò di traverso e scosse la testa, come se fosse diventata improvvisamente adulta, un’altra persona.
– Entrate, bambine –. La zia Maude se ne stava leggermente in disparte e Barby notò che le sue spalle erano un po’ piú sollevate e curve, come se dovessero sopportare il peso di un’enorme scatola invisibile. Quando lei e Elsa entrarono nell’atrio angusto e buio della casa, la zia Maude si attardò fuori ad armeggiare con i guanti e la logora borsetta a rete ricamata che le pendeva sempre dal polso.
– Charles? Charles? Sono arrivate. Sane e salve da Nottingham nonostante il caldo terribile. Il vetturino ha lasciato fuori il loro baule. Aiuteresti Maude a portarlo dentro? Non so che cosa ci ha messo dentro Frieda. Una biblioteca intera, si direbbe. È pieno di libri, questo baule? – La nonna si strappò via la spilla dal cappellino e la puntò con fare accusatorio verso il baule.
– Papà ci teneva che continuassimo a leggere e a studiare, – si affrettò a precisare Elsa.
– Ernest non è certo una suffragetta e quindi il perché di tutto questo mi sfugge. Oppure è Frieda a essere diventata una suffragetta adesso? Se Maude porta quel baule su per le scale finisce per rompersi la schiena. Charles? Vieni o no?
Il nonno Charles arrivò in corridoio con passo pesante. La barba, un tempo venata di qualche filo grigio, adesso era completamente bianca. Gli occhi da gufo gli erano sprofondati nelle orbite. Era alto e magro e vedendolo lí davanti a lei, imponente com’era, Barby percepí tutta la sua solenne pietà. «Essere in sua presenza è come essere in chiesa», pensò.
– Date un bacio al nonno, bambine, – ordinò la nonna. – Forza! Maude sta aspettando di portare su il vostro baule.
Il nonno Charles chinò lentamente la testa verso di lei; Barby sentí lo scricchiolio delle ossa e il solletico della barba sulla guancia. – Grazie della tua ospitalità, nonno, – disse, ricordando le istruzioni del padre.
– Prego, Barbara –. Il nonno Charles abbassò verso Elsa la barba bianca come la neve.
– Grazie per ospitarci nella tua bellissima casa, nonno, e noi ti promettiamo di essere il piú servizievoli possibile –. Le parole di Elsa uscirono piatte e tutte d’un fiato come se le avesse imparate a memoria. Barby lanciò alla sorella uno sguardo di disgusto. Quella era tutt’altro che una «bellissima casa». Era orribile e puzzava di topo morto, cavoli bolliti all’inverosimile e canfora tutto insieme.
– Sei una brava bambina, Elsa –. Il nonno Charles le diede una rigida carezza sulla testa. Aveva la fronte imperlata di sudore.
– Maude e il nonno porteranno su i vostri bauli, e poi potrete accompagnare il nonno ad assistere i bisognosi –. La nonna fece un momento di pausa come per dare maggiore enfasi a questa informazione. – Vi farà bene vedere come vivono i poveri e i senzatetto.
Barby sapeva cosa significava tutto questo: un pomeriggio in giro con il nonno a dare monete ai bisognosi o ad aiutare le famiglie senza tetto a spostare i loro miseri possedimenti nel ricovero per i poveri. E quando tornavano a casa, la nonna cominciava a interrogarle su cosa avevano visto. – Cosí la finite di darvi tante arie, – diceva con il naso sollevato al cielo. – Vostra madre sarà pure nata con la camicia, ma voi non siete diverse dalle altre pecorelle del gregge di Dio, non dimenticatelo mai.
Quando la coincidenza per la nave lasciò Londra, la brezza cacciò gentilmente l’aria stantia dal vagone facendo posto a una ventata di aria fresca che aveva un vago sentore di erba tagliata e terra appena smossa. I passeggeri smisero di sventolarsi con i giornali e s’infilarono i fazzoletti in tasca. Frieda rimase in attesa che Lorenzo ricominciasse con le sue domande su Ernest.
E invece lui la fissava e basta, cosí attentamente che sembrava volesse imprimersela nella memoria: ogni ruga della faccia, ogni lentiggine, ogni fossetta, i contorni delle labbra e delle guance, tutto. Di solito le faceva piacere essere guardata da lui, ma stavolta trovò la cosa un po’ inquietante. Le venne in mente l’immagine di un leone davanti a una carcassa, che leccava e strappava ogni brandello di carne, ogni membrana, prima di cominciare a rosicchiare ostinatamente anche le ossa. Arricciò le labbra, scoprí i denti e imitò il ruggito di un leone. – Mi ricordi un leone, Lorenzo, – disse ridendo. – L’intensità dei tuoi occhi –. Frieda avvertiva lo sguardo degli altri passeggeri che scivolava furtivo verso il suo anulare, sapeva che facevano congetture sul suo accento tedesco, e si chiedevano come mai una signora cosí ben vestita e piú anziana avesse un atteggiamento cosí intimo con un giovanotto che parlava in dialetto, portava indumenti dozzinali e della taglia sbagliata e aveva una valigia di cartone con i rinforzi tutti storti.
– E quando mai li hai visti gli occhi di un leone, tu?
– Allo zoo. Quando mangiano capisci che non pensano ad altro. Solo a mangiare. E invece io penso sempre a un sacco di cose contemporaneamente.
– E allora, quali sarebbero tutti questi pensieri che frullano nella tua bella testa baronale?
– Oh, sono perlopiú pensieri molto noiosi. Tende da lavare. Inviti e lettere a cui devo rispondere. Calzini da rammendare. Cose che devo comprare: l’inchiostro per Ernest, regali di compleanno, una nuova spazzola per capelli per le bambine –. Fece un sospiro e agitò le mani come per disperdere questi pensieri penosi nello scompartimento del treno, passarli alla calca di passeggeri che origliavano attorno a loro.
– Dimmi come ti senti –. Il suo sguardo – diretto, schietto, azzurro – sembrò penetrarla da parte a parte e di nuovo lei provò quella strana, elettrizzante sensazione di essere spaccata in due, come un fico. Si chiese se Lorenzo fosse realmente in grado di guardarla dentro, se sapesse già cosa era successo...