14 aprile 1927
Incomincio questo diario sperando che venga pubblicato in avvenire.
Io non son fatto per i diarii perché, quello che sento e che ho provato, mi piace tenerlo per me.
Però tenterò d’incominciare. Non son capace di non nascondere qualche cosa.
Ieri sono stato a bere alla stazione. X, un agitatore sindacale, ha giuocato con me a chi doveva pagare. Y e Z ne godevano senza alcun pericolo di rimetterci quattrini. In conclusione chi ha pagato di piú sono stato io. La colpa di tutto sono stato io. Eravamo al centro. Io che non ho compagni da Baracca, sento ogni tanto il desiderio di averne. Perciò vedendo X, Y e Z, miei derisori, mi è venuto in mente di andare in carrozza con loro alla stazione per bere – (che scimunitaggine!) – ho fatto la proposta – l’hanno accettata… abbiamo bevuto vari bicchierini in un bar. Di volta in volta che c’era da fare delle spese ce le giuocavamo fra me e X. Sono tornato a casa alle due di notte. Era quasi un anno che non rincasava cosí tardi per quelle sciocchezze. Oggi Ciarlantini1 l’ha saputo. Mi ha incominciato a dire che sono un imbecille ad andare con quella gente. X non è onesto, si guadagna anche i denari spettanti a chi manca il pane – almeno cosí ha detto Ciarlantini.
Ha trovato a ridire perché vado in certi posti.
Oh bella – che ho d’andare con le donne moderne?
Anche oggi ho fumato varie sigarette.
15 aprile 1927
Mi sono alzato alle 11 dopo esser rimasto a letto per piú di due ore, sveglio, a pensare ad alzarmi e a fantasticare. Che mattacchioncello quel Rousseau. Ho incominciato quest’oggi a leggerlo. Mi dispiace che dica cose che ho pensato, ma mi sono consolato perché ho trovato che dice anche delle stupidaggini tipo secolo nostro. Del resto vedrò – per ora ho letto solamente poche pagine dell’Emilio.
Alla lezione di scherma, ho tirato con la mia solita lentezza. Temo di essere torbido in molte cose.
Ciarlantini mi ha fatto lezione di storia. Leggendola io stesso. La lezione è stata piú interessante di quelle che Ciarlantini mi tiene su Dante, leggendo e declamando lui stesso i canti della Divina Commedia.
Mi sembra di essere stato abbastanza buono in casa. Non ho fatto scene. Domani spero di alzarmi presto.
16 aprile 1927
Mi sono alzato tardi. Domani vedremo. Ho fumato. Avrei molte cose da dire, ma una indicibile mancanza di volontà tende a farmi smettere dallo scrivere questo diario.
Quest’oggi Ciarlantini mi ha parlato di un disertore, del quale ho già sentito parlare altra volta. E dire che vogliamo colpire tutti – e poi non ci attentiamo di far scomparire dalla circolazione questo individuo.
Si chiama Vincenzi.
Che strano…
È uno di quelli che cooperarono o presero parte all’affondamento della Leonardo Da Vinci della qual cosa tanto sofferse la patria nostra.
Questo corpo ha una forza enorme, ragione per cui nessuno pensa a liberarsi della sua presenza. Ha la vera faccia del delinquente. E gira cosí – a piede libero. È inscritto nel casellario giudiziario col bel titolo di «Spia internazionale – truffatore» ecc.
Molti picchiatori che si vantano di batter questa o quest’altra persona – di quelli giovani nuovi, i quali essendo ubbriachi, si vantano di essere irascibili, nervosi, imbattibili, hanno confessato di non poter affrontare la «spia internazionale»… per mancanza di coraggio.
Ma allora perché, essendo buoni giovani (come dice Ciarlantini), picchiano chi dà loro fastidio, quando alla prima occasione che capiti di grave pericolo si ritirano confusi e vili?
Ciarlantini non può e non deve essere di questi.
Ho letto la prima parte dell’Uomo nuovo di Antonio Beltramelli. Parla della Romagna. Come la descrive bene. Come parla di quei suoi bollenti melanconici repubblicani romagnoli!
Sí. Togliete alla Romagna la repubblica e poi farete morire di nefandezza quelle genti meravigliose. Sapete perché gridano e bevono e fanno i «bravacci» i Romagnoli?
Per soffocare quell’interna nostalgia del Mistero, che se soddisfatta, diventerebbero tutti santi.
Bravo Beltramelli!
Oh potessi alzarmi alle cinque domani mattina e lavarmi col ghiaccio – come il romagnolo sente, tutti i giorni, il dovere di fare.
17 aprile 1927. Pasqua
Mi sono alzato tardi. Ho fumato. Ma quel che piú importa ho litigato e ho fatto soffrire tutti, perché questa mattina, alzandomi, mi mancava un paio di calze da mettermi. Da ciò la scusa, e ho litigato. Quante volte prego perché io possa diventare migliore! Ma è inutile, fino ad ora non sono ancora riuscito a nulla. Ho continuato la lettura dell’Uomo nuovo di Beltramelli. È un libro che mi piace, ma si vede che lo scrittore molte volte posa a volerne sapere troppo. È senza dubbio la migliore bibliografia2 di Mussolini che finora sia stata scritta.
Questa sera, dopo cena mi son messo a scrivere una pagina. Ne è venuta fuori una cosa insensata. Volevo scrivere una novella. Non riesco mai ad imprimere il mio pensiero in qualche cosa. Non faccio mai niente di buono.
Ho bevuto a caffè, tre bicchieri di vino con Ciarlantini e col fischietto ho tentato od ho creduto di prendere in giro la gente che passava. Ciarlantini credo facesse ugualmente. Egli crede che io lo segua persino quando fa delle scemenze.
Io credo cosí. Ma poi cambio spesso d’opinione. Ciarlantini dev’essere davvero una persona intelligente. Ma quel che piú importa è che intelligente lo voglio essere io. Domani vedremo cosa combinerò di buono.
18 aprile
Quest’oggi, giornata di forti emozioni – e di pochi pensieri.
Alzato tardi – fumato – sceneggiato.
Questa ho saputo, a casa mia; che in campagna, i contadini, per fare dispetti al padrone, mettevano le mani sporche e che so io d’altro sulle vivande e si godevano a chi faceva piú porcherie in onore del padrone.
Mi hanno sgridato, perché io – nel modo in cui mi porto in casa – invoglio i villani a farmi di questa roba.
E infatti se io avessi meno storie sul mangiare e gridassi meno contro le serve, che si lavino: queste cose non me le farebbero.
Che tristezza! Come devo fare a migliorarmi? Faccio continuamente soffrire tutti.
Quest’oggi Ciarlantini non si è visto che prima di colazione.
Bei pensieri prodottimi dalle cose sapute a cena. Sono andato al cinematografo con una combriccola di giovani stupidi, insulsi, villani e posatori 〈…〉.
Sono amici di Zaglia e Poltri.
Quelli sí che sono vuoti!
E dire che io voglio essere forte e andare da solo e continuamente mi lascio prendere in giro da quelle cagate viventi.
A me piacerebbe molto stabilirmi in campagna ma col mio carattere temo che in pochi mesi la mia fortuna s’involi. Allora sí, che starei bene!
Sembra che il Destino sia contro di me.
Tutto mi è avverso. Perfino il Pensiero che sembra non voglia creare ciò che vorrei.
Che farei se io stupido come sono mi lasciassi prendere dalla gente quello che possiedo?
Potessi almeno lavorare con la testa.
Ma quella, nel modo che mi funziona non va agli uomini.
È vero che io mi credo intelligentissimo, ma penso in un modo, che molte volte mi domando: di quale intelligenza sono io impastato?
Povero illuso della vita, mi diceva questa sera quel villano pesca-professioni di quello pseudo tedesco di Talpot.
Se io gli dico:
Povero illuso, nella tua soddisfazione di non essere, che credi anche di vedere della gente che s’illuda. Tu vivi, e perciò t’illudi.
Io sono illuso – per te che t’illudi – perché tu vivi interamente; mentre io no.
«Migliorarci» in quanti hanno proclamato qui sopra.
Che buffonacci questi illusi.
buono – cattivo – bello – brutto – stupido – intelligente.
Ma dove? mi domando.
27 aprile 1927
È molto che non scrivo in questo diario, appena incominciato. Le cose, io le faccio tutte come scrivo questo diario.
Alle corse sono andato con un vestito nuovo. Mi dispiace che, in questa settimana, io abbia pensato solamente ad essere elegante; ciò mi disgusta.
Ho finito di leggere il primo libro dell’Emilio. Sembrami che il Sig. Rousseau, con tutto il suo semplice modo di educare alla selvaggia, sia troppo istruito. Egli per arrivare a dire che il genere di vita condotto dai primitivi è migliore di quello condotto dai civilizzati ha dovuto studiare ed istruirsi in molti rami della disprezzata scienza.
Persona intelligente, per aver capito la verità, ma anima poco semplice, per aver avuto bisogno di studiare tutto per capire la verità.
Ho abbandonato la lettura dell’Uomo nuovo di Antonio Beltramelli. Pagine. Pagine – pagine – inutili pagine sono in quel libro che ha pur qualche cosa di bello.
Il mio carattere non ha, in questo tempo, cambiato e ho fumato molto di piú degli altri giorni.
Donne tinte nude e modernizzanti, alle corse. Quella ragazza che mi piaceva e per la quale ho pensato tanto non c’era.
Ballerine da tennis club!
Paesane esaltate dai cinematografi!
Meglio non averla vista, poiché è bellina assai e mi sarebbe potuta piacere un’altra volta, malgrado tutta la sua stupidaggine di stupida, paesana, donnetta, elegante, infatuata di modernismi antiquati-isterico inamericanati.
Vorrei sapere di che vive ora la gente. Fuori i quattrini. Tutti hanno grandi ricchezze. Tutti spendono enormemente.
Ma molti falliscono e tutti rubano scientificamente, alla moderna. Chi non paga i conti. Chi facendo l’industriale, ne deruba un altro con eleganti strategiche mosse di Borsa.
I ladri, i veri ladri, sono ben guardati e quasi mai riescono nei loro colpi.
Gli industriali, rubano tutti, e sono sempre persone oneste, temute e rispettate.
Se si continua col Dio quattrino faremo ben presto dell’Italia una succursale di qualche banca americana.
Se si continua col piacere, faremo ben presto dell’Italia una brutta copia della Francia.
Ieri, con Lipparini, non ho potuto andare a cena. Il Sig. Ciarlantini non si è degnato nemmeno di venirmi a prendere per andare a prendere Lipparini alla Stazione. A me è seccato, perché tutte le stupidaggini mi piacciono molto.
Della conferenza su Carducci Pascoli e D’Annunzio ho ascoltato poco, e niente ne potrei dire.
Mi sono divertito, quando alla caserma vicina, suonavano il silenzio. Quella sí che era musica. Altro che Lipparini. Dopo tutto costui non è antipatico del tutto.
Dopo la conferenza, siamo andati a bere con altri stupidi professori, per tenere compagnia a Lipparini. Beve molto.
Oggi. Che ho fatto oggi? Ho rifiutato di prendere lezione da Ciarlantini.
Ho letto il XVI canto della Divina Commedia. Temo, (dico temo) che Dante Alighieri e che tutto l’estro poetico di tutti i poeti non sia che artificio. Bello. E anch’io sono spesso travolto dalla passione di questo Dante. Ma quando lo vedo cosí preciso, cosí matematico, cosí pentito e cosí viziosamente universale lo vedo anch’esso gettato nel 7° cerchio.
Diceva ieri il Dottor Faggi: Dante è il Marinetti del quattordicesimo secolo. C’è ancora della differenza. Dante non era corrotto dall’americano. Marinetti invece lo è.
Il progresso ha portato al mondo dei Marinetti, il quale vorrebbe che tutto il mondo fosse un’officina, un ufficio, un macchinario. Perciò piú nessuna ragione di vivere.
Ci si potrebbe ammazzare senza scrupoli che, vivendo, si andrebbe all’inferno ugualmente.
28 aprile
Sono in un’estasi letteraria fortissima. Il mio animo è tutto esaltato dai miei capilavori.
Ho fatto il cattivo in famiglia, per via che nel caffè-latte c’erano gli occhioni, che io chiamo, d’olio.
Vorrei fare molto, e invece non faccio niente. Mi stanco subito, anche a leggere la Divina Commedia.
Che farò? Ogni momento, faccio dei proponimenti per riabilitarmi nello studio, e mi sembra sempre che dovrei riuscire, ma a sera prendo vanto della mia ignavia, e ogni mio buon sogno rimane cassato.
La storia non la leggo troppo. Mi dimentico gran parte – e leggere una seconda volta quello che ho già letto mi dà fastidio.
Tutti mi prendono in giro. Perché?
Quell’asino di quel maestrino, Cognetti, mi ha detto che nel Cenobio tengo il posto di Segretario dell’Ignoranza.
Ci vuole però un bell’imbecille.
Pensare, che lo dico sempre io, che nel Cenobio rappresento il Presidente per la parte artistica dell’analfabetismo!
Ma io spero che dovrà passar presto anche questo mio (paranoicismo).
Un giorno o l’altro potrò dire a tutti, anche senza aver studiato niente:
Andate là, che ne so piú di voi – e lontani da me, gente mal creata!
Quest’oggi mi sono sentito abbastanza contento di me stesso.
Attendo da me cose strabilianti.
Sempre mi sento umiliato di me stesso, perché non ho ancora, alla mia età, nessun titolo di studio.
Ma a che serve quella roba?
A creare gli imbecilli, per farli dimentichi di tutto, e lasciarli con la magra soddisfazione di poter dire:
«Io so vivere – Non ho perduto tempo – Ho molto Buon senso che mi fa emergere nella società»
Io non mi venderò mai a quella dottrina suggerita dal «Passo dell’Acheronte»
1° maggio
Ho incominciato a scrivere il romanzo di Ricciarello dal 28 aprile. Mi son messo a farne quattro pagine al giorno. Sono entusiasta di questo mio lavoro. Ne attendo un grande capolavoro.
Purtroppo non sono padrone della sintassi e credo, anche, della grammatica. ...