Lo scarafaggio
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Lo scarafaggio

  1. 104 pagine
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Lo scarafaggio

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Jim Sams si sveglia da sogni inquieti per ritrovarsi trasformato, dallo scarafaggio che era, in un essere umano. Nel corso della notte la creatura che fino al giorno prima sfrecciava tra mucchi di immondizia e canaline di scolo è diventata il piú importante leader politico del suo tempo: il primo ministro inglese. Tuttavia, forte della grande capacità di ogni scarafaggio di sopravvivere, Jim Sams si adatta rapidamente al nuovo corpo. In breve presiede le riunioni del Consiglio dei ministri, dove si rende conto che gran parte del suo Gabinetto ha subito la stessa sorte e che quegli scarafaggi trasformati in umani sono piú che disposti ad abbracciare le sue innovative idee di governo. I capi di stato stranieri sembrano sconcertati dalle mosse arroganti e avventate di Jim Sams, a eccezione del presidente degli Stati Uniti d'America, che lo appoggia con entusiasmo. Qualunque riferimento a fatti realmente accaduti e persone realmente esistenti non sembra da escludere. Con l'intelligenza, lo spirito e la caustica ironia che gli sono inconfondibilmente propri, Ian McEwan rende omaggio al genio di Franz Kafka e alla tradizione satirica inglese che ha in Jonathan Swift il suo piú eminente rappresentante. Questa metamorfosi al contrario diventa una lente attraverso cui osservare un mondo ormai del tutto sottosopra. «Il populismo - scrive McEwan nella postfazione - ignaro della sua stessa ignoranza, tra farfugliamenti di sangue e suolo, assurdi principî nativistici e drammatica indifferenza al problema dei cambiamenti climatici, potrebbe in futuro evocare altri mostri, alcuni dei quali assai piú violenti e nefasti perfino della Brexit. Ma in ciascuna declinazione del mostro, a prosperare sarà sempre lo spirito dello scarafaggio. Tanto vale che impariamo a conoscerla bene, questa creatura, se vogliamo sconfiggerla. E io confido che ci riusciremo».

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2020
ISBN
9788858433423

Due

Le origini dell’Inversionismo sono oscure e molto dibattute tra chi se ne cura. Per gran parte della sua storia, il movimento è stato considerato un’ipotesi di scuola, un gioco del dopocena, una boutade. Era appannaggio di individui eccentrici e lupi solitari, di quelli che tempestano compulsivamente i giornali di sproloqui avvelenati. Gente capace di tenderti un agguato al pub e tediarti per un’ora. L’idea in sé, d’altra parte, una volta adottata, cominciò, per alcuni, a risplendere di semplicità e bellezza. Un’inversione di rotta del flusso finanziario e l’intero sistema economico, per non dire l’intero paese, ne sarebbe uscito purificato, libero da ingiustizie, sprechi e insulsaggini. Alla conclusione di una settimana di lavoro, una dipendente paga alla ditta le ore svolte. Quando va a fare la spesa, tuttavia, trova ampia ricompensa, a prezzi al dettaglio, per ogni articolo che si porta a casa. La legge le impedisce di accumulare contante. Il denaro che deposita in banca alla fine di una dura giornata al centro commerciale produce alti tassi di interesse negativi. Prima che i suoi risparmi si riducano a zero, la nostra lavoratrice sarà perciò tanto saggia da mettersi in cerca di un impiego, o di qualificazioni professionali, piú costosi. Migliore, e quindi piú dispendioso, è il lavoro che rimedia, e piú si vedrà costretta a comprare per poterselo permettere. L’economia è stimolata, aumenta il numero dei lavoratori qualificati, tutti hanno qualcosa da guadagnarci. Il padrone di casa diventa un instancabile consumatore di manufatti di ogni genere per poter pagare i suoi affittuari. Il governo installa impianti nucleari e incrementa la ricerca aerospaziale per poter elargire detrazioni fiscali ai lavoratori. I direttori di strutture alberghiere acquistano lo champagne migliore, le lenzuola piú raffinate, le orchidee piú rare e ingaggiano il trombettista della migliore orchestra in città, cosí che l’albergo possa permettersi i suoi ospiti. La mattina dopo una proficua serata nel salone da ballo, al trombettista toccherà impegnarsi in uno shopping sfrenato per potersi pagare l’esibizione successiva. Il risultato finale è la piena occupazione.
Due grandi economisti del diciassettesimo secolo, Thomas Mun e Josiah Child, alludono di passaggio a una politica monetaria a circolazione inversa, ma poi liquidano l’ipotesi senza tornarci sopra. Se non altro, questo ci conferma che la teoria esisteva. Non ne troviamo traccia tuttavia nell’opera seminale di Adam Smith, La ricchezza delle nazioni, e neppure in Malthus o Marx. Alla fine del diciannovesimo secolo, l’economista americano Francis Amasa Walker manifestò un certo interesse nel contro-orientamento del flusso di denaro, ma lo fece, a quanto pare, piú a livello di conversazione che nei suoi prestigiosi scritti. Nel 1944, alla cruciale conferenza di Bretton Woods, che sancí l’ordine economico postbellico e costituí il Fondo monetario internazionale, da una delle sottocommissioni partí un accorato appello debitamente messo a verbale, in favore dell’Inversionismo. A farsene portavoce fu il rappresentante paraguayano Jesus X. Velasquez che, pur non trovando sostenitori, è generalmente riconosciuto come il primo politico a utilizzare il termine in sede pubblica.
In Europa occidentale l’idea ha esercitato di quando in quando un suo fascino su gruppi di destra o estrema destra, in quanto è sembrato volesse limitare il potere e l’ingerenza dello stato. In Gran Bretagna, per esempio, fintanto che l’aliquota fiscale massima restava all’83% il governo avrebbe dovuto sborsare miliardi ai consumatori piú zelanti. Girò voce che Keith Joseph avesse tentato di interessare Margaret Thatcher all’«economia a flusso inverso», ma la statista non aveva tempo da dedicare al progetto. Senza contare che, in un’intervista dell’aprile 1980 alla Bbc, Sir Keith ribadí la completa falsità della diceria. Per tutti gli anni Novanta e Duemila, l’Inversionismo mantenne un profilo basso all’interno di vari gruppi indipendenti e meno noti think tank di centrodestra.
Quando il Partito inversionista entrò spettacolarmente in scena con il suo messaggio populista e anti-elitario, erano in tanti, perfino tra gli oppositori, ad aver già sentito parlare della tesi del «contro-flusso». E dopo che gli Inversionisti ebbero ottenuto l’approvazione del presidente americano Archie Tupper, ma soprattutto quando cominciarono a drenare voti alle altre formazioni, la risposta del Partito conservatore fu una lenta deriva verso la destra anche estrema. Tuttavia per i Conservatori tradizionali l’Inversionismo restava, nelle parole dell’ex cancelliere dello Scacchiere George Osborne, «l’idea piú idiota del mondo». Nessuno ricorda quale economista o giornalista abbia coniato il termine «Cronologisti» per indicare chi era a favore di una circolazione del denaro secondo il vecchio metodo sperimentato. Erano in molti a rivendicarne la paternità.
A sinistra, specie la «vecchia sinistra», c’era da sempre qualcuno sensibile al richiamo dell’Inversionismo. Una delle ragioni era la convinzione che avrebbe sostenuto i disoccupati. Sprovvisto di un impiego da pagare e ampiamente fornito di tempo per lo shopping, il disoccupato aveva buone possibilità di arricchirsi, se non in termini di denaro, almeno di beni di consumo. Frattanto, i ricchi di antica data non avrebbero trovato altro sistema per investire il loro patrimonio che attraverso l’acquisto di impieghi remunerativi. Quando gli elettori della classe operaia compresero l’entità dei guadagni resi possibili dall’iscrizione di un figlio a Eton o di una figlia al Cheltenham Ladies’ College, anche loro alzarono il livello delle ambizioni e cominciarono a disertare in favore della causa.
Al fine di consolidare il sostegno dell’elettorato e tenere buona l’ala inversionista del partito, durante la campagna elettorale del 2015 i Conservatori promisero un referendum sull’ipotesi di invertire il flusso di denaro. Quello che ottennero fu l’esito che non si aspettavano, in gran parte dovuto a un’alleanza di fatto tra i poveri e i vecchi di tutte le classi sociali. I primi, non avendo alcun interesse a mantenere lo status quo e nemmeno nulla da perdere, non vedevano l’ora di portarsi a casa beni di prima necessità non meno che di lusso, e di incamerare soldi seppure temporaneamente. I vecchi, complice l’indebolimento cognitivo, si lasciavano nostalgicamente attrarre da quella che interpretavano come una proposta per rimettere indietro le lancette dell’orologio. Entrambe le compagini, poveri come vecchi, risultavano animate da un livello variabile di zelo nazionalista. Con un geniale colpo da maestro, la stampa inversionista riuscí a far passare la causa per un dovere patriottico nonché una promessa di rinascimento nazionale e di decontaminazione: tutto ciò che non funzionava nel paese, dalle ineguaglianze in termini di benessere e di opportunità al divario Nord-Sud, alla stagnazione dei salari, dipendeva dall’orientamento del flusso monetario. Chi amava la propria patria e i compatrioti, era chiamato a rovesciare l’ordine esistente. Il vecchio andamento non aveva fatto altro che favorire gli interessi di una deplorevole élite dominante. «Fai girare i soldi» diventò uno dei tanti slogan irresistibili.
Il primo ministro che aveva indetto il referendum rassegnò immediatamente le dimissioni e scomparve dalla scena. Al suo posto emerse un candidato di compromesso, il tiepido Cronologista James Sams. Subito dopo la visita a Buckingham Palace, il neoeletto si impegnò sulla soglia di Downing Street a onorare la volontà del popolo. Si sarebbe fatto girare il denaro. Ma come molti economisti e altri commentatori avevano previsto sulle trascurate pagine di pubblicazioni specialistiche e accademiche, la faccenda si rivelò non facile. La prima vexata quaestio riguardava il commercio oltremare. Ai tedeschi non sarebbe parso vero di ricevere i nostri prodotti accompagnati dai nostri cospicui pagamenti. Ma di sicuro non avrebbero contraccambiato mandandoci le loro macchine imbottite di contante. Dato il nostro disavanzo commerciale, in breve tempo saremmo falliti.
Dunque come poteva fiorire l’economia inversionista in un mondo cronologista? Gli scambi con i nostri piú importanti partner commerciali, gli europei, si bloccarono. Passarono tre anni. Un Parlamento in larga misura cronologista, combattuto tra il buonsenso e la necessità di piegarsi al volere della gente, non aveva soluzioni pratiche da proporre. Sams aveva ereditato una maggioranza risicata e si agitava tra le diverse fazioni di scalmanati del suo partito. Ciononostante su certi giornali veniva definito Lucky Jim, perché sarebbe potuta andare anche molto peggio. Horace Crabbe, il leader dell’opposizione, era a sua volta un Inversionista della prima ora, ma della sinistra post-leninista.
Mentre Sams tergiversava e il suo Consiglio dei ministri restava diviso su svariate istanze programmatiche, una fazione purista andava rafforzando l’intransigenza delle posizioni fra i parlamentari della retroguardia, i cosiddetti backbenchers. La Gran Bretagna doveva andare per la propria strada e convertire il resto del mondo dando l’esempio. Se poi gli altri paesi non l’avessero seguita, peggio per loro. Era l’Inversionismo in Un Solo Paese, o IUSP, da alcuni ritenuto erroneamente l’abbreviazione di Ius Populi, che dunque divenne lo slogan piú ripetuto. Non era la prima volta che rimanevamo soli: era successo già nel 1940, dopo la sconfitta francese, quando il terrore della Germania nazista travolse l’Europa. Perché preoccuparsi delle loro automobili adesso? Sams però esitava, promettendo tutto a tutti. La gran parte degli economisti, insieme a stampa, imprenditori e all’intero settore finanziario, annunciarono la catastrofe economica quando Sams avesse scelto la via dell’Inversionismo duro. Banche, camere di compensazione, agenzie assicurative e multinazionali avevano già cominciato a delocalizzare all’estero. Eminenti scienziati insigniti del premio Nobel manifestavano il proprio sconforto in lettere di altissimo livello alla stampa. Ma per le strade, il grido popolare era forte e sincero: Avanti tutta! Si andava diffondendo un clima di rabbia, un ragionevole sospetto di essere stati ingannati. La vignetta di un quotidiano ritraeva Jim Sams nei panni del Gloucester del Re Lear, quando, accecato, vacilla sull’orlo della scogliera di gesso, mentre Edgar, alias un John Bull inversionista senza se e senza ma, lo incita a gettarsi.
Poi d’improvviso, tra lo sbigottimento generale, Sams e il suo tentennante Consiglio dei ministri parvero rimediare il coraggio necessario. Erano pronti a saltare.
Quando ebbe visto in ogni paio d’occhi attorno al tavolo, e non appena fu certo di riuscire a non esplodere in un gioioso inno feromonale, il primo ministro pronunciò qualche sobria parola di benvenuto. La voce gli uscí bassa e monocorde. Un muscolo gli si contraeva ritmicamente all’altezza dello zigomo destro. Non l’aveva mai notato nessuno, in precedenza. Durante il preambolo introduttivo Jim accennò un’unica volta, e brevemente, alla loro condivisa natura parlando del suo «nuovo» Gabinetto che da quel momento si sarebbe espresso compatto a ogni votazione in Parlamento. Basta con l’indisciplina. Era tempo di un’obbedienza salda e unanime. Seguí un ronzante e sostenuto mormorio di assenso attorno al tavolo. Erano tutti concordi, un manipolo di individui animati dallo stesso fervido proposito.
Al lavoro, dunque. Uscendo da lí, avrebbero trovato copia di un recente sondaggio sulle previsioni di voto: dovevano prenderlo e studiarselo a fondo. Prestando attenzione a un dato in particolare: i due terzi degli elettori di fascia compresa tra i venticinque e i trentaquattro anni manifestavano il desiderio di un leader forte che «possa sorvolare sulla volontà del Parlamento».
– Per il momento non possiamo, – disse Jim. – Ma… – e lasciò l’avversativa in sospeso sulla sala ammutolita. Proseguí. – Il Disegno di legge inversionista rinviato tornerà in Parlamento fra tre mesi. Tutti gli emendamenti dell’opposizione dovranno essere bocciati. Le misure di adattamento saranno avviate a partire da oggi stesso. Il cancelliere ve lo può confermare: spenderemo otto miliardi in accordi di transizione.
Il cancelliere dello Scacchiere, un ometto scostante dalle sopracciglia grigio chiare e il pizzetto bianco, soffocò la momentanea sorpresa in un saggio cenno di assenso.
Il primo ministro ricambiò annuendo a sua volta e producendosi in un sorriso teso a labbra serrate. Vincere senza rischio è come trionfare senza gloria. – A questo punto credo dobbiate sapere. Ho fissato il Giorno dell’Inversionismo. Il fatidico I-Day sarà il 25 di dicembre, con i negozi tutti chiusi. Cosí, i saldi post-natalizi faranno schizzare in alto il Pil.
Si guardò attorno. Lo osservavano tutti attentamente. Non una sola persona che scarabocchiasse sui bloc-notes in dotazione. Jim sollevò le braccia e intrecciò le dita sulla nuca, una sensazione assai piacevole.
– Ovviamente saremo a favore del quantitative easing, stampando moneta di modo che i grandi magazzini si possano permettere i propri clienti e i clienti si possano permettere i loro posti di lavoro.
All’improvviso il ministro degli Esteri disse: – Abbiamo novità sul fronte…
Il primo ministro lo zittí con un moto del capo appena percettibile. Si lasciò cadere le braccia lungo i fianchi. – Far passare l’I-Day, o il Nostro Giorno, come potremmo chiamarlo, è per noi una priorità assoluta. Ma ce n’è una seconda quasi altrettanto necessaria, in assenza della quale potrebbe saltare anche la prima.
Fece una pausa a effetto. Nel breve intervallo ebbe tempo di considerare il da farsi con Benedict St John. Con l’intruso. Da Downing Street non era facile organizzare un delitto perfetto. Ne era stato progettato uno molti anni addietro dalla Camera dei comuni da quel babbeo di Jeremy Thorpe, un poseur azzimato in trilby. L’esito della vicenda avrebbe dovuto essere monito sufficiente.
– La strada che ci aspetta potrà essere un po’ accidentata e dovremo saper portare la gente dalla nostra. I focus group mostrano impazienza proprio quando avremmo bisogno di incondizionata popolarità. Un bisogno vitale. Perciò ecco cosa faremo: aumenteremo le tasse per i redditi bassi e le diminuiremo ai benestanti. Lauti sussidi per i lavoratori, dopo il venticinque dicembre. Per far fronte a quelle spese, ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Lo scarafaggio
  4. Uno
  5. Due
  6. Tre
  7. Quattro
  8. Postfazione
  9. Il libro
  10. L’autore
  11. Dello stesso autore
  12. Copyright