Quota 1222
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Quota 1222

  1. 368 pagine
  2. Italian
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Quota 1222

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Informazioni sul libro

Sotto una violenta bufera di neve, un trenoderaglia tra le Alpi norvegesi.I passeggeri vengono tratti in salvo e condottiin un albergo della zona. Ma, mentre sonoancora tutti isolati a causa del maltempo, un assassino comincia a fare vittime.Hanne Wilhelmsen, bloccata anche lei a quota1222 metri, ha il compito di sfidare il tempo- anche atmosferico - e fermare il killer. Senzauna squadra investigativa, però, senza i rilievidella Scientifica, senza nulla che non siala pura forza della sua intelligenza.Una delle piú belle inchieste per l'ex detectivedella polizia di Oslo.***«Un omaggio, affascinante e modernissimo, al poliziesco classico».
Der Spiegel « Quota 1222 è una fantastica lettura da brividi».
The Guardian

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2015
ISBN
9788858418253

Capitolo undicesimo

Dalla scala di Beaufort – velocità del vento in montagna.
Fortunale 28,05-32,6 m/s
Le strade e le linee ferroviarie risultano bloccate. Caos sulla rete telefonica ed elettrica. I boschi vengono rasi al suolo.

1.

– Lui ha risposto di no alla tua prima domanda. La risposta alla seconda la trovi scritta qui.
Geir mi porse un foglio e, dopo aver appoggiato una birra media sulla scrivania, si accomodò su una sedia da ufficio che aveva preso da una delle altre stazioni di lavoro. Si accarezzò la barba, che adesso gli copriva completamente le guance, folta e scura con delle strisce grigiastre agli angoli della bocca, e si infilò una presa di tabacco sotto il labbro superiore. Non sapevo cosa stesse aspettando. Non avevo piú bisogno di lui. Forse aveva letto il messaggio che mi aveva mandato Severin Heger, ma non ne ero certa. Tanto non era in grado di decifrarne il contenuto, quindi non avevo niente di cui preoccuparmi.
Un nome e basta: un nome e alcune semplici informazioni scritte su un foglio bianco.
«Margrete Koht. Nata il 14.10.1957. Deceduta il 7 gennaio 2007. Condannata nel 1998 per appropriazione indebita di 3125000 corone. Dichiarata in grado di scontare la pena, ricoverata nell’ospedale psichiatrico Gaustad dalla pronuncia della condanna al giorno del decesso».
Margrete, ecco come si chiamava.
Durante l’ultimo colloquio che avevo avuto con lui, Roar Hanson aveva parlato di una donna. Avevo cercato di ricordarmi il nome, cosí come mi ero sforzata di riportare alla memoria tutto quello che il sacerdote aveva detto e fatto. La chiave dell’omicidio di Cato Hammer risiedeva in Roar Hanson. Ne ero certa: gli avevo parlato nel suo ultimo giorno di vita, mentre era dilaniato dai sensi di colpa. Adesso coltivavo la speranza, nonostante le interruzioni di Adrian e la riluttanza dello stesso Hanson, di riuscire a trovare indizi e risposte in quel che di lui rimaneva nella mia memoria.
Per quanti sforzi facessi, non mi veniva in mente il nome della donna. Era stato fatto per caso, di passaggio, e con mio grande stupore era svanito tra le stupidaggini sconnesse sul Fondo che io all’inizio pensavo fosse un ente per la promozione di carne o verdure.
«Quando lavoravamo entrambi al Fondo».
Rammentavo che la sua voce tremava leggermente.
«Cato era… Non riesco davvero a capire perché non ho detto niente già allora. Perché non ho fatto niente. E Margrete che… Non ce la faccio a vivere con questo pensiero. Ovviamente non potevo saperlo, ma sembrava cosí… cosí impensabile che lui… »
Non appena lessi il nome sulla carta, mi tornò in mente quello che Roar Hanson aveva detto. Parola per parola. Chiusi gli occhi e me lo rividi davanti. Nervoso e curvo. Lo sguardo che vagava in tutte le direzioni. Mentre parlava, se ne stava seduto di fronte a me e si batteva la mano sulla spalla che gli faceva male, l’espiazione dal sapore medioevale di una colpa che non era neanche sua.
Probabilmente lui non la pensava cosí. Aveva parlato del tradimento e dell’avidità di Cato Hammer, ma era disperato anche perché aveva peccato a sua volta, perché non aveva dato l’allarme su qualcosa che adesso cominciavo a intuire.
– Non hai niente da fare? – borbottai senza alzare lo sguardo dal foglio. – Neve da spalare. Case da disseppellire. Qualsiasi cosa.
Erano le nove e mezzo di venerdí sera.
Dalla reception mi arrivava un rumore di risate e di musica suonata a basso volume. Uno dei ragazzi che facevano parte del gruppo di Mikkel aveva collegato gli altoparlanti al suo iPod e per la prima volta dal momento dell’incidente le linee di divisione che avevano separato in modo netto i vari gruppi di viaggiatori si stavano cancellando. Donne di mezza età ridevano contorcendosi in una danza di vittoria, ora che il clima aveva perso. Le quattordicenni erano sedute insieme ai ragazzi con la bandana. Alla fine ero stata costretta a sussurrare all’orecchio di Berit che quei giovani stavano cercando di far ubriacare due delle giocatrici di pallamano. La commissione ecclesiastica si era temporaneamente sciolta e i suoi membri erano sparsi in tutte le sale, intenti a sorseggiare mollemente del vino rosso o un drink. La vedova di Elias Grav era l’ultima persona a cui avevo fatto caso prima di rifugiarmi di nuovo nell’ufficio perché non avevo piú voglia di assistere a tanta gioia. Era ancora traumatizzata dalla morte del marito, ma almeno aveva lasciato la sua stanza per chiedere gentilmente qualcosa da mangiare. La ragazza dello spaccio, sempre cortese e onnipresente, le aveva messo un braccio intorno alle spalle e l’aveva condotta in sala da pranzo.
Johan non era ancora riuscito a mettere in funzione il telefono satellitare, cosí io non avevo avuto altra scelta. Avevo dovuto chiedere aiuto a Severin.
Quando quello stesso giorno lo avevo visto rincorrere gli altri giú in cantina, avevo deciso di dimenticare tutta la storia della carrozza segreta. Non ci riguardava, semplicemente. Gli omicidi di Cato Hammer e Roar Hanson erano una questione molto diversa da quella che costringeva quattro uomini a tenere gli altri a distanza a ogni costo e a non lasciare mai il loro rifugio segreto, non prima che Finse si fosse svuotata di tutta quella gente. Soltanto quando noi fossimo spariti a bordo degli elicotteri della Sea King, di qualche cingolato o di un treno, chissà, gli uomini nascosti in cantina sarebbero sgusciati furtivamente fuori dall’albergo per essere trasportati in una destinazione prestabilita, protetti dal buio della notte.
Avevo deciso di parcheggiare l’intera faccenda nel reparto delle cose con cui non avevo nulla a che fare.
E invece adesso avevo bisogno di loro.
– Accidenti quanto sei acida, – commentò Geir. – Pensavo che ti fossi ripresa.
Strinse la birra media tra le mani. Con l’indice cominciò a disegnare delle figure sul vetro appannato mentre faceva roteare lentamente il bicchiere.
– Non sono acida, né arrabbiata, – risposi senza alzare gli occhi dal foglio con il nome della donna che Cato Hammer aveva tradito in modo a dir poco brutale, se le mie supposizioni erano corrette. – Sono… dispiaciuta.
Mi affrettai a sorridere per sdrammatizzare quello che avevo appena detto, poi aggiunsi: – È andata bene?
– Be’… Cosí cosí.
Bevve un sorso di birra.
– Prima non volevano aprire. Ho dovuto affrontare un vero e proprio interrogatorio con il tipo che conosci attraverso la porta. Per quanto riguarda l’arma, la risposta è stata un secco no. Non capisco che cosa vuoi…
Alzai di colpo la testa e gli lanciai un’occhiata di ammonimento.
Dopo aver appoggiato il bicchiere, mi mostrò il palmo delle mani.
– Non faccio piú domande. Promesso. Ma non ci hanno messo granché a trovare la risposta alla tua domanda. Bisogna dire che il tuo amico si è dimostrato molto disponibile ad aiutarti. Alla fine mi ha consegnato il foglio facendolo passare da una fessura…
Misurò un centimetro tra pollice e indice.
– … grossa cosí della porta prima di richiuderla subito. Ma che cosa gli hai chiesto…
Risollevò le mani e chiuse la bocca.
– Hanno la miglior attrezzatura possibile, – borbottai. – Avanzatissima, soprattutto per le comunicazioni. E all’altro capo di questa attrezzatura ci sono persone che hanno accesso a informazioni di ogni genere. Dati informatici. Registri. Tutto. Bastava che Severin accettasse di aiutarmi, e sapevo che avremmo messo le ali.
Non sapevo se stessi parlando a lui o facendo un semplice riassunto per me stessa. Avevo tirato fuori l’elenco di nomi fornito da Berit e i miei occhi si erano fissati su quello di uno dei miei compagni di viaggio. Uno degli ospiti del Finse 1222 aveva un nome che non mi era servito a raggiungere il traguardo.
Comunque avevo fatto dei bei passi avanti.
Abbastanza avanti, sperai prima di ripiegare tutti i documenti e infilarli nella tasca laterale dove già si trovava la lista di Adrian. Sopra il tavolo c’era il registro su cui venivano annotate le condizioni meteorologiche. Berit mi aveva guardato in modo strano quando glielo avevo chiesto, ma me ne aveva data immediatamente una copia, senza esitare. Uno degli impiegati aveva annotato l’evoluzione dell’uragano dal mattino di mercoledí fino a un’ora prima. Mi misi a cercare ciò che mi serviva. Poi piegai anche quel foglio e lo infilai nella tasca insieme agli altri. Purtroppo Berit non era riuscita a scoprire per quale motivo Kari Thue si stesse recando a Bergen. Avevo il sospetto che si fosse dimenticata di chiederglielo.
– Hanne, – disse Geir.
– Sí?
– Ti fidi di me?
– Sí.
– Intendo dire, ti fidi davvero di me?
Fissai quegli occhi grigi. O castani. O grigiastri. Difficile a dirsi.
Annuii. Era vero. Io mi fidavo di Geir Rugholmen.
– Non mi puoi parlare dei tipi che ci sono nella cantina? – disse. – Dopo tutto quello che abbiamo passato qui sopra, me lo merito di essere messo al corrente, mi sembra.
– Non ti meriti niente, – sentenziai. – Soltanto una medaglia al valore. Un premio per avere lottato e vinto contro l’uragano. Una decorazione per avere tenuto duro due giorni con la sottoscritta. Che a quanto pare stanno diventando tre.
Rise a tal punto che il tabacco gli colò tra gli incisivi.
– Non voglio niente del genere. Voglio soltanto sapere che cosa c’entra quella carrozza supplementare. Cosa…
– Non lo so, – dissi sincera.
– Sciocchezze.
– No, davvero. Non lo so. Ma ho una mia ipotesi.
– Che sarebbe?
– Perché non ci facciamo una sigaretta? – proposi. – Ne hai?
Si guardò intorno leggermente confuso.
– Berit si incazza come una iena…
– Ma certo. Come non detto. Credo che stiano sorvegliando un terrorista. Che stessero portando un terrorista a Bergen.
– Un… Un terrorista? Ma… Che cazzo ci va a fare un terrorista a Bergen?
La r moscia tipica di quella zona diffuse una nuvola di saliva per la stanza.
– Non ne ho idea, – dissi. – Anche a Bergen ci sono carceri e strutture militari, sai. Dunque dovevano portarlo lí.
– Portarlo dove? E perché? Cosa ci spinge a credere che ci sia un terrorista sul suolo norvegese? Che per di piú viaggiava su un treno per Bergen?
– Vedi di abbassare la voce, – lo zittii. – Il fatto che io condivida le mie teorie con te non significa che le debba conoscere l’intero albergo.
– Conoscere? L’intero albergo? Ma la conoscono tutti, quella maledetta carrozza! Come se la spiegheranno, questa storia, quando ce ne saremo andati da qui e tutti potranno dire quello che vogliono a chi vogliono e…
Inspirò di colpo.
– Se tu sapessi, – dissi pacata, – le coperture che sono capaci d...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Quota 1222
  4. Capitolo zero
  5. Capitolo primo
  6. Capitolo secondo
  7. Capitolo terzo
  8. Capitolo quarto
  9. Capitolo quinto
  10. Capitolo sesto
  11. Capitolo settimo
  12. Capitolo ottavo
  13. Capitolo nono
  14. Capitolo decimo
  15. Capitolo undicesimo
  16. Capitolo dodicesimo
  17. Postfazione dell’autrice
  18. Il libro
  19. L’autrice
  20. Della stessa autrice
  21. Copyright