Il salto con le aste
eBook - ePub

Il salto con le aste

  1. 256 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Il salto con le aste

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

Dalle aste con cui una volta i bambini riempivano i quaderni delle elementari è possibile passare facilmente all'ortografia, ai primi temi, e poi, attraverso passaggi sempre piú ardui, arrivare a scrivere un vero romanzo, diventare anche un grande scrittore, come Italo Calvino ad esempio.
È quel che sogna Michele Astarita, in una Napoli chiassosa e verace, che urla in dialetto e ostenta il disordine, tra padri autoritari e compagnie violente, fino a quando questa sua ossessiva ambizione non lo porta a confrontarsi con quel passato di scelte, piccoli equivoci, ingenue zone di silenzio che hanno condizionato irrimediabilmente tutta una vita.
Un romanzo ironico e compassionevole che mette in scena, con disincanto, intelligenza e sensibilità, le speranze e le delusioni di un'intera generazione.

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a Il salto con le aste di Domenico Starnone in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Literature e Literature General. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2012
ISBN
9788858406526

Capitolo nono

Incontrerò Anna alle 18 di oggi. Sarò pacato nei toni. Le dirò: grazie per il vestitino che hai regalato alla bambina, non dovevi, la lettera che Matilde ti ha spedito era solo un mio modo per farti capire: vedi che tutto è un gioco a un passo dalle favole. Quindi cercherò di spiegarle che non sono un cattivo padre, che Matilde mi vuole molto bene. Ma lei non ci crederà. Dirà: sí sí, e continuerà a pensare: ogni padre è un Tancredi, principe di Salerno, e ogni figlia si chiama Ghismunda.
Intanto correggo i compiti dei miei allievi e la notte scorre da un compito all’altro distratta. Segno errori con la matita rossoblú, svuotato d’ogni passione pedagogica, solo per dimostrarmi che sto facendo il mio dovere di insegnante. E sospiro di sollievo ogni volta che uno svolgimento trova la sua frase finale, superflua come quella iniziale. Quindi scrivo veloce sul dorso dei fogli, uno dopo l’altro: svolgimento esauriente, forma per lo piú corretta, pessima la grafia. E butto lí quasi sempre un sei con l’estremità blu della matita.
Lascio in fondo il compito di Ernesto perché so già che cosa nasconde. Quando me lo trovo davanti, estraggo dal foglio protocollo la lettera che conosco bene: la lettera di Calvino.
Non mi interessa – scopro – rileggerla, anzi all’idea provo un po’ di ribrezzo. Controllo invece soltanto che sul verso della prima cartella Michele abbia davvero annotato di suo pugno: «Come Boniperti» e subito dopo la storia di quella sua vocazione infantile a tramare l’esistenza sconnessa e casuale. Lo ha fatto. Ne deduco che oggi la cosa piú difficile sarà spiegare ad Anna che Michele sa già tutto.
Metto di lato la lettera e comincio a leggere il compito di Ernesto, quello in cui si professa creazionista. Salto le righe dove abbozza una scena di creazione svagata, distratta, opera di un creatore che se la prende comoda. Tanto – mi scrive il ragazzo – non c’è fretta. Il tempo della comparsa nel mondo non è uguale per tutti. C’è chi dev’essere bell’e pronto subito e chi deve aspettare. Sicché – racconta – bambini già formati se ne stanno seduti nella terra melmosa in attesa che qualcuno li stacchi di lí – slak –, dia loro una ritoccata al culetto e li mandi nel mondo. Molti invece restano ancorati alla terra solo per un piede appena abbozzato e intanto ruotano intorno come compassi. Alcuni non sono mai stati rigirati sulla pancia e quindi sono vivi soltanto davanti, mentre di dietro sono tronchi muschiosi tra melma e erbacce. Altri vivono solo nel dorso rifinito, nelle braccia, nelle gambe, ma per quanto si sforzino non ce la fanno a staccare il viso informe dalla terra e la carne viva si tende, lungo la linea di confine con la polvere e il pietrame, come gomma da masticare che uno cerca di staccarsi dalla suola della scarpa. Poi basta. L’horror creazionista si interrompe, forse per mancanza di ispirazione. E lo svolgimento si trasforma all’improvviso in una lettera indirizzata a me, non meno inquietante.
Ernesto mi mette al corrente di ciò che sa a proposito dei pensieri nascosti di Matilde e del suo amico Federico Camilli. Lo fa come se si trattasse di una delazione, col tono del complice in attività clandestine che parla per crisi di coscienza. Mi raccomanda: fai finta di non sapere niente, non vuole perdere la loro fiducia. E comincia. Camilli da tempo sta misurando distanze con lo sguardo, visto che ancora ignora altre unità di misura. Sulla base di tali misurazioni s’è persuaso che la distanza che dopo lungo esercizio riesce a saltare (tre gradini della gradinata d’accesso a questo edificio), è equivalente a quella che separa il davanzale della finestra del nostro bagno (primo piano) dal selciato, parapetto che ha un ripiano di marmo su cui il bambino si è spesso arrampicato per sondare con occhio di scienziato l’abisso. È perciò sicuro, Federico Camilli, nel suo intimo e nei suoi discorsi segreti con Matilde, di quanto segue: «Come salto agevolmente tre gradini in diagonale, cosí, altrettanto agevolmente, posso saltare dal primo piano». Insomma l’ipotesi elaborata dall’amico di mia figlia è: se una distanza orizzontalmente o obliquamente disposta risulta percorribile senza danno, lo stesso si può dire di una distanza equivalente collocata in verticale.
Cosí, a occhio e croce, racconta Ernesto, ma non limitandosi a riferire scarnamente l’elaborazione di Federico, che è maschietto silenzioso, disposto soprattutto all’azione, bensí attingendo un po’ al seminario di Liverano sul verticale e l’orizzontale, con palese ironia, come a dire: ecco dove siamo andati a parare, un po’ ispirandosi all’architettura verbale di Matilde. Che gli ha svelato il progetto con entusiasmo e pare incoraggi Camilli quotidianamente dicendogli:
– È sicuro. Saltiamo.
– Saltiamo? – sobbalzo io, e comincio a leggere piú velocemente.
Sí, è proprio cosí: Matilde sta macchinando da un pezzo di saltare dal primo piano insieme a Federico Camilli. Ernesto ignora quando faranno il salto, ma ha saputo che la decisione è legata all’invio da parte di non sa che fata o principessa di Salerno d’un vestitino azzurro che ha la proprietà di annientare la malvagità delle api. Vestita di quel vestito, Matilde attenderà, in piedi sul davanzale con Camilli, il passaggio del signor Ottavio, governatore di sciami e avvelenatore di animali tipo il buon gatto Ambrogio. Quando costui passerà, gli balzeranno addosso come fanno i pellirosse nei film trasmessi in tv, con lo stesso urlo di guerra, con la stessa determinazione, con la stessa capacità di piombare da altezze vertiginose senza farsi male. «Attento» perciò Ernesto mi raccomanda. Lui e Deborah sono certi di una cosa che nemmeno i due bambini sanno: Ottavio è il nome che, nello spazio autonomo di Camilli e Matilde, assumo io tutte le volte che lo attraverso con il mio spirito malvagio. A proposito – mi scrive nell’ultimo rigo, – di quale malvagità ti sei macchiato nei confronti della mia povera mamma?
La passione per Anna s’è accesa allora, quando, come un fluido inalante che per un po’ ti placa la gola infiammata e poi te la restituisce piú arsa di prima, l’ho assunta dentro di me tutta in sudore col cappotto spigato non suo, mentre Calvino parlava della beat generation e io constatavo desolato: come sono infido, come sono cattivo, perché sono nato cosí?
Michele e io avevamo quasi diciassette anni, a quel tempo, lei sedici. Ammesso che fosse il 1960 come ora mi pare. O no? Era il 1961?
In seguito ci siamo dimenticati di Calvino.
– Ha molto da fare, – mi ha detto Michele come se fossero vecchi amici e quello scrittore gli avesse detto: ora non ho tempo, se ne riparla piú in là.
– Anche noi del resto, – io ho sottolineato. Infatti eravamo passati a investire tutte le nostre energie intellettuali in un dibattito memorabile sul seguente tema: si pensa con le parole o senza le parole? Michele e io abbiamo sostenuto per mesi: con le parole; Anna: senza.
– L’infante pensa? – le abbiamo chiesto una volta a tradimento, per fiaccarne la combattività con armi impari: non studiava latino, nel suo istituto professionale.
– Che c’entra l’infante? – lei s’è disorientata perché sapeva molto vagamente cos’era un infante.
Le abbiamo spiegato:
– Il bambino.
Poi: – Rispondi: pensa o no?
Tira e molla, Anna alla fine ha azzardato: è piccolo, non pensa.
– Vedi? – allora l’abbiamo schiacciata con soddisfazione sfoderando l’etimo di infante: – Infante significa: «che non parla».
Lei si è depressa per un attimo o due, poi ha assunto la sua solita espressione sfrontata che significava: infante o no, ho ragione io. E ha ricominciato a insistere:
– Comunque, si pensa senza le parole.
In quella circostanza, di fronte alla sua resistenza, io ho presentito che la passione per lei non mi sarebbe mai passata e mi sono organizzato per soffrire tutta la vita in silenzio.
Infatti è andata avanti cosí per un certo numero d’anni: la passione, naturalmente, non la discussione sull’indispensabilità, quando si vuole pensare, delle parole. Quest’ultima è stata sostituita da altre discussioni tipo: vale piú il singolo o la folla? Domanda decisiva che nel tempo s’è mutata in: vale piú il singolo o la massa? vale piú il singolo o il popolo? vale piú il singolo o la collettività? vale piú il singolo o la classe? Fino a stabilizzarsi su: cos’è mai il singolo senza la coscienza e la solidarietà di classe? Fatto salvo il codicillo: cos’è la classe senza la sua avanguardia? Ma la stabilizzazione s’è rivelata provvisoria. Ogni interrogativo s’è presto riavviato ora inquisitorio, ora contrito: chi ha soffocato il singolare col plurale? chi ha ridotto l’irripetibile allo stereotipo? chi ha assorbito il femminile nel maschile? chi ha considerato assente il compresente? chi ha disposto in sequenza il simultaneo? Chi? Domande di cui oggi mi servo di frequente anch’io, ma soprattutto per stupire i miei allievi e far loro capire: guardate che sono cervellotico quanto voi e posso dire cose stupefacenti. Altrimenti, se qualcuno me le rivolge fatuamente, solo per fare conversazione di buon livello, svicolo chiarendo: non sono stato io, chiedi a qualcun altro.
Allora invece ho cercato interrogativi strabilianti con intenzione. E mentre intorno a quei quesiti Michele e io costruivamo argomentazioni saccheggiando testi di tutto rispetto, subdolamente, senza confessarlo nemmeno a me stesso, ho organizzato scenari apposta per lanciare, al di là delle parole tra me e il mio amico, segnali d’amore ad Anna. Ho disposto sedie, ho determinato posizioni di oggetti, ho aperto o chiuso sportelli, ho preordinato passaggi stretti dove la distanza tra i corpi era costretta ad accorciarsi, ho curato di prendere con lei autobus zeppi in ore di punta, ho occupato posizioni da dove potessi aiutarla a scendere o a salire, ho inventato giochi da fine d’anno dove fosse possibile dirle cose indicibili o sfiorarla in luoghi non sfiorabili. È stata una prefigurazione infaticabile di interni ed esterni su cui poi noi tre scivolavamo incontrando al punto giusto i luoghi dove un gesto appariva necessario, una posizione inevitabile. Tanto che da un lato ogni movimento si compiva alla luce del sole in perfetta coerenza con la normalità, dall’altro non c’era piú un solo mio atto che non fosse rigorosamente clandestino.
Di tanto in tanto accadeva che Michele, travolto ora da un mio balzo in avanti che doveva portarmi nel luogo utile per sedere, mettiamo, accanto ad Anna, ora da un protendermi sopra di lui per afferrare un bicchiere collocato nella traiettoria del respiro di lei, esclamasse: – Maccheddiocombini! – Io però non ci ho mai badato, disposto a tutto pur di catturare il calore della sedia dove lei era stata seduta, rendere per una frazione di secondo l’avambraccio tangente alla curva del suo petto, farmi solleticare le narici dai suoi capelli, fotografare con lo sguardo in maniera indelebile la forma del suo orecchio, memorizzare con uno spasimo l’attaccatura dei capelli sulla nuca. Una fatica da cui uscivo stremato e col seguente proposito: questa è l’ultima volta; poi mi compro un frac azzurro e mi uccido.
Ora, mentre fuori fa giorno, quell’epoca mi sembra roba da ridere. Poi penso a Matilde e a Camilli, coppia segreta, binomio di esseri umani in formazione dalla vita in apparenza cosí palese e in effetti quasi tutta non detta nell’essenziale, e mi convinco che c’è poco da ridere. Dormo un po’.
Mi sveglia Matilde.
– Il caffè è pronto, – dice.
Tiro giú le gambe dal divano dove mi sono sdraiato un’ora fa, me la prendo sulle ginocchia già vestita di tutto punto e pronta per andare all’asilo, in una mano il biberon mezzo colmo di latte cui s’attacca poppando.
– I cavalli? – chiedo.
– Svegli, – risponde. Ne fa il galoppo: clop clop.
– E la fata? – provo, – t’ha portato il ves...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Il salto con le aste
  3. Dello stesso autore
  4. La lettera di Calvino
  5. Il salto con le aste
  6. Capitolo primo
  7. Capitolo secondo
  8. Capitolo terzo
  9. Capitolo quarto
  10. Capitolo quinto
  11. Capitolo sesto
  12. Capitolo settimo
  13. Capitolo ottavo
  14. Capitolo nono
  15. Capitolo decimo
  16. Copyright