Metti l'amore sopra ogni cosa
eBook - ePub

Metti l'amore sopra ogni cosa

Una filosofia per stare bene con gli altri

  1. 132 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Metti l'amore sopra ogni cosa

Una filosofia per stare bene con gli altri

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

Ama veramente chi è capace di non amare troppo. Questo ci insegna la filosofia: pur sapendo bene che l'amore «è sopra ogni cosa» ed è persino alle radici della filosofia stessa. Grazie all'Eros povero e scalzo impersonato dal più grande e atipico dei maestri, Socrate, la filosofia ci insegna ad amare, ma non troppo. Ovvero, ci invita ad amare, e in definitiva a vivere, facendo un buon uso delle nostre passioni e dei nostri piaceri senza lasciarci trascinare dagli eccessi dell'innamoramento, una delle poche follie che godono di un'ampia legittimazione sociale.

Per far questo, e per vivere bene, abbiamo bisogno di un'etica che dell'amore ci faccia evitare i fanatismi e i picchi totalizzanti di entusiasmo. L'amore, ha scritto Ovidio, è come andare «per la prima volta soldato in una terra sconosciuta», ma a ben vedere ciò è vero per tutta la nostra vita morale e per i dilemmi che quotidianamente ci pone il nostro rapporto con gli altri che, proprio come l'amore, diceva Sartre, può trasformarsi in un inferno. Armando Massarenti, attingendo alla sapienza classica e moderna – da Platone a Ovidio, da Wittgenstein a Iris Murdoch – ma anche a spunti provenienti dalle neuroscienze, coniuga filosofia, logica ed epistemologia al fine di proporre al lettore una bussola per orientarsi in quella terra sconosciuta.

Una filosofia pratica in grado di regalarci un bene prezioso: la possibilità concreta di stare bene con gli altri.

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a Metti l'amore sopra ogni cosa di Armando Massarenti in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Social Sciences e Sociology. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2017
ISBN
9788852078675
Categoria
Sociology

CAPIRE

Il teatro del mondo

Ripartiamo dalla già citata affermazione shakespeariana secondo cui «il mondo intero è un palcoscenico e tutti gli uomini e le donne non ne sono che attori; hanno il proprio momento per l’ingresso e quello per l’uscita, e ogni uomo recita differenti ruoli nel proprio tempo». Tutto sta nel capire che parte stiamo interpretando in un dato momento della nostra vita. O che ruolo chi ci circonda ci sta facendo recitare!
Certo, non è affatto facile. In questa seconda parte del libro esploreremo in lungo e in largo la regione della filosofia chiamata «etica», allo scopo di raccogliere e conservare degli spunti che ci permettano di vedere e comprendere meglio ciò che stiamo facendo, nella nostra vita amorosa e non solo. Così da non finire come Otello e Desdemona, ostaggio di visioni di se stessi e dell’altro tanto diverse da diventare incomunicabili.
Che sia chiaro. Non stiamo inverosimilmente invocando un qualche asettico sguardo esterno, quel genere di «oggettività assoluta» criticata da pensatori del calibro di Hilary Putnam. Il fatto è che in filosofia molte teorie, con la loro irrealistica pretesa di fornirci un punto di vista imparziale e oggettivo, spesso non riescono a render conto della pluralità delle ragioni «interne» degli individui, del loro carattere, delle loro emozioni, motivazioni e virtù. In breve: dell’infinita varietà di modi in cui i vari aspetti di ciò che siamo si intrecciano tra loro e con le circostanze della vita in cui ci troviamo immersi.
Per citare lo splendido titolo apposto a una delle ultime raccolte dello scrittore David Foster Wallace (Einaudi 2009), che ho avuto modo di incontrare a Capri in occasione del suo primo viaggio in Italia, nel 2006, possiamo dire: «Questa è l’acqua». Qui dobbiamo nuotare.
In tal senso dobbiamo anche interpretare quello che l’imperatore filosofo Marco Aurelio chiamerebbe il nostro «mestiere di uomo». «Al mattino, quando non hai voglia di alzarti, ti sia presente questo pensiero: mi sveglio per compiere il mio mestiere di uomo» (Pensieri, libro V). In che cosa consiste, dunque, questo nostro peculiarissimo «mestiere»? Si tratta del nostro quotidiano esercizio – filosofico ma anche profondamente pratico – per diventare esseri umani migliori, senza paura di sbagliare e procedendo per prove ed errori, in modo da arrivare a comprendere il più possibile noi stessi e il mondo che ci circonda.

Il mondo è un palcoscenico (social)

L’acuta intuizione di Shakespeare non è mai stata così attuale come nel mondo 2.0. Che immagine di noi proponiamo attraverso gli schermi di tablet e telefonini, attraverso Facebook, Twitter, Instagram, Snapchat e ogni nuova applicazione social che la nostra società iperconnessa sarà in grado di inventare? Ma soprattutto: in che modo tutto questo ha un’influenza sulla visione che gli altri hanno di noi, sulle relazioni che intrecciamo o che decidiamo di interrompere, su quello che le agenzie di comunicazione definiscono fin troppo pomposamente «brand personale»? Sulla percezione di noi stessi e sui nostri rapporti d’amore?
Di fresca (e tragica) attualità è la misera storia di Tiziana Cantone, la trentenne che si è uccisa per la vergogna d’aver assistito, impotente, alla diffusione di video hard di cui lei era la protagonista: filmati a luci rosse in cui si era fatta riprendere «volontariamente e in piena coscienza», ma che erano stati messi in Rete a sua insaputa. Solo dopo mesi dalla sua morte una sentenza del tribunale di Napoli ha stabilito che Facebook avrebbe dovuto rimuovere i post in questione, indipendentemente dalla possibilità tecnica da parte del social network di esaminare tutti i contenuti riferiti specificamente a Tiziana, e dal principio generale, rivendicato da Facebook, di tutelare la libertà di espressione dei propri utenti.
Dalla cruda cronaca, più disturbante e incredibile di un romanzo distopico, al fenomeno Netflix del momento, che sotto il velo della fiction anticipa scenari sempre più attuali. La terza stagione di Black Mirror – serie di culto che ha abituato i fan a un’immersione disturbante in mondi futuribili vicinissimi al nostro presente, pungolando gli spettatori con interrogativi che non si possono definire se non filosofici – si apre con un episodio dedicato all’ossessione, che bene o male tutti conosciamo, per la nostra «reputazione» online.
Lacey è una giovane donna dai modi garbati e il trucco curato, impeccabile nei convenevoli e tanto interessata allo sguardo e all’opinione altrui da esercitarsi in ripetute prove di risata davanti allo specchio. I primi minuti dell’episodio catapultano lo spettatore in un’atmosfera sottilmente inquietante dai toni confetto, a metà tra l’artefatta felicità messa in scena nel film Truman Show e i sorrisi di plastica di Pleasentville. Mentre seguiamo Lacey nella sua giornata «perfetta», ci accorgiamo però che il motore, neppure troppo nascosto, di tutte quelle moine non è altro che una app che invita gli utenti a valutare con un punteggio di gradimento tutti gli individui che incontrano. All’aumentare del punteggio, persone come Lacey potranno ottenere l’accesso a una serie di servizi vip, mentre la perdita di punti dà luogo a un vero e proprio declino sociale (non a caso il titolo italiano dell’episodio è «Caduta libera»), che può portare a situazioni di emarginazione, povertà, o anche a conseguenze più estreme. Online e offline qui si confondono, ma del resto non è così anche nella nostra realtà?
Insomma: Lacey non è la caricatura di una debuttante anni Cinquanta, ma un prodotto di una società straordinariamente vicina a quella che conosciamo, dove «like» o «cuori» su Facebook (Instagram, YouTube…) hanno un peso non indifferente. Forse non ne siamo pienamente consapevoli, ma l’importanza di come alteriamo, consolidiamo o modelliamo la nostra identità attraverso lo «specchio nero» di tablet e smartphone ha una rilevanza notevole nelle nostre vite.
Si tratta di un fenomeno talmente pervasivo da aver generato, per esempio, una piattaforma come Klout, sfruttata da cacciatori di teste ma anche da utenti comuni, che assegna punteggi valutando la presenza sui social network in termini di «influenza» e «reputazione». E addirittura la app Peeple, che permetterebbe agli iscritti di valutarsi l’un l’altro recensendosi di fatto in quanto… persone. Accolta da critiche di ogni genere prima ancora del suo debutto effettivo, per ora in Italia se n’è solo sentito (s)parlare. Per ora…

Il mestiere di uomo

Con ogni probabilità tutto questo sarebbe piaciuto ben poco a Marco Aurelio, tantomeno a Wittgenstein, che tra i suoi ultimi scritti appuntò come mantra la bellissima preghiera laica «Facci essere umani». Ma che cosa significa essere, o meglio diventare, giorno per giorno, «esseri umani»?
«Mi dirai la verità, vero? Se sono un androide, me lo dirai?» Chi non ricorda il film Blade Runner, o meglio, il romanzo da cui fu tratto, Ma gli androidi sognano pecore elettriche? (Fanucci 2013). Al suo autore, Philip K. Dick, Emmanuel Carrère nel 1993 dedicò una biografia, uscita in Italia nel 1995 per le edizioni Theoria, e ritradotta di recente per Adelphi da Federica e Lorenza Di Lella.
Io sono vivo, voi siete morti, il titolo della biografia, è la frase che compare a più riprese in Ubik (1969; Fanucci 2003), il romanzo con cui Dick pensava di aver scritto uno dei cinque libri più importanti della storia. Libri come la Bibbia, cui gli uomini devono affidarsi per conoscere il segreto della loro condizione. «Io sono vivo, voi siete morti» in Ubik è il monito che il personaggio Glen Runciter scrive nei bagni per comunicare ai suoi dipendenti «smarriti nel labirinto della semivita» ciò che è loro successo: «attraverso dépliant pubblicitari, slogan tracciati nel cielo dagli aerei, messaggi in codice occultati nel disegno dei pacchetti di sigarette, trasmetteva al gruppo le istruzioni per sopravvivere. Appariva anche in televisione, dove pubblicizzava la bomboletta spray Ubik, l’unica arma efficace contro l’entropia».
La condizione umana per Dick riguarda il senso di irrealtà che pervade le nostre vite – un dubbio ben noto ai filosofi almeno da quando Cartesio immaginò che un «genio maligno» potrebbe ingannarci sistematicamente facendoci credere di vivere nella realtà mentre invece stiamo solo sognando – nel momento in cui percepiamo l’impossibilità di trovare un criterio certo e coerente per credere che ciò che ci circonda è effettivamente reale e non frutto di un’allucinazione, magari provocata dall’Lsd, droga assai di moda ai tempi di Dick. Il quale, in Ubik, porta questa incertezza al parossismo, esasperando una forma di rovesciamento adottata anche in altri suoi romanzi: il potente magnate Runciter, in realtà, era stato vittima di un attentato e il protagonista del romanzo, Joe Chip, gli era sopravvissuto. Runciter, da uno stato temporaneo di semivita, piano piano incrina questa realtà finché è Chip a trovarsi in quello stato, mentre Runciter si immerge nel suo universo immaginario per salvarlo dalla completa disgregazione della sua identità.
Ma torniamo agli androidi e ai blade runners che ne vanno a caccia. In un capitolo della biografia intitolato «Definire l’umano», Carrère descrive assai bene il procedimento di Dick. Da un lato lo scrittore si ispira al famoso test di Turing, ma dall’altro, nel congegnare le prove atte a distinguere gli umani dai loro surrogati, aggiunge un elemento che era estraneo al fondatore dell’intelligenza artificiale, e che certo, per ragioni logiche, non avrebbe approvato: «l’empatia, quella che san Paolo chiamava carità,» scrive Carrère introducendo un tema che riprenderà anche nel libro Il Regno (Adelphi 2016) «Caritas, diceva Dick con il solito tono saccente. Agape. Il rispetto della regola d’oro: “ama il prossimo tuo come te stesso”». Questo aspetto umano troppo umano, lungi dal semplificare le cose, le complica terribilmente, soprattutto da quando «il blade runner, per ragioni più erotiche che evangeliche o turinghiane, inizia a provare empatia per le sue prede», per una in particolare, al punto che si potrebbe dire che provi per lei amore. È notevole osservare che si tratta di una «prova» dell’umanità dell’altro che abbiamo già incontrato, nella prima parte di questo libro, citando il filosofo Davide Sparti: «E a chi domandasse “come sai che ci sono gli altri?”, si sarebbe tentati di rispondere: “perché ne amo alcuni e ne odio altri”».
Osserva ancora Carrère: «È strano trovare nelle pagine di uno scrittore di fantascienza, peraltro dallo stile piuttosto sciatto, brani memorabili, che non solo fanno venire i brividi, ma che ci danno anche la sensazione di aver intuito qualcosa di essenziale, di basilare. Di aver intravisto un abisso che è parte integrante del nostro essere e che nessuno aveva mai sondato prima. Uno di questi brani è contenuto in Ma gli androidi sognano pecore elettriche? ed è quello in cui viene descritto il grido d’orrore di chi scopre di essere un androide. Un orrore assoluto, irrimediabile e inconsolabile». Eppure tutto era cominciato da quella preghiera: «Se sono un androide, me lo dirai?».

Esercizi per essere umani

Prima ancora di iniziare a leggere Pierre Hadot (La filosofia come modo di vivere, Einaudi 2008), e di trarre da lui la fondamentale lezione di quanto la filosofia possa, anzi debba, incidere in profondità nella vita quotidiana, mi ero già fatto un’idea precisa sulla necessità di svolgere, giorno per giorno, quelli che lui ha chiamato «esercizi spirituali». E uno in particolare ne avevo trovato, una trentina di anni fa, in una libreria, curiosando qua e là tra gli scaffali dei libri meno recenti, attività che considero anch’essa un rituale fortemente consigliabile.
Si tratta di una poesia riprodotta in copertina, com’è usuale per la «serie bianca» di Einaudi, del Quaderno di traduzioni di Sergio Solmi. La propongo sperando che possa diventare utile come lo è stata a suo tempo per me: «Sappi attendere, aspetta che la marea risalga / – come una barca in secco – né t’inquieti il partire. / Solo chi attende sa che la vittoria tiene, / perché lunga è la vita, ed è l’arte un trastullo. / E se la vita è corta / e non lambisce il mar la tua barchetta, senza partire aspetta e ancora aspetta, / che l’arte è lunga e, per di più, non conta». È una poesia di Antonio Machado e io credo che sia l’esercizio spirituale più completo che si possa immaginare, che agisce in profondità, sulla nostra fragile psiche, riconoscendone il ritmo, in moltissime situazioni diverse.
C’è davvero tutto in questi versi. Li ho fatti leggere, nel corso degli anni, a molte persone e mi ha colpito una cosa che mi hanno detto in tanti (non tutti, per fortuna), e che non condivido: che gli ultimi versi in realtà sono un po’ demoralizzanti tanto da finire per rovinare la bellezza dei precedenti. In che senso l’arte «non conta»? L’arte, come qui intesa, in effetti è essa stessa frutto di una serie continua di esercizi alla Hadot, volti ad affinare le nostre capacità e le nostre virtù, qualunque sia l’attività che svolgiamo, nel tempo breve e insieme sterminato della nostra vita. Perché allora non dovrebbe contare? L’accento in realtà credo vada posto sul suo essere «lunga» e sul suo essere frutto del saper attendere con la stessa tenace volontà e prontezza nel «partire» e nell’agire quando ciò è saggio e necessario. Cioè, probabilmente, ogni giorno. E ogni giorno in un modo diverso. «Non conta» proprio perché in realtà è l’unica cosa che conta davvero. L’«arte» è l’arte di vivere pur sapendo che la vita è fatta di un numero sterminato di giorni tutti uguali, che appaiono assurdi, privi di senso.
Sensazione probabilmente non estranea allo scrittore da cui eravamo partiti, David Foster Wallace, il romanziere più filosofico della sua generazione.

Questa è l’acqua

Nato nel 1962 a Ithaca (New York) e prematuramente quanto tragicamente scomparso nel 2008, David Foster Wallace è stato uno scrittore di culto, geniale, prolifico e filosoficissimo: per attitudine oltre che per formazione (il padre aveva studiato con l’ultimo allievo diretto di Wittgenstein, Norman Malcolm!). Quando lo intervistai a Capri nel 2006, prima che raggiungesse il livello di riconoscimento con cui è stato consacrato ai nostri giorni, mi raccontò il proprio rapporto con la filosofia e l’influenza fondamentale che questa ebbe nel suo percorso successivo, come è evidente dal suo stesso stile di scrittura e dalla sua – raffinatissima – capacità di argomentare: «Quando si studiano, da giovane, come è capitato a me, un certo numero di filosofi, questi diventano come una lente che permette di vedere tutto in una prospettiva diversa, uno dei mo...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Metti l’amore sopra ogni cosa
  4. AMARE
  5. CAPIRE
  6. RI-CONOSCERE
  7. Copyright