Il ladro d'acqua
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Il ladro d'acqua

  1. 406 pagine
  2. Italian
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Il ladro d'acqua

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Informazioni sul libro

Elio Sparziano, ufficiale e storico, viene inviato da Diocleziano in Egitto per vigilare sul rispetto degli editti imperiali e per raccogliere informazioni utili a scrivere una biografia dell'imperatore Adriano, morto da quasi duecento anni. La sua indagine assume però contorni inediti, ed estremamente attuali, quando viene a sapere che le prove di una cospirazione ai danni di Roma si celerebbero nel leggendario sepolcro di Antinoo, il favorito di Adriano annegato nel Nilo giovanissimo in circostanze mai chiarite (incidente? Omicidio? Rito sacrificale?). Seguendo le ambigue tracce di un enigma sepolto da secoli, Sparziano svelerà un segreto capace di sovvertire il destino dell'Urbe.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2017
ISBN
9788852078903
Parte seconda

IL SOLDATO E L’ASSASSINO

VI

16 luglio (21 Epiphi), domenica

Il capitano della Felicitas Annonae aveva percorso avanti e indietro la tratta Roma-Alessandria per quindici anni. Dal momento che lasciarono il porto e si liberarono delle correnti rossastre del delta, sapeva che la prima parte della traversata sarebbe stata tranquilla, malgrado i venti contrari da sud.
«Più avanti il tempo peggiorerà. Se dovesse peggiorare troppo, ci fermeremo lungo la costa o cambieremo rotta.» Pronunciò quelle parole sotto la vela maestra bordata di rosso, che sfoggiava una cornucopia traboccante di frutta, con la sicurezza del lupo di mare rotto a ogni esperienza. Del resto si trattava di un uomo che aveva coperto in una settimana distanze da primato, da Reggio ad Alessandria; e anche con i venti contrari era riuscito a tornare indietro in dodici giorni. Elio ascoltò, con la ferma intenzione di sbarcare in Sicilia e visitare le biblioteche locali, pronto a chiedere un passaggio per il Bruttium se gli fosse sembrato che la tratta tirrenica ritardasse troppo il viaggio via mare.
Nel frattempo, alle prime onde di prua, gli ufficiali di cavalleria – due fratelli di Aquileia – erano diventati verdi ed erano spariti sottocoperta. Quanto ai duecento soldati (compresa la scorta di Sparziano), si facevano vedere nell’esatta misura in cui erano abituati ai trasporti marittimi, mentre il resto delle persone a bordo (equipaggio, mercanti, addestratori di animali e lo stesso Sparziano) stava benissimo e si occupava degli affari suoi.
Nel caso di Elio, si trattava di sfruttare l’ozio forzato della traversata a utili scopi accademici.
L’esame della lista degli invitati di Arpocrate avrebbe potuto aspettare fino al suo ritorno in Egitto, ma a quel punto c’erano molte altre cose da fare. Cominciò studiando Morte e resurrezione di Antinoo, il trattato che aveva salvato dal cumulo degli scarti a Ossirinco, di fronte al sacrario del Fanciullo. La copia risaliva ad almeno cinquant’anni prima e, a giudicare dalla sintassi, era una traduzione in latino di versi greci provinciali (forse egizi). Trovato un angolo ombreggiato in coperta, a debita distanza dai marinai, si sedette a leggere e a prendere appunti, nella grafia traballante imposta dalle onde.
Era un racconto tradizionale di metamorfosi, completo di dettagli eroici, paralleli mitologici con altre giovani vittime del fato e apoteosi finale. Quel che lo intrigava di più era lo stile retorico, piuttosto ricercato, che collocò ai tempi del divino Adriano. Prove ulteriori che il trattato era quasi contemporaneo ad Antinoo erano i riferimenti adulatori al successore elettivo di Adriano, Elio Vero, morto pochi mesi prima dell’Imperatore stesso. Una parafrasi mutuata da Omero – «Gli occhi velati dalla nebbia, non vide / la divina mano che da dietro lo spingeva» – era troppo provocatoria per essere ignorata, ma anche troppo ambigua per prestarsi a conclusioni ovvie. Sulla tavoletta di ardesia che teneva sempre a portata di mano, buttò giù: «Significa quindi che Antinoo è stato ucciso dal fato, o da qualcuno che ha agito per eseguire la volontà del fato?». Naturalmente la citazione si riferiva a Patroclo: un’appropriata allegoria del Fanciullo, se si considerava Adriano alla stregua di Achille. Un giovane prende in prestito l’armatura di un amico e muore in battaglia. L’amico in questione lo vendica. Il giovane continua a vivere per sempre fra le stelle. Che in Egitto ci fossero tracce documentali di una vendetta di Adriano contro qualcuno? Non ne aveva trovate negli archivi di Ermopoli, e nemmeno ad Antinopoli. A meno che la «divina mano» non fosse quella di Adriano, come sostenevano alcuni storici. Si appuntò di procurarsi una copia dell’Iliade non appena fossero attraccati, e di leggere con estrema attenzione i libri XVI e XVII.
La tratta della Felicitas era piuttosto trafficata, e non passava giorno che non avvistassero altre navi. Il 17 luglio furono sorpassati dalla Penthesilea, un vascello di classe AYΣOPION che navigava velocemente verso nord, da Cesarea a Cirene, con una scia di delfini al seguito. I marinai si scambiarono saluti e benedizioni; abituato alle bestemmie del campo di battaglia, Elio non smetteva mai di stupirsi del superstizioso controllo di qualunque blasfemia che la gente di mare osservava dal momento della partenza a quello dell’approdo.
La notte, il cielo stellato in mare aperto gareggiava con quello dei turni di guardia nel deserto o fra i monti dell’Armenia. Era un firmamento talmente lontano dai cieli notturni della sua infanzia – così nuvolosi e velati di nebbia – che al principio non riusciva a contemplarlo senza avere le vertigini. Con il tempo ci si era abituato, ma ora l’illusoria continuità fra cielo e mare fece riemergere quel sentimento di sgomento e sospensione, attraversato dal fremito, di tanto in tanto, di una stella cadente. Le costellazioni si stagliavano contro il buio estremo del cielo estivo, con il Cancro che seguiva i Gemelli, e il Sagittario che appariva al mattino. Fra tutte, la grande stella Sirio pulsava come se il Cane che tallonava Orione stesse strizzando l’occhio; ma in Egitto, sotto il nome di Iside, faceva sì che la piena superasse le cateratte e si spargesse incontrollata per il paese.
Seduto all’esterno della sua cabina, Elio chiuse gli occhi per tagliarsi fuori dal mulinello di stelle. Non apparteneva né all’Egitto né all’Italia e il suo senso di smarrimento si fece più acuto mentre considerava quanto lontano da casa fosse andato fin da quando era giovane. Cominciò a capire perché suo padre fosse così orgoglioso della dimora edificata vicino a Mursa, con i suoi due piani, la finitura di stucco rosato, le stalle, i recinti, i segni di una vita stanziale; eppure vedeva anche la natura finita di quell’ambizione. Anubina gli aveva chiesto dei suoi genitori, e lui aveva risposto che per quanto ne sapeva stavano bene. “Ma non tornerò laggiù” aveva pensato mentre le parlava. “Ogni libro che ho letto, ogni promozione conquistata, ogni viaggio intrapreso mi hanno allontanato da quel senso di appartenenza domestica. E se anelo a una casa, non è quella di mio padre.”
Il latrato di un cane lo fece trasalire. Elio dovette chiamare a raccolta i pensieri per rendersi conto di dove si trovasse e da quale direzione venisse quel richiamo, tanto attutito e apparentemente lontano. Ah, sì. Il padrone della nave aveva detto che stavano trasportando in Italia una muta di cani destinati all’arena. Non era la distanza, ma la profondità in cui i cani, insieme ad altre creature più esotiche, venivano tenuti in gabbia. Il suono e l’idea di quegli animali – preziosi o no – che viaggiavano verso la morte resero Elio pensoso e gli destarono uno stato d’animo malinconico, mentre sul ponte di prua, qui e là, i marinai e i soldati dormivano all’aria aperta, e la sentinella scandiva le ore dalla sua invisibile altana.

19 luglio (24 Epiphi), mercoledì

Il quarto giorno incrociarono la Lamprotate, nave gemella della Penthesilea, che tornava da Roma con un grosso carico di vino da vendere a Canopo. Come la Felicitas, era incoronata da un’orifiamma scarlatta, che emerse a mano a mano dall’orizzonte come la cresta di un gallo; solo dopo, la stella raggiante della sua vela maestra la rese riconoscibile all’equipaggio.
Di solito spezzava il viaggio gettando l’ancora per un paio di giorni nel porto di Creta, dove caricava delle spezie, ma – come spiegò loro il comandante, tale Soknopaios, originario di Canopo – era finita fuori rotta per via di una tempesta al largo di Siracusa e ora cercava di riguadagnare il tempo perso puntando dritto sull’Egitto. Era quello l’unico motivo, aggiunse Soknopaios, per cui si scusava di non poter accettare l’invito a pranzo degli ufficiali della Felicitas. «Tuttavia ho posta per voi dalla capitale» continuò «e sarei grato se ci ricambiaste il favore, sbarcando la nostra corrispondenza appena arriverete.»
Expositus, il laconico armatore della Felicitas, rispose che l’avrebbe fatto sicuramente. «Che novità dall’Urbe, dunque?»
Seguì un aggiornamento dettagliato sull’andamento degli affari, le persone note alla marina mercantile, i depositi e i porti, che difficilmente Elio avrebbe definito novità in senso lato. «Inoltre,» proseguì il capitano della Lamprotate «tutti noi egizi di Roma ci uniamo in preghiera per i nostri fratelli d’Heptanomia, sperando in un buon livello di piena e in una grande prosperità nei mesi a venire. La comunità manda i suoi saluti e i suoi auguri per un felice anno nuovo.» Si riferiva al capodanno egizio, a quattro settimane di distanza, ma per superstizione lo menzionò come fosse imminente.
Elio, in quanto passeggero dal grado più alto, fu autorizzato a partecipare all’incontro. Lasciò concludere lo scambio fra i marinai prima di chiedere di Lucino Sotero, la cui posizione di primo piano nella comunità egizia di Roma doveva essere ben nota all’interlocutore.
Soknopaios sembrò moderatamente sorpreso. «Stavo proprio per parlare di Sotero. Avevate degli affari con lui, comandante?»
«Che cosa significa “avevate”? Io ho degli affari con lui.»
«Temo non sia possibile. Sotero è morto.»
«Morto? Quando?»
«Due giorni prima che salpassimo, in uno sfortunatissimo incidente. Carbonizzato nella sua casa vicino alle terme di Tito. Ho sentito dire che nel suo studio si è rovesciata una lampada e, data la stagione calda e la quantità di stoffa che deve aver avuto in magazzino, ha preso tutto fuoco prima che i vigiles potessero intervenire. Sono riusciti appena a salvare gli edifici accanto. Il suo segretario si è ustionato gravemente nel tentativo di mettere al sicuro parte della corrispondenza, e non sono certi che sopravvivrà.» Gli ufficiali delle due navi si scambiarono le opportune manifestazioni di sconcerto e condoglianze, poi Soknopaios passò ad altre notizie ed Elio fu abbandonato al suo inquietante sospetto che la coincidenza – in mancanza di un termine migliore – gli avesse tolto una preziosa fonte d’informazioni nella capitale, proprio quando ne aveva più bisogno. Seguì Soknopaios mentre si dirigeva verso la scialuppa che l’avrebbe riportato sulla Lamprotate. «Capitano, cosa dice la comunità egizia della morte di Sotero?»
«C’è poco da dire quando scoppia un incendio in piena estate, comandante. È una grave perdita per tutti noi; era un uomo dotto e usava la sua ricchezza per favorire i nostri interessi. In questi tempi di crisi economica, non pochi dei santuari isiaci a Roma dipendevano dal suo patrocinio, e chissà che cosa succederà ora. Qualunque fossero gli affari che avevate con lui, la vostra sola speranza è di trovare il segretario ancora in vita. Il suo nome è Philo; credo sia stato portato a casa del fratello, fuori dalla porta Ostiense.»
Agilmente, per un uomo di mezza età, Soknopaios scese lungo una fune fino alla scialuppa. Elio si sporse dal parapetto superiore: «Sotero aveva famiglia? Potrò incontrarla?».
«No, comandante. Lucino ha perso la sua famiglia durante la Ribellione. Potete solo sperare che Philo se la cavi.»
Come aveva previsto il capitano della Felicitas, il tempo si fece meno mite il quinto giorno dalla partenza da Alessandria, a cominciare da una foschia che si levò sull’orizzonte settentrionale. Laggiù, la mattina presto, la linea netta fra acque e cielo si confuse e scomparve, creando l’illusione di una parete nebbiosa che nascondeva la fine del mondo. Sorgendo, il sole non riusciva a penetrarla, piuttosto ne veniva riflesso in una sfumatura giallo chiaro, non diversa da una tempesta di sabbia in arrivo. Il capitano e i marinai svolgevano le loro incombenze quotidiane con un occhio a quella pallida barriera. Fuori della sua cabina, Elio leggeva i documenti dell’archivio di Ptolemaion e prendeva appunti.
Il mare rimase calmo fino a mezzogiorno. A quell’ora folate di vento caldo presero a soffiare da nord, schiaffeggiando la vela di maestra; gradualmente l’acqua si fece torbida, sputando sempre più in fretta creste bianche che s’incrociavano come maglie di una rete. Leggere era ancora possibile, ma Elio dovette rinunciare agli appunti a mano a mano che il movimento della nave si faceva irregolare. Il sartiame scricchiolava a ogni raffica di vento, e poco dopo dai fianchi e dal fondo salirono gli altri suoni assortiti che gli scafi producono sotto la pressione degli elementi. Il beccheggio si fece serio dopo un’ora, tanto che cercare di leggere procurava solo attacchi di nausea. Alla fine Elio cedette e rientrò al coperto.
Aveva almeno avuto la lungimiranza di legare i pochi oggetti sparsi nella sua cabina, e gli furono risparmiate le corse per tutto il ponte dei colleghi di cavalleria, impegnati a recuperare tazze ed effetti personali sbattuti da una parte all’altra. La preoccupazione per i cavalli e gli altri animali sottocoperta aveva fatto sparire soldati e ammaestratori, ma se il vento non si fosse placato e avessero dovuto fronteggiare una burrasca, presto sarebbero stati tutti richiamati ad aiutare con la velatura. Il sole splendeva ancora, ma perdeva definizione a mano a mano che la foschia si avvicinava, o che la nave le andava incontro, finché la luminosità del cielo si smorzò. Elio aveva piantato dei chiodi per assicurare agli angoli la sua scatola con gli arnesi da scrittura, e a quel punto fece lo stesso con il baule. Quando uscì incespicando dalla cabina, vide la prua colpita da giganteschi schizzi d’acqua e il colore del mare, mutato dalla sparizione dell’azzurro del cielo, farsi di un brutto grigio. Né il capitano né l’armatore avevano un’aria allarmata, ma, come cupamente ricordò a Sparziano uno dei barcollanti uomini della cavalleria, i marinai sono famosi per andare incontro alle loro tombe subacquee senza battere ciglio.
«Non credo sia così grave» rispose Elio, pur non avendo alcuna idea di quanto bene o male procedesse il viaggio. «Scendo un momento a controllare il mio cavallo. Siete il benvenuto se volete accompagnarmi.»
«No, no. Se finiamo per affondare, preferisco vedere cosa succede piuttosto che rimanere intrappolato nella stiva.»
In effetti la tempesta fu violenta. Malgrado le abili manovre dell’equipaggio, che riuscì a evitare il peggio, la foschia si trasformò in pioggia. Ben presto prese a cadere dall’alto mentre il mare ribolliva di sotto, circostanza più che mai esasperante, visto che l’orizzonte meridionale, oltre la cortina agitata di pioggia, mostrava un cielo sereno e senza nuvole. Nelle profondità della stiva gli animali erano terrorizzati, e fu un miracolo se gli struzzi non si spezzarono una zampa o morirono di paura; dalle gabbie dei leoni salivano ringhi profondi e lezzo di escrementi, e gli animali da pascolo, annichiliti com’erano, si ammucchiavano in un viluppo tremante. Il terrore di quelle creature incatenate e imprigionate disgustò Elio, il cui destriero, al suo quarto viaggio per mare, mostrava la stessa aria spaventata delle bestie degli altri cavalieri. Legati alle loro catene, i cani avevano latrato sino a quel momento, ma ormai se ne stavano accovacciati, e quando Elio ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Il ladro d’acqua
  4. Personaggi principali
  5. Prologo
  6. Parte prima. L’IMPERATORE E IL FANCIULLO
  7. Parte seconda. IL SOLDATO E L’ASSASSINO
  8. Parte terza. RAPPORTO FINALE
  9. Epilogo
  10. Glossario
  11. Gli imperatori romani predecessori di Diocleziano
  12. Ringraziamenti
  13. Copyright