La ragazza che si era persa nella riserva di Nautauga. O la ragazza che forse era stata uccisa, e il cui corpo era stato occultato.
Dove fosse scomparsa la figlia di Zeno Mayfield, e se ci fossero buone probabilità di ritrovarla in vita o in condizioni non troppo disperate, era un interrogativo che lasciava perplessi tutti gli abitanti della contea di Beechum.
Tutti quelli che conoscevano i Mayfield o ne avevano anche solo sentito parlare.
E per chi conosceva il giovane Kincaid – l’eroe di guerra – l’interrogativo era ancora più sconcertante.
Già nella tarda mattinata di domenica 10 luglio, nell’agitato mare mediatico si era diffusa la notizia secondo cui erano state prontamente organizzate le ricerche della ragazza scomparsa – un’“ultim’ora” trasmessa dalla radio locale di Carthage e dai notiziari televisivi, che in breve era stata diramata in tutto lo Stato nonché dal circuito dell’Associated Press.
“Dozzine di soccorritori, professionisti e volontari stanno cercando la diciannovenne Cressida Mayfield di Carthage, New York, che si ritiene scomparsa nella riserva forestale di Stato di Nautauga dalla sera del 9 luglio.
“Il ventiseienne caporale Brett Kincaid, anch’egli di Carthage, che alcuni testimoni hanno identificato come la persona in compagnia della ragazza scomparsa la sera del 9 luglio, è stato fermato dall’ufficio dello sceriffo della contea di Beechum per essere interrogato.
“Non si è proceduto ad alcun arresto. L’ufficio dello sceriffo non ha rilasciato nessuna dichiarazione ufficiale in merito al caporale Kincaid.
“Chiunque possa fornire informazioni su dove si trovi Cressida Mayfield è pregato di mettersi in contatto con…”
Lui lo sapeva: era viva.
Lo sapeva: se avesse perseverato, se non si fosse arreso alla disperazione, l’avrebbe ritrovata.
Era la sua figlia minore. Quella problematica. Che gli spezzava il cuore.
Tutto ciò aveva un motivo – immaginava.
Forse lei lo odiava. Forse si era lasciata fare del male per farne a lui.
Ma non aveva dubbi, era viva.
«Lo saprei. Lo sentirei. Se mia figlia avesse lasciato questa terra, ci sarebbe un vuoto, inequivocabile. Lo sentirei.»
Non sopportava che la definissero scomparsa.
Insisteva che si era perduta.
Cioè, probabilmente perduta.
Si era allontanata da casa, o era scappata. Chissà come, si era perduta nella riserva di Nautauga. Il ragazzo con cui era stata vista (di questo suo padre non si capacitava: la figlia aveva detto ai genitori che avrebbe trascorso la serata in compagnia di altri amici) aveva ripetutamente affermato di non sapere dove fosse, sosteneva che se n’era andata.
Si era detto che sul sedile anteriore della Jeep Wrangler del giovane c’erano tracce ematiche. Una macchia di sangue sulla parte interna del parabrezza, dal lato del passeggero, come se un volto o una testa sanguinante vi avesse sbattuto con una certa forza.
Dei capelli e una ciocca, scuri come la chioma della ragazza scomparsa, erano stati rinvenuti sul sedile del passeggero e sulla camicia del giovane.
Intorno alla macchina non c’erano impronte, sul ciglio di Sandhill Road c’era erba, poi rocce, e iniziava una ripida discesa fino all’impetuoso fiume Nautauga.
Il padre non conosceva (ancora) i dettagli. Sapeva che il giovane caporale era stato fermato dalla polizia, che l’aveva trovato ubriaco e semisvenuto nella sua macchina, parcheggiata alla meno peggio su uno stretto sterrato proprio all’interno della riserva di Nautauga, intorno alle otto di domenica mattina 10 luglio 2005.
Presumibilmente il giovane caporale Brett Kincaid era l’ultima persona ad aver visto Cressida Mayfield prima della sua “scomparsa”.
Kincaid era un amico della famiglia Mayfield, o lo era stato. Fino alla settimana prima era fidanzato con la sorella maggiore della ragazza scomparsa.
Il padre aveva cercato di vederlo: solo per parlargli!
Per guardare il giovane caporale negli occhi. Per vedere come lo avrebbe guardato il giovane caporale.
Gli era stato proibito. Per il momento.
Il giovane caporale era in stato di fermo. Come i notiziari si premuravano di osservare, “Non si è proceduto ad alcun arresto”.
Che spaesamento! Il padre, che si era sempre vantato della sua astuzia, della sua sagacia, che aveva sempre pensato di essere un po’ più accorto e informato degli altri, non riusciva a comprendere la situazione che gli si presentava come un mazzo di carte maneggiate da un bieco giocatore.
La sua esistenza – la sua vita abitudinaria, complicata come il meccanismo di un costoso orologio, ma su cui esercitava un controllo infallibile – aveva subito un cambiamento improvviso. Non solo la sorpresa – lo shock – della “scomparsa” della figlia, ma le circostanze della “scomparsa”.
Era impossibile che Cressida avesse mentito a lui e alla madre, eppure sembrava proprio che Cressida lo avesse fatto.
O perlomeno non aveva detto tutta la verità su dove aveva intenzione di andare la sera prima.
Non era affatto da lei! Cressida aveva sempre disprezzato la menzogna, la considerava una debolezza morale. Riteneva che curarsi dell’opinione altrui al punto di abbassarsi a mentire fosse una forma di codardia.
E che si fosse incontrata con l’ex fidanzato della sorella in un locale sul lungolago… era ancora più sconcertante.
I Mayfield avevano dovuto riferirlo agli agenti, dovevano dire tutto ciò che sapevano. La polizia di solito non avviava le ricerche di un adulto che fosse scomparso da un periodo relativamente breve, a meno che non sospettasse un delitto.
Il padre aveva insistito dicendo che temeva che la figlia si fosse “perduta” nella riserva di Nautauga, anche se non voleva ammettere la possibilità che le avessero fatto “del male”.
O almeno, “qualcosa di grave”.
Si rifiutava di pensare che fosse stata violentata, stuprata.
Si rifiutava di pensare: O peggio.
Cressida aveva diciannove anni ma ne dimostrava meno. La corporatura minuta, il comportamento infantile, il fisico da ragazzo, snella, i fianchi stretti, il torace piatto. Il padre aveva visto uomini (non giovanotti: uomini) guardare Cressida, specie in estate, quando indossava magliette, jeans o pantaloncini, il bel viso pallido, senza un filo di trucco; guardavano Cressida con una sorta di desiderio misto a perplessità, quasi cercando di capire se era un maschio o una femmina; e perché, anche se la fissavano con intensità, lei li ignorasse completamente.
Per quanto ne sapevano i genitori, Cressida non aveva avuto esperienze con ragazzi o uomini.
Aveva la ferocia puritana di chi rifiuta non tanto i rapporti sessuali quanto ogni tipo di relazione fisica fondata sulla condivisione e l’intimità.
Come aveva detto la sorella Juliet, «Oh, sono sicura che Cressida non è mai stata – be’ – con nessuno… cioè… sono sicura che è…».
Era troppo rispettosa dei sentimenti della sorella per dire vergine.
Il padre era elettrizzato. L’adrenalina gli scorreva nelle vene, il cuore batteva con innaturale rapidità. “È l’eccitazione della ricerca” si ripeteva. “So che Cressida è qui vicino.”
L’avvertiva, la vicinanza della figlia. Quell’uomo, che non aveva mai accolto con la minima benevolenza “stronzate mistiche” tipo la percezione extrasensoriale, adesso, mentre vagava per la riserva di Nautauga, era convinto di avvertire la presenza della figlia da qualche parte lì nei dintorni. Sentiva che pensava a lui.
Anche se con una parte della mente si rendeva conto che, se fosse stata vicina all’entrata della riserva, in qualche posto nei pressi di Sandhill Road e Sandhill Point, qualcuno avrebbe già dovuto trovarla.
Lui aveva una formazione legale, e per natura un temperamento da avvocato: per questo dubitava, si interrogava, si interrogava ancora.
Era abituato a rispondere: “Sì, ma…?”.
Era un’ironia del destino, pensava il padre, perché alla figlia non erano mai piaciuti né il campeggio né le escursioni. Diceva che la natura selvaggia la annoiava.
Intendeva dire che la natura selvaggia la spaventava. Alla natura selvaggia lei era indifferente.
Lui aveva conosciuto altre persone così, e tutte, guarda caso, donne. La donna si sente più al sicuro in uno spazio ristretto, in un ambito ben delimitato nel quale riflettere la propria identità nello sguardo altrui: in un posto del genere non ci si può perdere facilmente.
La rapacità della natura, rifletteva Zeno. Non ci si pensa mai, quando si ha il controllo della situazione. E quando non lo si ha più, è troppo tardi.
Il padre alzò lo sguardo, ansioso. Su, nel cielo, appena visibili attraverso i folti rami dei pini, un falco – due falchi – dalle piume rosse cacciavano insieme planando in lunghe spirali.
Spiccavano nel cielo, vividi, poi di colpo si tuffavano e sparivano.
Lui aveva visto dei gufi piombare sulla preda. Il gufo è una macchina da preda pennuta e silenziosa, l’unico verso che si sente è quello della vittima.
A terra, mentre si faceva largo fra i rovi, vedeva sgattaiolare varie creature: conigli, grossi topi, una famiglia di moffette, serpenti. Da qualche parte, lì vicino, udiva i versi gorgoglianti dei tacchini selvatici.
Una natura selvaggia troppo vasta per la ragazza, la sua figlia minore. A Zeno non piaceva questo di lei: che si dava per vinta troppo facilmente. Diceva di annoiarsi, e voleva tornare a casa, ai suoi libri e all’“arte”.
Sentiva il bisogno di riempirsi il più possibile il cervello. E non si possono stipare trecentomila acri in un cervello.
Cressida, non farci questo! Se sei da qualche parte qui vicino faccelo sapere.
Il padre si era sgolato a furia di gridare il nome della figlia. Era un assurdo spreco di energie, lo sapeva: degli altri volontari, nessuno chiamava la ragazza.
Da alcuni commenti che gli avevano rivolto, e da certi a...