Caos
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Caos

  1. 348 pagine
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Informazioni sul libro

Nella quiete del crepuscolo di una serata di inizio settembre, Elisa Vandersteel, una ragazza di ventitré anni, muore mentre sta andando in bicicletta lungo il fiume Charles. Sembrerebbe essere stata colpita da un fulmine, ma poiché è una bellissima giornata, è evidente che la causa debba essere un'altra.

Da giorni Kay Scarpetta riceve sul suo computer ogni pomeriggio alla stessa ora un messaggio vocale con una bizzarra e inquietante filastrocca, sempre diversa, inviata da un anonimo che si firma Tailend Charlie.

E proprio quando la famosa anatomopatologa giunge sulla scena della morte della povera Elisa per dare inizio alla sua indagine le arriva la settima filastrocca.

Kay ha già messo al corrente di questi messaggi il suo collega Pete Marino, il marito Benton Wesley e la nipote Lucy. Quest'ultima, nonostante la sua straordinaria abilità informatica, non è stata in grado di rintracciare lo sfuggente Tailend Charlie, né riesce a capire come lui possa avere accesso a informazioni private. È evidente a tutti che l'anonimo molestatore sia coinvolto nella morte della ragazza.

A complicare le cose, altre due morti sospette per folgorazione sembrano convincere Kay Scarpetta dell'esistenza di un'arma letale che uccide a distanza e che potrebbe scatenare il panico tra la popolazione se la sua esistenza diventasse di dominio pubblico. Con Caos, Patricia Cornwell firma il ventiquattresimo thriller con protagonista l'iconica Kay Scarpetta.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2016
ISBN
9788852077944

1

Sento il fruscio delle scarpe nell’erba secca e calda e il sudore che mi cola sotto i vestiti, sul petto e sulla schiena. Cammino cercando l’ombra, mentre il sole cala e la luce obliqua cambia.
Tento di evitare i suoi raggi abbacinanti, ma me li ritrovo continuamente negli occhi, in quel labirinto di verde e di prati, cortili e giardini collegati da sentieri e stradine che è il centro di Harvard Yard. Gli edifici monumentali in pietra e mattoni a vista ricoperti di edera corrispondono in pieno allo stereotipo delle università dell’Ivy League, e ricordo l’impressione che mi fecero quando venni a Harvard per la prima volta, a quindici anni. È come se, a ogni passo, tornassi indietro dolcemente e tristemente nel tempo.
Frequentavo l’ultimo anno delle superiori e cominciavo a informarmi sui vari college, meditando su cosa fare da grande. Mi ero avventurata poche volte fuori dai confini della Florida. Non dimenticherò mai l’intensità del piacere che provai nel passare nei luoghi in cui mi trovo in questo preciso istante, nonostante la timidezza e il senso di estraneità.
Il flusso dei ricordi si interrompe quando vengo sorpresa da una vibrazione, da qualcosa che produce un rumore molto simile al ronzio di un grosso insetto. Mi fermo sul marciapiede incandescente, mi guardo intorno e noto un drone che sorvola Harvard Yard. Poi mi rendo conto che la vibrazione proviene dal cellulare che ho infilato nella tasca della giacca per proteggerlo dal caldo e dal sole. Guardo chi mi sta chiamando. È l’investigatore Pete Marino della polizia di Cambridge. Rispondo.
«Cos’è che sta succedendo a mia insaputa?» esordisce. La comunicazione è molto disturbata.
«Niente» rispondo perplessa, cuocendo sui mattoni.
«Perché sei a piedi? Non si va in giro a piedi con ’sto caldo.» È brusco e dal tono esasperato capisco subito che non si tratta di una telefonata amichevole. «Posso sapere cosa cazzo combini?»
«Ho delle commissioni da sbrigare.» Sono sulla difensiva, i suoi modi mi irritano. «E ho un appuntamento con Benton.»
«Per fare cosa?» mi chiede. La sua voce va e viene. Il segnale da buono diventa scadente, poi migliora, peggiora di nuovo e infine torna normale.
«Ho un appuntamento con mio marito per andare fuori a cena insieme» rispondo con ironia. Non voglio tensioni anche con Marino. «Va tutto bene?»
«Dovrei chiederlo io a te, casomai» ribatte e il suo vocione mi rimbomba improvvisamente fortissimo nell’orecchio destro. «Come mai non sei con Bryce?»
Il mio logorroico assistente deve aver informato Marino del mio rifiuto di risalire in macchina con lui in Harvard Square e della mia “infrazione al protocollo e sconsiderata indifferenza alle più elementari norme di sicurezza”.
Senza lasciarmi il tempo di rispondere, Marino comincia a trattarmi come se fossi sospettata di chissà quale reato. «Sei scesa dall’auto in Massachusetts Avenue un’ora e mezzo fa e sei stata una ventina di minuti dentro la Harvard Coop» dice. «E dove sei andata quando finalmente sei uscita dal negozio?»
«Avevo una commissione da fare in Arrow Street.» I marciapiedi di Harvard Yard formano una specie di ragnatela di mattoni e mi trovo a correggere continuamente la rotta cercando di seguire il percorso più diretto, veloce e fresco.
«Che commissione?» domanda, come se fossero fatti suoi.
«Dovevo andare al Loeb Center a ritirare dei biglietti per Waitress, il musical di Sara Bareilles» rispondo con una cortesia forzata che comincia a dare segni di cedimento. «Ho pensato che a Dorothy potesse far piacere andarci.»
«Mi risulta che hai dato di matto peggio di una pescivendola isterica.»
«Scusa?» Mi fermo.
«Così sei stata descritta.»
«Da chi? Da Bryce?»
«No. Da uno che ha chiamato il 911» risponde Marino.
Resto basita.
Marino mi informa che al dipartimento di polizia è giunta una segnalazione a proposito di un diverbio assai acceso tra “un giovane e la sua attempata amichetta” in Harvard Square intorno alle 16.45.
Il giovane è stato descritto come di età compresa tra i venticinque e i trent’anni, capelli castano chiaro, pinocchietti di colore azzurro, T-shirt bianca, scarpe da ginnastica, occhiali da sole firmati e tatuaggio raffigurante una foglia di marijuana. Il tatuaggio non corrisponde a verità, ma il resto sì.
Presumibilmente la persona che, mossa da grande senso civico, si è premurata di chiamare la polizia mi ha riconosciuto per avermi visto al telegiornale, e trovo inquietante l’esattezza con cui ha descritto il mio abbigliamento. È vero, in effetti, che indosso un tailleur con la gonna color kaki, una camicetta bianca e un paio di décolleté beige. Purtroppo è vero anche che ho una smagliatura nei collant, e infatti intendo togliermeli e buttarli via non appena sarò arrivata a destinazione.
«Ha fatto il mio nome?» Non riesco a crederci.
«Ha detto qualcosa tipo: la dottoressa Kay Scarpetta litigava con il suo toy-boy cannarolo ed è scesa dalla macchina come una furia.» Marino riferisce un altro particolare increscioso.
«Non sono scesa come una furia. Sono scesa come una persona normale mentre lui è rimasto al volante e ha continuato a parlare.»
«Non è venuto ad aprirti la portiera?»
«Non è sua abitudine farlo e io mi guardo bene dall’incoraggiarlo. Forse è stato questo: hanno visto che non scendeva ad aprirmi la portiera e hanno pensato che fosse arrabbiato. Bryce ha aperto il finestrino per dirmi ancora una cosa e poi è finita lì.»
Marino mi riferisce che invece a quel punto io avrei insultato Bryce e gli avrei addirittura dato un ceffone dal finestrino e puntato ripetutamente un dito contro il petto dicendogliene di tutti i colori. Lui gridava come se gli stessi facendo del male, oltre che mettergli paura. Insomma, un mucchio di stronzate... Lo penso ma non dico niente per via della sgradevole sensazione di pancia che ho, un disagio e una tensione che per me sono l’equivalente di un campanello di allarme.
Marino lavora in polizia. È un amico, sì, ma Cambridge è la sua giurisdizione e in teoria potrebbe darmi del filo da torcere. Non ci avevo mai pensato, ed è un’idea folle. Marino non mi ha mai arrestato – non ne ha mai avuto motivo – e non mi ha mai neanche multato per divieto di sosta o redarguito perché attraversavo fuori dalle strisce. La cortesia professionale è una strada a doppio senso, ma può trasformarsi facilmente in un vicolo cieco se non si sta attenti.
«Ammetto che forse mi sono leggermente alterata, ma non ho preso a sberle nessuno...» comincio a dire.
«Okay, partiamo da qui.» Marino l’investigatore mi interrompe. «Cosa intendi per “leggermente”?»
«Cos’è? Un interrogatorio? Stai per leggermi i miei diritti? Devo chiamare un avvocato?»
«Tu sei avvocato.»
«Non sto facendo dello spirito, Marino.»
«Nemmeno io. Ti sei “leggermente alterata”? Te lo chiedo perché lui ha detto che ti sei messa a urlare.»
«Prima o dopo i ceffoni?»
«Fare l’offesa non serve a niente, Kay.»
«Non faccio l’offesa. E chiariscimi innanzitutto chi è stato a rendere queste dichiarazioni. Cominciamo da questo. Perché lo sai anche tu che Bryce esagera sempre.»
«Quello che so io è che avete litigato e recato turbativa alla quiete pubblica.»
«Si è espresso davvero così?»
«È il testimone che si è espresso così.»
«Quale testimone?»
«Quello che ha fatto la segnalazione telefonica.»
«E tu gli hai parlato personalmente?»
«Non sono riuscito a trovare nessuno che avesse assistito alla scena.»
«Quindi hai indagato» osservo.
«A seguito della segnalazione, sono andato in Harvard Square e ho chiesto un po’ in giro. Ma, come al solito, nessuno aveva visto un accidente.»
«Appunto. È ridicolo.»
«Ho paura che qualcuno ce l’abbia con te» dice. Non è la prima volta, e non sarà l’ultima.
Marino vive nell’ansia costante che mi succeda qualcosa di terribile. In realtà è preoccupato soprattutto per se stesso. Lo faceva anche con la moglie, Doris, prima che lei lo lasciasse per un venditore di auto. Marino non capisce la differenza tra dipendenza affettiva e amore. Per lui sono la stessa cosa.
«Se vuoi, a spese dei contribuenti, puoi controllare le riprese delle telecamere di sicurezza di Harvard Square, in particolare davanti alla Coop» suggerisco. «Vedrai che non ho preso a schiaffi né Bryce né nessun altro.»
«Mi domando se tutto questo abbia a che fare con la conferenza di domani sera alla Kennedy School» osserva Marino. «È su tutti i media perché l’argomento è controverso. Quando con il generale Briggs avete deciso di parlare dell’esplosione dello space shuttle, avreste dovuto mettere in conto che avreste attirato un’orda di svitati. Sono tanti a pensare che il Columbia sia stato abbattuto dagli UFO e che il programma spaziale degli shuttle sia stato sospeso per questo.»
«Sto ancora aspettando che tu mi dica il nome del presunto testimone che ha chiamato il 911 e ha mentito a uno dei vostri operatori.» Non voglio che si lanci in uno dei suoi sproloqui ossessivi su presunti complotti e relative nefaste conseguenze sulla tavola rotonda di domani sera alla Kennedy School.
«Si è rifiutato di fornire le proprie generalità all’operatore che ha risposto alla chiamata» replica Marino. «Probabilmente ha usato un telefono usa e getta comprato in un negozio CVS. Il numero è irrintracciabile. Ci stiamo ancora lavorando, ma ho paura che non ci sia verso di risalire all’intestatario. Purtroppo capita spesso ultimamente.»
Attraverso l’ombra di una quercia secolare con rami bassi troppo verdi e rigogliosi per essere settembre. Il caldo torrido della sera incombe come una mano infuocata al cui tocco tutto appassisce e muore. Sposto il sacchetto con i miei acquisti da un braccio all’altro. La mia cartella da postino è pesantissima, fra computer portatile, documenti ed effetti personali, e la tracolla mi sega la spalla.
«Dove sei esattamente?» La voce di Marino va e viene.
«Ho preso una scorciatoia.» Non ho voglia di dargli le mie coordinate. «E tu? La voce mi arriva attutita, come se tu avessi la testa dentro un barile. Sei in macchina?»
«Cosa fai, passi dal Johnston Gate e attraversi Harvard Yard per sbucare in Quincy Street?»
«Cos’altro dovrei fare?» rispondo in modo evasivo e con il fi...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. CAOS
  4. PROLOGO
  5. 1
  6. 2
  7. 3
  8. 4
  9. 5
  10. 6
  11. 7
  12. 8
  13. 9
  14. 10
  15. 11
  16. 12
  17. 13
  18. 14
  19. 15
  20. 16
  21. 17
  22. 18
  23. 19
  24. 20
  25. 21
  26. 22
  27. 23
  28. 24
  29. 25
  30. 26
  31. 27
  32. 28
  33. 29
  34. 30
  35. 31
  36. 32
  37. 33
  38. 34
  39. 35
  40. 36
  41. 37
  42. 38
  43. 39
  44. 40
  45. 41
  46. 42
  47. 43
  48. 44
  49. 45
  50. 46
  51. 47
  52. Copyright