Il capolavoro
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Il capolavoro

  1. 360 pagine
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Il capolavoro

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Ushuaia, 1978. Cristina Torres è una bella ragazza ventottenne che fa la guida alpina sui ghiacciai. Tornando a casa dopo un'escursione scopre che la madre è stata uccisa e il padre è scomparso, mentre un altro misterioso omicidio avviene nella apparentemente tranquilla cittadina della Terra del Fuoco. Tra Cristina e il padre Roberto c'è un rapporto molto speciale da quando l'uomo l'ha adottata all'età di cinque anni e l'ha educata con infinito amore e dedizione per farne il proprio "capolavoro". Decisa a ritrovarlo a tutti i costi, Cristina parte per un viaggio che la porterà dalla Patagonia fino a Buenos Aires, attraverso un paese oppresso dalla dittatura di Videla.

In parallelo seguiamo le vicende di Dominic Klammer, un neurologo che nella Germania nazista prende parte al progetto dell'Aktion T4 nel castello di Hartheim, cercando di contrastare il protocollo volto all'eliminazione dei malati di mente. La sua è una lotta silenziosa, clandestina, che gli permette di salvare molte vite. Nel 1945, quando Berlino è assediata dalle bombe e i russi sono alle porte, Dominic conosce la dolce Magdalena che lo salva dalle macerie. La sua vita è a una svolta.

A Buenos Aires, intanto, Cristina si stabilisce dall'amica Manuela e continua le ricerche del padre e dell'assassino della madre, aiutata in parte da Andrès, un poliziotto di Ushuaia da sempre innamorato di lei. Niklas, il fratello di Manuela, è un ragazzo dal fascino oscuro, ed è un membro dei Montoneros, i ribelli che organizzano azioni contro i militari: Cristina è attratta da lui, al punto da mettersi nei guai.

Dalla Seconda guerra mondiale alla vicenda delle Isole Falkland nei primi anni Ottanta, Cinzia Tani imbastisce con la consueta abilità e passione una storia in cui le vite dei protagonisti si snodano sullo sfondo di una precisa, vivacissima ambientazione storica, tra colpi di scena e avventure, in una vorticosa rincorsa verso un finale mozzafiato.

Cinzia Tani, giornalista e scrittrice, è inoltre autrice e conduttrice di programmi radiotelevisivi, tra cui "Il caffè di Rai Uno", "Visioni Private", "FantasticaMente", "Assassine" e "Italia mia benché". Nel 2004 è stata nominata Cavaliere della Repubblica per meriti culturali. Ha pubblicato fra l'altro per Mondadori: Assassine (1998), Coppie assassine (1999), Nero di Londra (2001), Amori Crudeli (2003), L'insonne (2005), Sole e ombra (2007, Selezione Premio Campiello), Lo stupore del mondo (2009), Charleston (2010), Io sono un'assassina (2011), Il bacio della dionea (2012), Mia per sempre (2013), La storia di Tonia (2014).

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2017
ISBN
9788852079009

1

Cristina si volta di scatto perché un gabbiano le passa a pochi centimetri dalla testa stridendo forte. Rimane immobile qualche istante davanti alla porta di casa e si guarda intorno: a parte il grido dell’uccello, la cui eco si perde in lontananza, non c’è un rumore.
Appoggia lo zaino sull’erba e cerca le chiavi nella tasca: è sfinita, ha bisogno di un bagno caldo e di cambiarsi.
Tutto è fermo. Che strana sensazione di spaesamento… Cristina la attribuisce alla notte insonne e a ciò che è successo ieri durante l’escursione al Perito Moreno.
Nonostante le raccomandazioni al gruppo di rimanere uniti, un turista si era allontanato avventurandosi nel ghiacciaio per conto suo. Solo alla fine della gita, quando i partecipanti si sono seduti sui panchetti per togliersi i ramponi, Cristina li ha contati di nuovo e si è accorta che ne mancava uno. È tornata indietro a cercarlo, l’ha chiamato per nome rifacendo diverse volte il percorso e infine ha avvertito i soccorsi.
L’uomo era scivolato in un crepaccio e lei, sentendosi responsabile per averlo perso di vista, ha insistito per farsi imbracare e scendere a salvarlo. Fortunatamente, un blocco di ghiaccio aveva arrestato la caduta a pochi metri dal bordo e il turista era ancora vivo, anche se semiassiderato. Mentre il gruppo dormiva in albergo a El Calafate, Cristina è rimasta in ospedale tutta la notte senza chiudere occhio e, quando al mattino l’uomo è stato dichiarato fuori pericolo, ha organizzato la partenza del gruppo in aereo per tornare a Buenos Aires, mentre lei rientrava a Ushuaia.
L’incidente l’ha sconvolta, è il primo che capita da quando fa la guida nei ghiacciai della Patagonia. Durante la notte ha ripercorso mentalmente tutte le fasi della gita, alla ricerca del momento di disattenzione in cui l’uomo è scomparso. Di solito prima di partire per l’escursione osserva attentamente i partecipanti, imprimendosi nella memoria qualche dettaglio fisico o dell’abbigliamento di ciascuno. Come ha fatto a perderlo di vista? Non si perdona la propria leggerezza: deve parlarne con il padre, che le ha insegnato a essere intransigente innanzitutto con se stessa.
“Tu non puoi sbagliare, Cristina” le ripete quando lei ha un dubbio, quando deve compiere una scelta, quando teme di aver commesso un errore.
“Ma tutti sbagliano prima o poi…” prova a controbattere lei.
“Non tu! Non con quello che ti ho insegnato, non per come ti ho educata, tu sei il mio capolavoro!”
Rinuncia al bagno caldo e non entra in casa, preferisce andare a cercare suo padre subito in ufficio, all’ultimo piano dell’Hotel Estrella, l’albergo di sua proprietà a Ushuaia. È un ambiente spazioso, illuminato da una grande vetrata che dà sul canale di Beagle. Quando va a trovarlo, spesso lo vede di spalle, apparentemente immerso nella contemplazione del mare, delle barche ancorate, del movimento di pescatori e scaricatori di porto che da quell’altezza sembrano formiche che hanno perso l’orientamento. Gli arriva accanto e percepisce che è lontano da lì, lontano da quel mare e quel porto. Lontano da lei. Gli tocca il braccio perché si volti e ha l’impressione che suo padre riemerga da un altro mondo, con l’aria stordita e ombre scure nello sguardo.
Appena la scorge, il volto di Roberto si addolcisce, gli occhi sorridono alla sua niña, come ancora la chiama nonostante Cristina abbia ventotto anni. Le scioglie il nastro con cui lei raccoglie i capelli per comodità e li accarezza mentre la ascolta.
Quando era piccola, la voce cantilenante di bambina che gli raccontava di un gioco, un voto, un compagno, lo faceva sentire in pace. Le aveva dato il permesso di arrivare a qualsiasi ora ed entrare nella stanza senza bussare. Le scaldava fra le sue le mani gelate, le tirava giù il cappuccio perché uscissero i lunghi capelli castani che le chiedeva di non tagliare, ordinava per lei una cioccolata calda. “La mia bambina… la mia niña…” ripeteva, sempre sorpreso dal colore degli occhi di Cristina, azzurro intenso come i suoi, anche se non era sua figlia.
La segretaria le comunica che il signor Torres quel giorno non si è visto.
«È strano…» commenta Cristina.
«Già. È strano. A quest’ora è sempre in ufficio» afferma Klara che è molto più di una segretaria, è il braccio destro, la sorella, l’assistente di Roberto Torres che l’ha assunta vent’anni fa.
Era la cameriera del caffè nel centro di Ushuaia in cui lui andava ogni mattina a fare colazione sedendosi sempre allo stesso tavolo. Da lì notava la sveltezza dei movimenti, la precisione con cui la ragazza intuiva lo stato d’animo di ogni avventore abituale per poi trattarlo di conseguenza, la rapidità nel fare i conti. Efficienza e gentilezza, concentrazione e impegno erano le caratteristiche perfette che cercava in un’assistente. Le offrì di lavorare per lui a uno stipendio che lasciò Klara a bocca aperta. “Ma io non sono in grado di…” aveva protestato. La interruppe per dirle che tutto quello che serviva era innato in lei, il resto l’avrebbe imparato gradualmente. A Roberto bastavano pochi minuti di attenta osservazione per capire il carattere di una persona e il suo potenziale grado di fedeltà.
Per venti lunghi anni Klara gli ha dedicato il suo tempo, felice del lavoro, felice di poter stare accanto a quell’uomo speciale, tanto felice da perdere di vista l’idea di farsi una famiglia sua.
Cristina rimanda ancora il ritorno a casa per fare un salto alla scuola elementare in cui lavora la madre. Aspetta che suoni la campanella mettendosi poco lontano, sotto il portico, perché se le mamme la vedessero andrebbero a salutarla e lei non ha voglia di chiacchierare. Quando termina lo sciame di grembiulini e le donne se ne vanno coi bambini per mano, entra nell’edificio. La direttrice la vede e le chiede di Marianna. «Sta poco bene? Oggi non è venuta…»
«Come, non è venuta?»
«No… e non ci ha neppure avvertiti.»
«Mia madre non lo farebbe mai!»
«Infatti mi sono sorpresa. Se non ti avessi vista, sarei passata io a casa vostra. Starà poco bene.»
«Forse ha ragione. Sono tornata da un’escursione e non sono ancora entrata in casa. Corro subito a controllare.»
«Fammi sapere!» le grida dietro la donna.
La villa dei Torres si trova nell’estremo nord della città, ai margini di un fitto bosco. È abbastanza in alto perché dalle finestre anteriori si veda il mare mentre da quelle posteriori, alzando lo sguardo oltre la cima degli alberi, appaiono le montagne Martiales perennemente innevate.
Cristina apre la porta lentamente chiamando ad alta voce la madre e rimane nell’ingresso aspettando una risposta che non arriva. Vivendo gran parte delle sue giornate sui ghiacciai, conosce bene il silenzio, ma quello che percepisce in casa la spaventa. È un silenzio minaccioso, come quello che si diffonde in un luogo in cui è passato un ciclone, una tempesta, una devastazione.
Le basta fare pochi passi per trovarla, sul pavimento, senza vita. Si inginocchia accanto a lei e le prende il capo in grembo. Marianna ha gli occhi aperti e lei li guarda a lungo, cercando quel brillìo sorridente con cui sempre la accoglie al ritorno a casa. Le carezza i capelli impiastricciati di sangue. Le braccia sono fredde e rigide e Cristina è paralizzata dall’orrore e dalla tenerezza. Tenerezza per quel corpo bello e amato, abbandonato come una bambola scomposta, con una gamba piegata in modo innaturale. Per diversi minuti non pensa a niente, osserva la madre in ogni dettaglio. Tira giù la gonna blu che si è alzata sulle cosce, le aggiusta la camicetta e il golfino. Le sussurra parole senza senso: «Mamma, che fai qui? Perché non sei a scuola? Sono venuta a prenderti…».
Quel corpo senza vita così estraneo a una casa vibrante di vitalità, di allegria e movimento, di scalpiccii sulle scale, di odori buoni in cucina, di bambini che passano a trovare la loro maestra o mamme che vogliono consigli, la ipnotizza e le impedisce di muoversi. Non riesce a focalizzare l’evento che ha davanti, il sangue che parla di morte violenta, l’assenza sorprendente del padre. Poi la mente si agita in mille pensieri e lei si alza, appoggiando con delicatezza il capo della donna sul pavimento. Deve chiamare l’ambulanza oppure la polizia? Dov’è suo padre? Un pensiero improvviso la spinge a correre in tutte le stanze, temendo di trovare un altro cadavere. Ma lui non c’è.
Ha bisogno di parlare con qualcuno e le viene in mente Andrès, il suo amico poliziotto. Gli telefona chiedendogli di raggiungerla subito perché la madre è stata uccisa.
Lui arriva insieme all’ambulanza e ad altri agenti. Trova Cristina seduta sul letto nella camera dei genitori. Si sta fissando le mani. «Dov’è mio padre?» gli chiede.
«Lo stanno cercando per avvertirlo.»
«Perché mia madre era a casa a quest’ora?»
«Non lo so…»
«Ma che cosa è successo?»
«È stata… accoltellata. Credo. Comunque adesso se ne occupa il medico legale.»
Cristina si alza di scatto dal letto, non vuole assistere all’invasione della sua casa, alle ipotesi davanti al cadavere di Marianna, alle domande e alle condoglianze. «Vado a cercarlo!» afferma e se ne va prima che Andrès possa trovare una ragione per trattenerla. Ogni dolore di Cristina è anche il suo. Andrès è l’amico più caro, il confidente, il rifugio, ma lui non ha mai visto nel suo sguardo il riflesso dell’amore che da anni prova per lei.
Cristina lascia velocemente la villa senza guardare l’ambulanza ferma davanti al cancello, le auto della polizia e le persone che cominciano a radunarsi per capire cosa sia successo. Va di nuovo in albergo a verificare se il padre sia arrivato ma non lo trova e a Klara che la vede sconvolta non racconta niente. Non può parlare adesso. Entra nei due negozi che Roberto sta facendo costruire, passa nei caffè, nelle taverne. Alla fine si trova di nuovo davanti alla scuola e si chiede perché sia arrivata fino a lì. Si siede su un muretto e guarda l’ingresso deserto, da dove la madre non uscirà più. Chissà perché le vengono in mente proprio ora i racconti dei genitori quando chiedeva come si fossero conosciuti.
Nel dopoguerra il governo argentino voleva costruire la capitale della Terra del Fuoco, Ushuaia, e affidò a imprese italiane i lavori di opere pubbliche, strade, case, una scuola e un ospedale. Il bolognese Carlo Borsari, proprietario di una falegnameria industriale e di una ditta di costruzioni, si era candidato per il progetto ed ebbe l’incarico dal presidente Perón. In sei mesi insieme ai suoi operai si procurò il materiale da portare in Argentina, e tutto fu caricato sulla nave Genova, in partenza dal porto ligure.
Prima del viaggio, Borsari e la moglie furono ricevuti in udienza da Papa Pio XII, davanti al quale l’imprenditore si impegnò a fornire assistenza religiosa agli emigranti. Fu così che sulla nave salì anche un sacerdote, don Antonelli, e con lui una statua della Madonna della Guardia, regalo del Pontefice. Il 26 settembre 1948 si imbarcarono seicento lavoratori con le loro famiglie e quando, dopo un viaggio di trentadue giorni, giunsero nella Terra del Fuoco, trovarono un luogo tremendamente inospitale.
Ushuaia era un villaggio con qualche casa e un vecchio penitenziario fatiscente costruito nel 1902 per rinchiudervi i delinquenti recidivi. Gli operai e i tecnici di Borsari alloggiarono inizialmente in una nave militare ormeggiata al porto e nel vecchio penitenziario mentre venivano costruite le prime baracche.
Emilio Poli aveva lasciato la moglie Marianna a Bologna perché era incinta e non voleva farle affrontare il difficile viaggio, ma quando finalmente la donna arrivò a Ushuaia, il 5 agosto 1949, sulla motonave Giovanna C. insieme alla piccola Cristina, apprese che il marito era morto tre giorni prima cadendo da un’impalcatura. Fu lo stesso Carlo Borsari a darle la notizia perché voleva farlo con tutta la delicatezza necessaria.
Marianna si vide crollare il mondo addosso. Carlo Borsari, impietosito dalla sua situazione, le propose di pagarle il viaggio di ritorno in Italia ma lei rifiutò. «Mio marito voleva lavorare qui. Lui non c’è più ma ci sono io.»
«Certo, potete rimanere. Vi daremo una delle case. Che cosa sa fare? Forse cucinare?»
«Sono maestra elementare…»
«Benissimo! Insegnerà ai bambini, ne sono arrivati moltissimi. Ho pensato a tutto. Al sacerdote, a operai e tecnici di ogni tipo, al medico… ma non a un’insegnante. Sarà preziosa per la comunità.»
Borsari le aveva assegnato una delle case appena costruite, dove Marianna riceveva i bambini mentre veniva edificata la scuola, con grande sollievo delle madri che così potevano occuparsi dei più piccoli, della raccolta e distribuzione del cibo e di altre incombenze per tutta la comunità. Gli italiani fabbricarono case, strade, una centrale idroelettrica, un ospedale, lo stabilimento per la produzione di legno compensato e il municipio. Infine ebbero la scuola.
Roberto Torres era arrivato a Ushuaia nel 1955 per investire nella città appena nata. Acquistò un appezzamento di terreno vicino al porto e decise di edificarvi un albergo, mentre in altri lotti volle che fossero realizzati negozi di mobili e arredamento.
Aveva conosciuto Marianna una mattina di maggio andando a controllare i lavori vicino alla scuola. Lei stava radunando i bambini nel cortile alla fine della ricreazione. Uno dei piccoli le era sfuggito e si era messo a correre lungo la strada. Roberto l’aveva fermato tirando fuori dalla tasca una caramella. «La vuoi?» Il bambino era rimasto indeciso qualche istante: continuare la fuga o accettare il regalo? Aveva optato per quest’ultima soluzione e Marianna l’aveva raggiunto. «Grazie» aveva detto a Roberto sorridendo prima di allontanarsi con il piccolo. Lui era rimasto nel negozio tutta la mattina a ideare una scusa per rivederla.
Anche Marianna, mentre era in classe, aveva ripensato a quell’uomo gentile. Il semplice gesto verso il bambino in fuga l’aveva conquistata. Da quando il marito era morto non aveva più guardato un altro uomo, né accettato inviti che pure arrivavano numerosi dagli scapoli della comunità italiana. Era “la giovane vedova solitaria”, come l’avevano soprannominata: le bastava occuparsi di Cristina e dei suoi alunni, poi c’erano le chiacchiere delle donne, i tè bollenti con le amiche nei pomeriggi gelidi, le passeggiate attraverso i boschi nelle domeniche meno fredde.
Uscendo da scuola, Marianna era rimasta sorpresa nel rivedere l’uomo a pochi metri dal cancello. «Ancora qui?»
«Sto seguendo i lavori di un mio negozio… quello» aveva risposto indicandole gli operai che, non ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. IL CAPOLAVORO
  4. 1
  5. 2
  6. 3
  7. 4
  8. 5
  9. 6
  10. 7
  11. 8
  12. 9
  13. 10
  14. 11
  15. 12
  16. 13
  17. 14
  18. 15
  19. 16
  20. 17
  21. 18
  22. 19
  23. 20
  24. 21
  25. 22
  26. 23
  27. 24
  28. 25
  29. 26
  30. 27
  31. 28
  32. 29
  33. 30
  34. 31
  35. 32
  36. 33
  37. 34
  38. 35
  39. 36
  40. 37
  41. 38
  42. 39
  43. 40
  44. 41
  45. Copyright