L'arte di essere fragili
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L'arte di essere fragili

Come Leopardi può salvarti la vita

  1. 216 pagine
  2. Italian
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L'arte di essere fragili

Come Leopardi può salvarti la vita

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"Esiste un metodo per la felicità duratura? Si può imparare il faticoso mestiere di vivere giorno per giorno in modo da farne addirittura un'arte della gioia quotidiana?" Sono domande comuni, ognuno se le sarà poste decine di volte, senza trovare risposte. Eppure la soluzione può raggiungerci, improvvisa, grazie a qualcosa che ci accade, grazie a qualcuno. In queste pagine Alessandro D'Avenia racconta il suo metodo per la felicità e l'incontro decisivo che glielo ha rivelato: quello con Giacomo Leopardi.

Leopardi è spesso frettolosamente liquidato come pessimista e sfortunato. Fu invece un giovane uomo affamato di vita e di infinito, capace di restare fedele alla propria vocazione poetica e di lottare per affermarla, nonostante l'indifferenza e perfino la derisione dei contemporanei. Nella sua vita e nei suoi versi, D'Avenia trova folgorazioni e provocazioni, nostalgia ed energia vitale. E ne trae lo spunto per rispondere ai tanti e cruciali interrogativi che da molti anni si sente rivolgere da ragazzi di ogni parte d'Italia, tutti alla ricerca di se stessi e di un senso profondo del vivere. Domande che sono poi le stesse dei personaggi leopardiani: Saffo e il pastore errante, Nerina e Silvia, Cristoforo Colombo e l'Islandese... Domande che non hanno risposte semplici, ma che, come una bussola, se non le tacitiamo possono orientare la nostra esistenza. La sfida è lanciata, e ci riguarda tutti: Leopardi ha trovato nella poesia la sua ragione di vita, e noi? Qual è la passione in grado di farci sentire vivi in ogni fase della nostra esistenza? Quale bellezza vogliamo manifestare nel mondo, per poter dire alla fine: nulla è andato sprecato?

In un dialogo intimo e travolgente con il nostro più grande poeta moderno, Alessandro D'Avenia porta a magnifico compimento l'esperienza di professore, la passione di lettore e la sensibilità di scrittore per accompagnarci in un viaggio esistenziale sorprendente. Dalle inquietudini dell'adolescenza - l'età della speranza e dell'intensità, nei picchi di entusiasmo come negli abissi di tristezza - passiamo attraverso le prove della maturità - il momento in cui le aspirazioni si scontrano con la realtà -, per approdare alla conquista della fedeltà a noi stessi, accettando debolezze e fragilità e imparando l'arte della riparazione della vita. Forse, è qui che si nasconde il segreto della felicità.

Alessandro D'Avenia, trentanove anni, dottore di ricerca in Lettere classiche, insegna Lettere al liceo ed è sceneggiatore. Dal suo romanzo d'esordio, Bianca come il latte, rossa come il sangue (Mondadori 2010), è stato tratto nel 2013 l'omonimo film. Sempre per Mondadori ha pubblicato Cose che nessuno sa (2011). Con Ciò che inferno non è (2014) ha vinto il premio speciale del presidente al premio Mondello 2015.

Le sue opere sono tradotte in tutto il mondo.

Da questo libro l'autore ha tratto un racconto teatrale che porterà in giro per l'Italia.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2016
ISBN
9788852077418

ADOLESCENZA

o l’arte di sperare
La speranza è come l’amor proprio, dal quale immediatamente deriva. L’uno e l’altra non possono, per essenza e natura dell’animale, abbandonarlo mai finch’egli vive, cioè sente la sua esistenza.
Zibaldone, 31 dicembre 1821

Fondarsi sulle stelle

Una casa pensile in aria sospesa con funi a una stella.
Zibaldone, 1° ottobre 1820
Caro Giacomo,
nessuno di noi si sottrae al rito delle stelle cadenti, perché almeno una notte ogni trecentosessantacinque tutti vogliono sentirsi parte di una storia infinita, nella quale al cadere di una stella si leva un desiderio, come se i nostri sogni fossero collegati con i movimenti dell’universo secondo una logica perfetta. Gli antichi, infatti, dicevano che se le stelle non determinano i fatti della vita almeno li influenzano. In quell’istante, immersi nel buio che copre il brutto vizio di non sentirci all’altezza della vita, siamo finalmente titolati a esprimere nel silenzio del nostro cuore ciò che per noi più conta, ciò per cui desideriamo vivere. Quella scia silenziosa di fuoco penetra attraverso i nostri occhi e con il suo ultimo sussulto di fiamma innesca le polveri inerti del nostro cuore, provocando un’esplosione ed espansione inedita.
In quel momento sentiamo di meritare la bellezza, proprio per la sua gratuità, e si fa strada in noi la fiducia che la vita quotidiana possa diventare il terreno fertile per coltivare i nostri desideri, perché fioriscano. Sono attimi che mi piace definire di “rapimento”, improvvise manifestazioni della parte più autentica di noi, quel che sappiamo di essere a prescindere da tutto: risultati scolastici, successi lavorativi, giudizi altrui e l’esercito minaccioso di fatti che vorrebbero costringerci entro i confini della triste regione dei senza sogni. In una notte di stelle la parte più vera di noi cerca di farsi spazio, anche se spesso ci affrettiamo a convincerci che sia stato solo un gioco o un sogno “campato in aria”. Ma proprio tu, Giacomo, inesausto frequentatore di spazi celesti, avevi compreso che la parte più vera di noi è una casa da poter abitare ovunque, con le fondamenta al contrario, appese a una stella, non cadente ma luminoso riferimento per la nostra navigazione nel mare della vita. Tu mi hai insegnato che il rapimento non è il lusso che possiamo concederci una notte all’anno, ma la stella polare di una vita intera.
Non si tratta di esperienze mistiche o sentimentali, ma vertiginose e originali, qualcosa che tutti sperimentano quando si innamorano, come testimoniano i versi di Pedro Salinas alla sua amata, tratti dal canzoniere d’amore del Novecento che amo di più: “Quando tu mi hai scelto / – fu l’amore che scelse – / sono emerso dal grande anonimato / di tutti, del nulla. / […] Ma quando mi hai detto: ‘tu’ / – a me, sì, a me, fra tutti – / più in alto ormai di stelle /o coralli sono stato. / […] Possesso di me tu mi davi, / dandoti a me” (La voce a te dovuta). Quando si è scelti si scopre la propria originalità: lo spazio interiore si amplia a dismisura e da lì ci si può lanciare nel mondo senza paura. Veniamo rapiti quando un frammento di realtà ci chiama a uscire da noi stessi pur rimanendo in noi stessi, anzi appropriandoci del nostro io autentico più in profondità. Abbiamo l’impressione di poter finalmente afferrare la vita e farla nostra: vogliamo la luna e non ci sentiamo stupidi a desiderarla, quasi fosse un diritto e un dovere.
Anche tu, Giacomo, percepisti di essere qualcuno e non qualcosa in un momento di rapimento. Esser poeta era il tuo compito, la poesia la tua casa ancorata alle stelle: per far tuo il segreto di quella gravità al contrario non potevi essere meno che poeta. Tu sei l’uomo grazie al quale posso portare, tutte le volte che voglio, una notte stellata dentro la mia stanza, una luna piena dentro la mia classe, e per qualche istante ritrovare intatti i desideri più profondi del cuore, senza che il cinismo li chiami follie.
Qualche tempo fa mi sono ritrovato con una supplenza di un’ora in una classe dell’ultimo anno delle superiori. Era un lunedì qualunque, di quelli che si affacciano con il peso del dì di festa malinconicamente alle spalle. Mi sono giocato quell’ora nell’unico modo che non mi risulta deprimente: vediamo che cosa imparo da ragazzi che non conosco e forse non vedrò più. Ho deciso di farmi raccontare i loro momenti di rapimento nel corso degli ultimi anni. I momenti in cui il richiamo del mondo reale li ha rapiti e riportati dentro loro stessi facendoli esclamare: “Questa è casa, è così che vorrei abitare il mondo”.
Uno di loro mi ha parlato dello sci alpinismo e del contatto con il silenzio della montagna, un altro della sua passione per i componenti elettronici e dei circuiti che sta costruendo per la gestione intelligente della casa; una mi ha raccontato del deserto in Mauritania dove ha passato alcune notti e dove ha percepito tutto il vuoto che c’è sotto le stelle, un’altra del suo sentirsi a casa quando si occupa di bambini, mentre un’altra ancora aveva cominciato a fare volontariato sulle ambulanze per il primo soccorso e si era sentita finalmente utile. Un ragazzo mi ha parlato dei Lençóis Maranhenses, le “lenzuola” dell’area desertica di Maranhão in Brasile, dalla caratteristica sabbia bianca che si riempie di pozze d’acqua piovana purissima e si affaccia sul mare, come un luogo appena uscito dalle mani di Dio, mentre un altro mi ha spiegato che guardando i film dei grandi registi si sente chiamato a creare immagini e storie altrettanto belle. I ragazzi cercano case ancorate alle stelle nel contatto con una natura che racconta l’infinito e, con la sua bellezza schiacciante, richiama a una purezza al tempo stesso vergine, indomabile e pericolosa. Oppure nel contatto forte e reale con le vite degli altri, vite spesso fragili, per le quali fare qualcosa di buono.
Sono uscito da quella classe rinnovato nei desideri e nei progetti della mia vita, perché come loro si sono sentiti in quei luoghi, mi sento io in classe. Con i ragazzi e con i loro cuori malinconicamente assetati di infinito, di purezza, di amicizie, di slancio per ciò che è buono, vero, bello, io mi sento a casa, perché loro sono parte essenziale di quel rapimento che intuii quando avevo diciassette anni e decisi che avrei fatto l’insegnante. Furono tre le mie stelle cadenti.
Un giorno, a quell’età, mi soffermai per caso su un canale che trasmetteva un film in cui un rapito Robin Williams, nelle vesti di un professore, risvegliava le anime assopite dei suoi ragazzi spingendoli a cercare, tra le pagine della letteratura e della vita, il verso che avrebbero aggiunto al grande poema del mondo. In quella scena vidi il mio futuro e il senso delle passioni maturate, quasi inconsapevolmente, nel mio passato.
Tutto fu confermato, qualche tempo dopo, da un momento simile, quello in cui il mio professore di lettere mi prestò il suo libro preferito, le poesie di Hölderlin, e mi disse che dovevo leggerlo in due settimane. Tra quei versi e le annotazioni a matita del mio insegnante fui rapito da quel poeta capace di infinito come pochissimi, debole nell’arte della vita ma versato più di ogni altro in quella della musica delle parole: “Sai tu di che porti il lutto? Non è cosa morta solo da qualche anno, non si può dire esattamente quando esistette, quando passò: ma fu, è, è in te. Quel che tu cerchi è un tempo migliore, un mondo più bello” (Diotima a Iperione, in Iperione). Mi sentii a casa, in quella ricerca della bellezza, in quella malinconia di un lutto che lutto non era, ma era una sete che condividevo. Mi rapì anche il fatto di essere depositario di un segreto, quello del mio insegnante, che in me aveva visto il fuoco di un futuro docente come lui e che quella mattina, invece di lamentarsi di un altro giorno di scuola, aveva scelto dalla sua biblioteca un libro per un alunno, proprio quell’alunno che ora ti scrive.
E infine, quello stesso anno, il professore di religione della mia scuola, padre Pino Puglisi, detto “3P”, fu ucciso dalla mafia. Anche in quel caso fui rapito, ma dal dolore (molti rapimenti sono frutto di crisi profonde) e dal desiderio di essere un insegnante capace di dare in qualche modo la vita per i ragazzi, anche per quelli che non sembrano meritare i nostri sforzi.
Come tu mi hai scritto, Giacomo, desideri, passioni, dolori, e soprattutto l’amore, sono il catalizzatore del destino nel caos di atomi della nostra fragile esistenza:
Nessuno diventa uomo innanzi di aver fatto una grande esperienza di sé, la quale rivelando lui a lui medesimo e determinando l’opinione sua intorno a se stesso, determina in qualche modo la fortuna e lo stato suo nella vita. […] Il conoscimento e il possesso di se medesimo suol venire o da bisogni e infortuni, o da qualche passione grande, cioè forte; e per lo più dall’amore.
(Pensieri, LXXXII)
Ancora oggi, che ho trentanove anni, vivo del fuoco di quei rapimenti di diciassettenne: sono il mio centro, la mia originalità, la mia casa, la mia gioia quotidiana, il mio entusiasmo, ciò da cui tutto ha avuto origine. Non può essere meno potente di una stella, il fuoco che innesca la passione per la vita, per questo tu immaginavi una casa ancorata alle stelle, e le stelle ti hanno accompagnato dal primo all’ultimo verso. Sembrano metafore e parole, immagini di sognatori, ma dopo anni di insegnamento so che è la verità.
Caro Giacomo, tu mi hai svelato il segreto per far fiorire un destino umano intuito nell’adolescenza. Solo la fedeltà al proprio rapimento rende la vita un’appassionante esplorazione delle possibilità e le trasforma in nutrimento, anche quando la realtà sembra sbarrarci la strada.
Raccontami dove hai trovato la forza, Giacomo. Suggeriscimi che cosa posso rispondere a quella ragazza che mi ha confidato che i due rapimenti della sua vita, un amore e la danza, sono miseramente falliti, per mancanza di corrispondenza il primo, e per un infortunio grave la seconda. Raccontami come hai fatto tu a essere fedele per tutta la vita a quel primo rapimento, quando nel corso degli anni ti sembrò impossibile farne realtà.
Raccontaci come si lotta per essere felici quando tutto il mondo resiste e la corrente è contraria, perché anche noi possiamo trovare la tua chiarezza e la tua forza. Insegnaci il segreto di un cielo stellato trecentosessantacinque giorni all’anno, di una vita che si aggrappa al futuro. Se un seme non “spera” nella luce non mette radici, ma sperare è difficile, perché richiede consapevolezza di sé, apertura e tanti fallimenti. Sperare non è il vizio dell’ottimista, ma il vigoroso realismo del fragile seme che accetta il buio del sottosuolo per farsi bosco. Insegnaci, Giacomo, quest’arte di sperare.

Rapimento, o la chiamata a essere qualcuno

Umilmente domando se la felicità dei popoli si può dare senza la felicità degli individui.
Lettera a Pietro Giordani, 24 luglio 1828
Caro Giacomo,
un antico proverbio dice che “un seme nascosto nel cuore di una mela è un frutteto invisibile”. Per saper vedere le cose racchiuse nel seme, però, ci vuole un senso speciale, il senso dell’originalità: niente di eccentrico e straordinario, è la pura e semplice consapevolezza dell’origine, che ci permette di intuire per che cosa siamo al mondo. Ma il suo manifestarsi è così piccolo che occorre prestare un’attenzione assoluta, perché questa origine ci raggiunga. Ognuno nella vita ha almeno un minuto di nitida chiarezza, luce e gioia d’essere al mondo come portatore di una novità irreplicabile. Questo è l’inizio della felicità, mi hai detto: come possibilità da abitare e far fiorire.
Sono pochi ed essenziali i momenti di rapimento nella vita di un uomo e, in quegli istanti, passato, presente e futuro diventano all’improvviso compresenti, come un seme in cui simultaneamente si riescano a scorgere l’albero da cui proviene, l’albero che genererà e tutte le stagioni in mezzo. Questo senso di ampliamento e contrazione del tempo, cristallizzazione e apertura, è rapimento, contatto con la propria origine e quindi originalità.
È come quando pensiamo, della persona di cui ci siamo innamorati, “mi sembra di conoscerti da sempre” e “voglio stare con te per sempre”. Quando accade, ci sentiamo chiamati a una felicità duratura, non effimera: non siamo più anonimi, finalmente possediamo un nome proprio, che nessun altro può avere.
Per questo, Giacomo, non comincio a raccontare la tua vita dal giorno in cui nascesti, o dalla tua infanzia, come giustamente fanno gli storici, perché i romanzieri hanno un’altra percezione del tempo. Chi narra sa che il tempo ruota attorno a un nucleo, una sorgente, che non è l’inizio, è semplicemente il centro, in relazione al quale il prima è preparazione e il dopo affermazione. Una biografia assomiglia a una linea, ma una vita assomiglia a una spirale, il centro rimane nella stessa posizione e i minuti gli si arrotolano attorno, ora più vicini ora più lontani, in base alla fedeltà alla propria originalità. Quel centro è il rapimento e l’adolescenza ne è lo scrigno.
Proprio in questi termini, quando avevi diciotto anni, tu mi hai descritto il tuo rapimento. Quattro anni prima tuo padre ti aveva dischiuso le meraviglie della sua biblioteca, che gli era costata dieci anni di lavoro e che aveva generosamente messo a disposizione della gente di Recanati e dintorni. Ti immagino seduto allo scrittoio dal quale volevi conquistare l’amore dei tuoi genitori, soprattutto di tuo padre. Piegato alla luce di una candela e con una coperta sulle spalle nei mesi più freddi, guardavi attraverso pagine capaci di raccontare mondi altrimenti inaccessibili dalle vie del borgo natio, come fanno oggi gli adolescenti con la rete.
Come tutti i ragazzi cercavi distrazione dalla noia di giornate tutte uguali e i libri erano l’unica risorsa a disposizione tra quelle mura. Nei libri cercavi la formula per essere felice, come se la felicità fosse una scienza, scavavi tra le pagine come un ragazzino che tenta di dissotterrare il tesoro seguendo gli indizi contenuti nella mappa. E il tesoro arrivò, ma in modo inaspettato, forse proprio per salvarti da quegli anni che ti procurarono un corpo inadatto a respirare bene.
A diciott’anni avvenne qualcosa di imprevedibile: il destino entrò dalle esili pareti del tuo corpo. Avevi voluto conoscere il mondo attraverso una biblioteca e la vita ti richiamò fuori da quelle stanze, in un libro diverso, fatto dalla natura.
Mi piace rileggere le parole che mi hai scritto per descrivere la luce della tua chiamata, fuori dalla biblioteca:
Quando io vedo la natura in questi luoghi che veramente sono ameni (unica cosa buona che abbia la mia patria) e in questi tempi spezialmente, mi sento così trasportare fuor di me stesso, che mi parrebbe di far peccato mortale a non curarmene, e a lasciar passare questo ardore di gioventù, e a voler divenire buon prosatore, e aspettare una ventina d’anni per darmi alla poesia.
(Lettera a Pietro Giordani, 30 aprile 1817)
Queste righe, rivolte a uno degli intellettuali più noti del tuo tempo, a cui avevi scritto proprio per chiedergli consiglio sul tuo futuro, sono la testimonianza del tuo minuto di rapimento, quel contatto vitale con la realtà che ci fa entrare in risonanza come un diapason, fino a capire che quella è la nostra tonalità, che quello spazio è casa nostra, che è lì che vorremmo abitare, perché è lì ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. L’ARTE DI ESSERE FRAGILI
  4. La felicità è un’arte, non una scienza
  5. ADOLESCENZA. o l’arte di sperare
  6. MATURITÀ. o l’arte di morire
  7. RIPARAZIONE. o l’arte di essere fragili
  8. MORIRE. o l’arte di rinascere
  9. Ringraziamenti
  10. Postilla per lettori indomiti
  11. Copyright