Il secondo figlio di Dio
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Il secondo figlio di Dio

Vita, morte e misteri di David Lazzaretti, l'ultimo eretico

  1. 240 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Il secondo figlio di Dio

Vita, morte e misteri di David Lazzaretti, l'ultimo eretico

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Informazioni sul libro

"chi mi vorrà capir, poco capisce.

chi poco capisce, molto intende!

gli uomini avranno un bel dire e fare calcoli sopra di me.

io sarò per loro un mistero incomprensibile."

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2016
ISBN
9788852077593

SECONDO GRADO DI CONOSCENZA

4

In viaggio

La guardai a lungo mentre dominava i due cavalli che tiravano il carretto su cui viaggiavamo, approfittando della sua natura silenziosa e della concentrazione con cui conduceva il carretto verso Arcidosso per studiarla con attenzione. Alla luce del sole mi parve ancora più angelica: una santa bambina che poteva contare sulla saggezza dei millenni.
E d’improvviso, con mio immenso stupore, mi sentii protetto soltanto a starle accanto.
D’un tratto, altrettanto repentinamente, come se la mia anima si fosse saturata di silenzio e contemplazione, cominciai a sentirmi a disagio. L’aria si fece pesante, l’odore delle bestie sudate divenne quasi insopportabile e il viaggio mi sembrò così compunto da assomigliare a una processione funebre, scossa giusto dal sobbalzare della strada sotto le ruote del carro e dai miei sospiri. Fu allora che desiderai ascoltare la sua voce e fu un desiderio che a un certo punto divenne impossibile da contenere.
«Pensate che troverò qualcosa lassù?» domandai cercando di dissimulare l’imbarazzo per aver spezzato il silenzio per primo.
«Non so cos’è rimasto alla torre, hanno distrutto tutto» rispose lei senza rabbia.
«La torre? Dov’è?» domandai.
«Sul monte Labbro, o Labaro, come lo chiamava David. La torre, l’eremo, la chiesa, la grotta con l’altare... ormai è andato perduto» disse.
«Avete saputo chi è stato a distruggere la torre?» domandai ancora.
«Qualche paesano, i soldati, o chissà chi altri... Alcuni per sfregio alla comunità, altri per cercare documenti» mi informò in modo laconico.
«Anche voi siete d’accordo con Maggi, dunque? Il processo è una farsa» insistei.
«Sì» ammise e non aggiunse altro.
«Mi aiuterete? Lassù, dico, mi aiuterete?» chiesi.
«Farò il possibile per aiutarti a comprendere, ma non so se ci riuscirai» ammise e di nuovo si chiuse in un silenzio non ostile, ma comunque impenetrabile.
Tentai di rispettare la sua natura taciturna per un po’. Ma poi le smanie presero il sopravvento e non potei più trattenermi. Le domande cominciarono a uscirmi da sole dalla bocca. Una dietro l’altra. Come proiettili.
«E ora come farete? Come sopravvivrete, voialtri, senza più la torre, senza di lui?»
«Siamo diventati i custodi del suo sapere e della sua missione, ma non saremo noi a rivelarla al mondo. Ci aveva avvisati e adoperò queste precise parole: “Voi state fermi e non vi muovete, la predica l’ho già fatta io. Non fate niente finché non sarà la maturità dei tempi, quando la scintilla coperta sotto la cenere divamperà come un incendio su tutta la terra”. Così ci disse poco tempo prima di essere ammazzato. Nel frattempo però staremo qui, ora. Sopravvivremo» aggiunse, e mi sembrò di cogliere una scintilla di fierezza nelle sue parole.
Le piaceva considerarsi una sorta di custode. Tuttavia non riuscii a capire se fosse consapevole della misteriosa missione di David.
«Vi manca la vostra comunità?»
«Mi manca incontrarci la sera sul monte, ascoltare David e i suoi discorsi, pregare, guardare il cielo. I miei mi hanno portato all’eremo quando ero piccola. È tutto quello che conosco» rispose.
Quel frammento di mondo era stato la sua casa e la sua vita. Aveva regole proprie, propri riti, modi di stare insieme. Rosa sarebbe potuta diventare una disadattata, una selvaggia. Demente e malnutrita come molti che avevo incontrato mentre sedavo rivolte contadine. Invece, da quel piccolo angolo di cielo, la ragazza sembrava aver tratto ogni insegnamento possibile. Ecco che cosa l’avvicinava tanto ai suoi amici del movimento. Ogni volta che avevo avuto a che fare con loro, era stata fortissima la sensazione che tutta la sapienza e la saggezza del mondo avessero scelto di abitare quei corpi solidi e quelle menti semplici, creando l’aura da creature fantastiche che non potevo impedirmi di notare.
«Anche voi siete repubblicana, dunque?» continuai a domandare.
«La tua repubblica, brigadiere, non è la mia. La mia non ha bisogno di costituzioni, né di leggi. Perché è tutto scritto nel libro della natura, insieme a ogni cosa che ci serve per essere custodi di questo universo. La repubblica che vogliamo è quella di Dio, dove non si serve nessuno e non si è padroni di nulla. Si è una cosa sola con Dio e con il suo Creato.»
«E questa repubblica, se non fosse finita male, lassù, l’anno scorso, l’avreste imposta anche con le armi?»
Rosa mi guardò con serenità, ma decise di non rispondermi.
«Aspetta prima di parlare. Ancora non hai visto il sacro monte. La repubblica non si può imporre con le armi. La processione era solo una mascherata – così ci aveva detto David –, dovevamo andare ad annunciare la salvezza del mondo e la venuta della terza Legge del diritto e la riforma dello Spirito Santo. David era la manifestazione umana di Dio, venuto a portare giustizia. Per quello non servivano armi» disse sicura e gentile, facendomi sentire sempre più irrilevante davanti a lei, che si era incaricata di sostenere una rivelazione tanto gigantesca.
«Amate anche chi vi ha distrutto la torre?» domandai.
«Anche loro» rispose sicura.
«Anche i soldati che hanno ucciso David?» insistei. A questa domanda Rosa non rispose, spronò i cavalli e continuò a guardare la strada davanti a sé. Mi sentii morire.
«E le uniformi? Le tuniche colorate che tutti indossavano nel corteo?» le chiesi, a quel punto.
«Facevano parte della mascherata. Le aveva volute David. C’erano gli apostoli, gli eremiti, le suore di carità, le figlie dei cantici... ognuno ricopriva un ruolo ben preciso.»
La notizia che il corteo del 18 agosto fosse stato composto anche da donne e bambini mi azzittì del tutto, perché per quanto mi sforzassi di ricordare non riuscii a farli affiorare dalle memorie convulse di quella mattinata. Ma a quel punto, le poche parole di Rosa erano state la conferma di ciò che avevo già intuito scrutandoli al processo. I giurisdavidici non erano l’esercito di sovversivi che avevo visto scendere dalla montagna, né i pazzi furiosi, né i demoni che pure, a un certo punto, mi era parso di intravedere nella polvere e nella calca. Erano qualcosa di diverso.
D’improvviso, però, compresi i timori dei miei superiori. I nostri avversari di quel giorno erano indecifrabili. Una reazione dura, insomma, mi continuava a sembrare logica. Ciò che invece cominciavo a non spiegarmi più era il motivo per cui si fosse deciso per un intervento tanto brutale. Davanti alla semplicità disarmante dei pensieri di Rosa, e nonostante la loro profondità che a tratti mi sconcertava, vedevo il riflesso di un’ideologia pacifica, nulla che giustificasse le accuse di pericolosità sociale. Niente, in lei e nella comunità in cui era cresciuta, per quanto bizzarre potessero apparire, mi aveva fatto pensare alla necessità di spazzare i lazzarettisti via dalla storia, come i toni del processo, al contrario, parevano suggerire. Eppure era accaduto. Stava accadendo. Mentre il carretto procedeva spedito mi ripromisi, allora, che appena fossi arrivato ad Arcidosso avrei tenuto gli occhi ben aperti e non mi sarei fatto sfuggire nulla, per quanto insignificante fosse, perché questa storia si complicava di mille sfumature diverse attimo dopo attimo.
La calda, rassicurante presenza di Rosa al mio fianco, seppure silenziosa, riusciva a darmi un’energia completamente nuova, del tutto sconosciuta, così cominciai a pensare alla ricerca che mi attendeva come a un’avventura ricca di eventi e di scoperte.
«Immagino che dopo una vita passata in montagna, la natura per voi non abbia più segreti...» provai a scherzare.
«Noi tutti siamo figli della natura. E sul monte Labaro siamo ancora più vicini al cielo. Anzi, pare di starci proprio dentro, di poter toccare le stelle allungando la mano. Vedrai quant’è bello di notte. Pure ora che hanno distrutto l’eremo e la torre» disse allegra, e mi sorrise per la prima volta guardandomi dritto negli occhi.
Per tutta risposta fui costretto ad appoggiare il palmo della mano sull’asse che ci faceva da sedile e pregai che non si accorgesse che stavo arrossendo fino alla punta del naso. Non mi era mai capitato prima.
«David ci ha insegnato moltissimo. Andavamo sul monte Labbro con tutta la famiglia e lavoravamo al Campo di Cristo per il sostentamento della comunità e per noi stessi. Lui intanto ci parlava, e tutto quello che diceva mi risuonava nel cuore. Così ho capito che tanta saggezza e tutte quelle parole non vanno ascoltate con la mente, ma vanno accolte, come si accoglie il cielo di notte, la sua immensità. Ho capito che non c’è niente da capire, ma di questa cosa volevo parlarne agli apostoli. Lo farò quando usciranno di galera» continuò la ragazza lasciandomi ancora una volta attonito.
«Se David ha insegnato a voi, chi avrà insegnato a lui, lo sapete?» domandai ancora.
«Be’, Dio lo ha aiutato a essere ciò che già era. E Dio ha usato la natura per insegnargli. E anche il borgo di Arcidosso, dov’è nato e cresciuto» rispose asciutta.
«Il borgo?» domandai confuso.
«Sì! È come se in un tempo lontano fosse stato abitato da maghi sapienti. Vedrai, brigadiere. Su quei muri antichi le pietre parlano una lingua strana. Ma sono quasi sicura che parlano di Dio. Vedrai.»
E per quanto provai a insistere e a farle altre domande non mi fu più possibile strapparle nessuna informazione né alcuno di quei suoi pensieri meravigliosi e disarmanti che riuscivano a scombussolarmi le viscere e a farmi morire di tenerezza. Viaggiammo ancora per un’ora senza proferire parola e a metà mattinata cominciai a distinguere il paesaggio che cercavo da ore: boschi di castagni sovrastati da rupi improvvise e vallate dolcissime, strette fra alberi e colli, con i massicci più alti dell’Amiata sullo sfondo, a fare da sentinelle.
Probabilmente, a un certo punto, mi addormentai senza accorgermene. Rosa mi svegliò dandomi un leggero colpo con il gomito. Il gesto mi fece pensare a un’azione quotidiana di una coppia di sposi che sta insieme da tanti anni e ormai si conosce perfettamente. Quando aprii gli occhi, fece un cenno con il mento per indicarmi qualcosa che stava alle mie spalle. Mi voltai: la cima del monte Labbro si stagliava grigia nei colori di fine estate. Mi parve un colosso che era lì ad aspettarmi dal 18 agosto. Ma non mi fece paura.
In qualche modo mi fece sentire accettato.
«Andiamo subito al monte?» domandai a Rosa.
«No, ti devi trovare da dormire, brigadiere. Ci fermiamo prima del paese» rispose.
Io le sorrisi, e non vedevo l’ora di ascoltare la voce segreta, scolpita nei muri del borgo.
5

Arcidosso

Con una falce di luna avvolta intorno alla sua rocca, Arcidosso in lontananza mi parve una promessa di pietra. Un pugno di case aggrappate a un colle, che sembrava invitarmi fra le sue pieghe aspre e i suoi vicoli ombrosi a scoprire tutte le verità che andavo cercando da oltre un anno. Di quella conchiglia che vedevo stagliarsi davanti a me, Rosa mi parve una perla schiva, che soltanto pochi fortunati riuscivano a spiccare dalle valve strette delle sue amate montagne. E mi ritenni un privilegiato anche solo per avere la possibilità di sentirla canticchiare fra sé e sé, mentre i cavalli avanzavano sull’ultimo tratto di strada. Era una canzone popolare della zona, dedicata agli acquitrini melmosi e infidi della Maremma, che avevamo costeggiato per quasi tutto il viaggio.
«Sia maledetta Maremma e chi l’ama... Sempre mi trema il cor quando ci vai... Perché ho paura che non torni mai...» sussurrava.
Non dissi nulla. Rimasi assorto a carpire la melodia della sua voce finché non ci fermammo nella piazzetta che precedeva l’ingresso al paese. Rosa scese dal carretto prima di me, senza attendere il mio aiuto, e andò subito a sistemare le bestie. Io, invece, caracollai a terra malamente, ancora mezzo stordito dai miei pensieri. Mentre raccoglievo la valigia con la poca biancheria da civile che possedevo, la ragazza mi indicò la pensione in cui avrei alloggiato. E poi, inaspettatamente, mi ricordò l’impegno che si era presa durante il tragitto.
«Allora, brigadiere... Ripasso alla controra. Tu riposati un po’, che poi ti porto al podere del Vichi. Lì forse troveremo le carte che cerchiamo. Le tiene lui al sicuro dentro la stalla. Il poco che s’è riuscito a salvare, intendo.»
Le parole di Rosa mi fecero l’effetto di una notte di sonno. Mi sentii immediatamente ristorato, pronto per le nostre ricerche. Ovviamente, il pensiero che le ricerche fossero ormai “nostre” mi diede un brivido.
«Se volete, Rosa, poggio la valigia e scendo subito! Per me si può cominciare anche ora!» osai.
«Va’ a dormire, brigadiere, vai, che ci si vede più tardi. Ora ho da andare a far riposare i cavalli, che sono stanchi pure loro. E sciacquati il viso.»
Qualche ora più tardi, come se ci fossimo dati un appuntamento preciso, scesi in strada nel momento esatto in cui il suo carretto si fermava davanti alla solita fontana. La osservai mentre legava le bestie e, dopo averle accarezzate, mentre camminava fino alla mia pensione. Ogni tanto si lanciava un’occhiata alle spalle, per controllare che i cavalli stessero bene, ben legati e all’ombra.
«Sei pronto, brigadiere? Ti porto prima in paese, te l’avevo promesso» propose quando mi vide.
«Bene. Andiamo a conoscere questi maghi!» accettai con entusiasmo.
Passato il grande arco d’ingresso, il cuore del borgo ci avvolse e si richiuse sopra di noi. In quell’istante esatto ebbi la sensazione precisa di penetrare in una dimensione diversa. Per un momento mi parve addirittura di percepire un profondo respiro provenire dai muri del paese. Con il suono di un vecchio libro dalla copertina rigida che si apre, per invitare i visitatori alla lettura, Arcidosso mi si offriva agli occhi per essere sfogliato. E subito si rivelò un rompicapo in cui ritrovare parti della storia di oggi e tracce consumate di quella di ieri. Sentivo entrambe a portata di mano, seppure nascoste da un velo impenetrabile che le rendeva invisibili a uno sguardo distratto.
Rosa mi fece fermare davanti alla casa dove era nato David Lazzaretti e poi alla locanda, gestita dalla moglie. Le finestre e le porte erano sbarrate. La famiglia del capo dei giurisdavidici non era in paese.
«Se ne sono dovuti andare. Ne hanno passate troppe. La moglie Caròla non ne poteva più» mi disse.
Provai pietà per quella famiglia, per la vedova con i figlioli a cui badare e il peso schiacciante della maldicen...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Il secondo figlio di Dio
  4. Io sono
  5. PRIMO GRADO DI CONOSCENZA
  6. SECONDO GRADO DI CONOSCENZA
  7. TERZO GRADO DI CONOSCENZA
  8. Epilogo
  9. Postfazione
  10. Bibliografia
  11. Ringraziamenti
  12. Inserto fotografico
  13. Copyright