Storia militare della Seconda guerra mondiale
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Storia militare della Seconda guerra mondiale

Gli eserciti, i fronti e le battaglie

  1. 1,088 pagine
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Storia militare della Seconda guerra mondiale

Gli eserciti, i fronti e le battaglie

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La tattica e la strategia dei vincitori e dei vinti, la potenza industriale al servizio degli eserciti in lotta, il valore combattivo delle truppe: un monumentale saggio storico che ricostruisce in ogni suo dettaglio l'ultimo conflitto mondiale scritto da un illustre studioso di strategia militare. L'edizione comprende 44 cartine e un esauriente indice analitico.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2014
ISBN
9788852058240
Parte quinta

LA SVOLTA

1942
XVIII

La marea rifluisce in Russia

Nel 1940 i tedeschi avevano aperto le operazioni belliche il 9 aprile, aggredendo Norvegia e Danimarca, e nel 1941 il 6 aprile, con l’offensiva nei Balcani. Ma nel 1942 in nessun settore essi furono in grado di assumere così presto l’iniziativa. Ciò costituì una chiara dimostrazione degli effetti debilitanti che il vano tentativo compiuto nel 1941 di giungere a una rapida vittoria sulla Russia aveva esercitato sui tedeschi, nonché della misura in cui il loro sforzo offensivo era stato assorbito in quel settore. Se infatti in primavera le condizioni atmosferiche si mantennero per lungo tempo sfavorevoli al lancio di una grande offensiva sul fronte russo, nessun ostacolo di questo genere avrebbe impedito ai tedeschi di attaccare l’estremità orientale o quella occidentale della precaria posizione della Gran Bretagna nel Mediterraneo. Eppure nessuna nuova minaccia si sviluppò in questa zona chiave delle comunicazioni inglesi con i territori d’oltremare.
Sul fronte russo la controffensiva invernale dell’Armata Rossa, iniziata in dicembre, si protrasse per oltre tre mesi, anche se con risultati via via più scarsi. Entro marzo, in alcuni settori i russi erano riusciti ad avanzare per più di 250 km. Ma i tedeschi mantenevano saldamente il controllo dei principali bastioni del loro fronte invernale (città come Schlüsselburg, Novgorod, Ržev, Vjazma, Brjansk, Orël, Kursk, Charkov e Taganrog), nonostante che i russi, avanzando nei varchi che si aprivano tra di essi, si fossero spinti per molti chilometri alle loro spalle.
Queste città bastione costituivano ostacoli formidabili da un punto di vista tattico; sul piano strategico, essendo i punti focali di una rada rete di vie di comunicazione, esse avevano poi un’importanza addirittura essenziale. Sebbene le guarnigioni tedesche non potessero impedire ai russi di effettuare penetrazioni in profondità approfittando degli ampi spazi che separavano una città dall’altra, per il fatto stesso di controllare questi vitali nodi stradali e ferroviari esse impedivano comunque che queste penetrazioni si trasformassero in decisivi sfondamenti. Esse svolgevano dunque, su una scala più ampia, quella funzione di freno per adempiere la quale erano stati pensati e realizzati i forti francesi della Linea Maginot, che sarebbe riuscita, se non si fossero fermati a metà strada, permettendo ai tedeschi di aggirarla con comodo.
Poiché l’Armata Rossa non riuscì a isolare questi bastioni in misura sufficiente a provocarne il crollo, le profonde avanzate che essa effettuò negli spazi compresi tra un bastione e l’altro finirono poi col ritorcersi contro di essa. Infatti, poiché le sacche venutesi a creare nel fronte tedesco erano naturalmente più difficili da difendere delle città bastione, per presidiarle l’Armata Rossa fu costretta a farvi affluire un’eccessiva quantità di truppe, mentre invece per i tedeschi fu relativamente facile reciderli alla base con attacchi trasversali sferrati dalle città bastione, utilizzate come trampolini di lancio offensivi.
Entro la primavera del 1942 il fronte di battaglia in Russia era diventato così frastagliato da sembrare quasi una riproduzione del profilo costiero della Norvegia, con i suoi fiordi che si spingono per decine e decine di chilometri nell’entroterra. Il modo in cui i tedeschi erano riusciti a resistere nelle «penisole» costituiva una prova convincente di quanto efficace possa essere la difensiva se condotta con abilità, tenacia e armi adeguate. Più ancora di quella opposta dai russi nel 1941, la resistenza tedesca nel corso di quell’inverno contribuì a confutare le superficiali deduzioni che molti si erano affrettati a trarre dai fulminei successi che in precedenti fasi della guerra l’offensiva aveva riportato di fronte a una difesa tutt’altro che incrollabile (ossia da casi in cui l’attaccante aveva avuto dalla sua una schiacciante superiorità in termini di armamento oppure si era trovato di fronte difensori male addestrati e come paralizzati dalla sorpresa). L’esperienza della campagna invernale del 1941 ripeté, su una scala ben più ampia, quelle del saliente di St. Mihiel nella Prima guerra mondiale, confermando quanto avevano lasciato presagire i quattro anni di difesa di quella prominenza teoricamente indifendibile. Essa tese inoltre a confermare il già noto monito storico che l’effetto dell’accerchiamento è soprattutto psicologico, e che la gravità del pericolo, massima nelle prime fasi, diminuisce poi gradualmente se l’improvviso shock che le truppe subiscono rendendosi conto di essere parzialmente circondate non ne provoca l’immediato crollo.
A posteriori appare chiaro che il veto imposto da Hitler a ogni ritirata su vasta scala ebbe l’effetto di rinsaldare il morale delle truppe tedesche e, probabilmente, di salvarle da un crollo che avrebbe potuto diffondersi a macchia d’olio, e che inoltre la sua insistenza sulla necessità di applicare il sistema di difesa «a riccio» arrecò ai tedeschi importanti vantaggi iniziali nella campagna del 1942.
D’altra parte, anche se in modo indiretto, essi pagarono a caro prezzo quella difesa rigida. Il suo successo rafforzò in loro la convinzione che essa potesse essere di nuovo impiegata con analoghi risultati nelle ben più avverse condizioni degli inverni successivi. Un aspetto negativo più immediato fu il logorio al quale la loro aviazione fu sottoposta dal prolungato sforzo che dovette sostenere per rifornire dal cielo, in condizioni invernali, le guarnigioni di queste città bastione più o meno isolate. A causa delle avverse condizioni atmosferiche la frequenza degli incidenti toccò punte molto elevate, mentre poi nei periodi di tempo buono, al fine di rimediare a pericolose riduzioni delle scorte, fu necessario impiegare simultaneamente un numero eccessivo di aerei: alcune volte più di 300 velivoli da trasporto dovettero essere utilizzati in un solo giorno per soddisfare le esigenze di un unico corpo d’armata. Lo sforzo connesso alla necessità di provvedere al sostentamento per via aerea di un’intera catena di posizioni avanzate ed esposte ebbe ripercussioni negative sull’organizzazione trasporti della Luftwaffe, e il ritiro di reparti aerei esperti verso altri settori limitò l’efficienza combattiva della Luftwaffe sul fronte russo.
Le tremende conseguenze di quella campagna invernale per un esercito che non era preparato ad affrontarla si fecero sentire, a lungo andare, anche in altri modi. Prima ancora della fine dell’inverno molte divisioni erano ridotte a non più di un terzo dei loro effettivi iniziali. Esse non furono più ricostituite integralmente, e solo a estate inoltrata furono riportate a un livello sufficiente per consentirne l’impiego in operazioni attive. Inoltre la costituzione di nuove divisioni in Germania durante l’inverno diede luogo a una cifra totale sostanzialmente fittizia. A partire dal 1942, divisioni uscite quasi distrutte da durissimi combattimenti furono mantenute in vita soprattutto per trarre in inganno il nemico, senza che i vuoti apertisi nelle loro file venissero anche solo in parte colmati. Queste divisioni nominali consistevano talvolta in non più di 2 o 3 battaglioni.
A Hitler i generali tedeschi avevano detto che per riprendere l’offensiva nel 1942 avrebbero avuto bisogno di altri 800.000 uomini, ma Albert Speer, ministro della Produzione degli armamenti, aveva ribattuto che era impensabile che dalle fabbriche si potesse distogliere una massa di uomini di queste proporzioni per avviarla ai campi di battaglia.
Per risolvere il problema si introdussero infine radicali mutamenti negli organici. Le divisioni di fanteria furono riorganizzate su 7 battaglioni anziché 9. Per gli effettivi da combattimento della compagnia di fanteria fu fissato un limite massimo di 80 uomini, contro i 180 precedenti. Duplice era lo scopo di questa riduzione, in quanto si era scoperto che i giovani ufficiali chiamati a sostituire quelli più vecchi ed esperti caduti in combattimento faticavano molto a mantenere il controllo di compagnie così numerose, e che inoltre queste subivano in genere perdite più ingenti senza che peraltro la loro efficienza fosse sensibilmente maggiore di quella di compagnie meno numerose.
Questa simultanea riduzione del numero di battaglioni per divisione e del numero di uomini per compagnia fece sì che a partire dal 1942 avessero ben poco significato le valutazioni in merito all’entità delle forze tedesche che i servizi segreti alleati continuarono a formulare sulla base dell’implicita ipotesi che 1 divisione tedesca fosse ancora all’incirca equivalente a 1 divisione alleata. In realtà ci si sarebbe avvicinati di più al vero facendo conto che 2 divisioni tedesche equivalessero a 1 divisione inglese o americana. A partire dalla tarda estate del 1944, anzi, anche questo rapporto cessò di essere attendibile, in quanto ben poche divisioni tedesche erano vicine ai loro effettivi nominali, per quanto ridotti.
Anche per ciò che riguarda la disponibilità di carri armati dell’esercito tedesco, la campagna del 1942 vide un aumento più apparente che reale. Durante l’inverno furono costituite 2 nuove divisioni corazzate, in parte mediante la conversione dell’unica divisione di cavalleria tradizionale mantenuta in servizio fino a quel momento e di cui infine si era scoperta l’inutilità. Alcune aggiunte vennero effettuate al contingente delle divisioni di fanteria motorizzate, ma solo metà delle 20 divisioni corazzate esistenti si videro aumentare il contingente.
Si può dunque concludere che dal bilancio consuntivo delle forze tedesche all’inizio del 1942 non emergevano certo indicazioni tali da incoraggiare a una sollecita ripresa dell’offensiva. Anche con i più strenui sforzi, la Germania poteva al massimo arrivare a ripristinare l’iniziale consistenza numerica delle sue forze, e anche questo solo aumentando l’incidenza delle forze messe a disposizione dai paesi alleati, forze di qualità tutt’altro che soddisfacente. In nessun caso essa sarebbe riuscita ad assicurarsi un margine tale da consentirle di far fronte alle perdite di un’altra sanguinosa campagna. Ma un ostacolo forse ancora più grave era costituito dalla sua ormai palese incapacità di potenziare le sue due principali armi offensive, l’aviazione e le forze corazzate, nella misura che sarebbe stata indispensabile per acquisire una incontrastata superiorità.1
Questi aspetti sfavorevoli della situazione non sfuggivano allo stato maggiore generale tedesco, ma il potere dei suoi capi di influire sulle decisioni di Hitler era alquanto diminuito. La pressione di Hitler era troppo forte perché essi potessero resistervi, e la pressione degli eventi troppo forte perché Hitler potesse resistervi. Ormai egli non poteva fare altro che andare avanti, sempre più avanti.
La questione di una ripresa dell’offensiva nel 1942 era già in discussione nel novembre del 1941, prima ancora dell’ultimo tentativo di conquistare Mosca. Rundstedt dichiarò di aver sostenuto, nel corso di queste discussioni di novembre, non solo l’opportunità di mettersi sulla difensiva, ma addirittura di effettuare un ripiegamento generale sulla primitiva linea di partenza in Polonia. Si dice che Leeb fosse d’accordo. Anche se gli altri più influenti generali non arrivavano a suggerire un così completo mutamento di atteggiamento, quasi tutti si chiedevano con crescente preoccupazione dove mai li stesse conducendo la campagna di Russia, e non si dimostravano affatto entusiasti dell’idea di una ripresa dell’offensiva. Il fallimento dell’attacco sferrato in dicembre contro Mosca e le durissime prove dell’inverno non fecero che rafforzare i loro dubbi.
Il peso dell’opposizione militare fu però alquanto indebolito dai mutamenti negli Alti comandi che seguirono il fiasco della campagna del 1941. Rundstedt si era dimesso alla fine di novembre, quando Hitler aveva respinto la sua proposta di interrompere l’avanzata meridionale verso il Caucaso e di ripiegare su una linea difensiva invernale lungo il fiume Mius. Se non altro, egli era stato relativamente fortunato per quanto riguardava il momento e le modalità del suo congedo. Quando il fallimento della campagna era ormai chiaro a tutto il mondo, il congedo di Brauchitsch fu annunciato pubblicamente, il 19 dicembre, in termini che lasciavano intendere che a lui doveva essere attribuita la responsabilità di quanto era accaduto. Questo atto servì al duplice scopo di fornire a Hitler un comodo capro espiatorio e di spianargli la via all’assunzione in prima persona del comando dell’esercito. Bock, il troppo zelante sostenitore dell’ultimo tentativo voluto da Hitler di raggiungere Mosca, si diede ammalato a metà dicembre: disturbi allo stomaco provocati da preoccupazioni e fatica. Le sue dimissioni furono accettate il 20 dicembre. Leeb per il momento rimase al suo posto; infatti sarebbe stato piuttosto difficile far ricadere su di lui la responsabilità della mancata conquista di Leningrado, dal momento che era stato lo stesso Hitler, per timore delle perdite che avrebbe potuto provocare una prolungata lotta nelle strade della città, a revocare proprio alla vigilia l’attacco predisposto da Leeb. Ma quando poi si convinse che nulla avrebbe potuto persuadere Hitler a ritirarsi dal saliente di Damjansk, anche Leeb chiese che gli fosse consentito di rinunciare al suo incarico.
La scomparsa di Brauchitsch e dei tre comandanti dei gruppi di armate ridusse la capacità di Halder, il capo dello stato maggiore generale, di esercitare un’azione di freno su Hitler. A rafforzare ulteriormente la posizione di Hitler contribuì poi la naturale tendenza dei successori a tenere per sé i propri dubbi e a dimostrarsi, almeno in una prima fase, più inclini ad assecondare i desideri del Führer. Hitler sapeva anche troppo bene quanto efficace possa essere la promozione al fine di sedurre l’intelligenza di un uomo e di trasformarlo in un deferente esecutore. L’ambizione professionale raramente resiste a quel tipo di tentazione. Rundstedt fu sostituito da Reichenau, Bock da Kluge e Leeb, più tardi, da Küchler. L’allontanamento di Bock dal comando del gruppo di armate centrale fu dovuto a una temporanea malattia, e quando in gennaio Reichenau rimase vittima di un attacco cardiaco, Bock prese il suo posto. Tuttavia egli fu infine messo in disparte in luglio, quando le forze del settore meridionale furono riorganizzate in vista dell’offensiva d’estate. Uno dei risultati di questa riorganizzazione fu la costituzione, con unità del gruppo di armate Sud, di uno speciale «gruppo di armate A» agli ordini del feldmaresciallo von List, destinato a occuparsi della conquista del Caucaso. Il resto delle forze del gruppo di armate Sud fu ribattezzato «gruppo di armate B», prima agli ordini di Bock, poi agli ordini di Weichs.
L’idea di lanciare una nuova grande offensiva acquistò una fisionomia precisa e irrevocabile nei primi mesi del 1942. Sulla decisione di Hitler influì anche la pressione esercitata dai suoi esperti in materia economica. Essi gli dissero che la Germania non poteva continuare la guerra se non riusciva ad assicurarsi il petrolio del Caucaso, così come il grano e i minerali: tesi che fu poi smentita dal fatto che, nonostante il fallimento del tentativo di assicurarsi il petrolio del Caucaso, la Germania poté continuare a combattere per altri tre anni. Ma Hitler era tanto più sensibile ad argomenti economici di questo genere in quanto coincidevano con quello che era il suo bisogno più imperioso: fare qualcosa di concreto e offensivo. L’idea stessa di una ritirata gli ripugnava, indipendentemente dai potenziali vantaggi che essa avrebbe potuto comportare. Poiché non voleva neppure prendere in considerazione l’eventualità di un passo indietro, egli non vedeva cos’altro avrebbe potuto fare se non lanciarsi di nuovo in avanti.
Questo impulso istintivo lo rendeva cieco e sordo di fronte ai fatti più sgradevoli. Il servizio segreto tedesco sapeva, per esempio, che dagli stabilimenti russi degli Urali e in altre regioni del paese uscivano in media 600-700 carri armati al mese. Ma quando Halder gli presentò questi dati, Hitler pestò i pugni sul tavolo, dichiarando che un simile tasso di produzione era impossibile. Egli credeva solo quello che voleva credere.
Tuttavia alla fine fu costretto a riconoscere la limitatezza delle risorse della Germania e quindi ad ammettere la necessità di ridurre la portata della nuova offensiva. Secondo il piano abbozzato all’inizio della primavera, essa si sarebbe sviluppata su ambedue i fianchi ma non lungo l’intero fronte.
Lo sforzo principale doveva essere compiuto sul lato meridionale, nei pressi del Mar Nero. Assumendo la forma di una rapida avanzata lungo il corridoio compreso tra i fiumi Don e Donec, questo attacco doveva raggiungere e attraversare il basso corso del Don, tra la sua grande ansa a sud e la foce nel Mar Nero, e piegare poi verso sud in direzione dei campi petroliferi del Caucaso, espandendosi simultaneamente verso est in direzione di Stalingrado, sul Volga.
In un primo tempo, formulando questo duplice obiettivo Hitler aveva accarezzato l’idea che la conquista di Stalingrado potesse spianare la via a una grande conversione verso nord destinata a portare le forze tedesche alle spalle delle armate russe che difendevano Mosca, mentre alcuni del suo entourage parlavano addirittura di un’avanzata fino agli Urali. Ma, dopo lunghe discussioni, Halder lo convinse che questo ambizioso progetto era del tutto irrealizzabile, cosicché l’obiettivo che si decise di perseguire fu quello di un’estensione dell’avanzata al di là di Stalingrado nella misura necessaria a garantire la sicurezza tattica di quel punto chiave strategico. Inoltre nella conquista di Stalingrado si indicava un mezzo per provvedere alla necessaria copertura laterale strategica all’avanzata nel Caucaso. Sorgendo all’estremità orientale dell’«istmo» compreso tra le grandi anse del Don e del Volga, al centro di un’importante rete di vie di comunicazione, Stalingrado era come il tappo di questo collo di bottiglia.
Il piano di Hitler per il 1942 prevedeva anche un’offensiva secondaria per conquistare Leningrado entro l’estate. A parte il fattore prestigio, questa mossa settentrionale era considerata importante come mezzo per aprire vie di comunicazione terrestri con la Finlandia e farla quindi uscire dalla sua situazione di virtuale isolamento.
Lungo il resto del fronte orientale le armate tedesche sarebbero rimaste sulla difensiva, limitandosi a rafforzare le loro posizioni. In breve, l’offensiva tedesca del 1942 sarebbe stata confinata alle due ali, e ciò costituiva un’implicita dimostrazione della misura in cui i tedeschi erano a corto di riserve. Inoltre, anche per condurre a termine la prevista avanzata dell’ala destra, la Germania avrebbe dovuto dipendere ancor più che in passato dai paesi alleati, chiedendo loro di provvedere qu...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Storia militare della Seconda guerra mondiale
  4. Prefazione di Kathleen Liddell Hart
  5. Parte prima. IL PRELUDIO
  6. Parte seconda. LO SCOPPIO DELLA GUERRA 1939-1940
  7. Parte terza. L’ONDATA 1940
  8. Parte quarta. LA PIENA 1941
  9. Parte quinta. LA SVOLTA 1942
  10. Parte sesta. L’INIZIO DEL RIFLUSSO 1943
  11. Parte settima. IL RIFLUSSO 1944
  12. Parte ottava. FINALE 1945
  13. Parte nona. EPILOGO
  14. Nota bibliografica delle opere citate nel testo
  15. Opere di B.H. Liddell Hart
  16. Copyright