L’origine dello zero
Quando ripensiamo al modo di contare che abbiamo imparato nei primi anni di scuola ci sembra che lo zero sia l’elemento più semplice. Ce ne servivamo per indicare che non rimane nulla, come nel caso della differenza 6 – 6, e per indicare che una qualsiasi quantità moltiplicata per zero dà zero, come nel caso del prodotto 5 ∞ 0 = 0. Ma ce ne servivamo anche nello scrivere i numeri per segnalare la presenza di un «posto» vuoto, come quando si scrive centouno nella forma 101.
Si tratta di nozioni talmente semplici – molto più semplici di una laboriosa divisione, del teorema di Pitagora o dell’algebra – che è facile saltare alla conclusione che lo zero sia stato una delle prime entità dell’aritmetica concepite da chiunque avesse un sistema di numerazione, mentre le idee più difficili, come quelle della geometria e dell’algebra, sarebbero state elaborate soltanto dalle culture più evolute. Nulla di più sbagliato. Gli antichi greci, benché abbiano creato la logica e la geometria che costituiscono la base di tutta la matematica moderna, non introdussero mai il simbolo dello zero; anzi, alla sua comparsa lo considerarono con grande sospetto. A servirsene furono soltanto tre culture, tutte ben lontane da quelle che avrebbero dato origine al mondo occidentale, e ciascuna ne interpretò la funzione e il significato in maniera assai diversa. Ma perché fu così difficile per il simbolo dello zero affermarsi in Occidente? E cosa aveva a che fare con il nulla questa difficoltà?
Nel 1999, con l’approssimarsi della fine dell’anno, i giornali dedicarono sempre più spazio all’imminente catastrofe che pareva incombere a causa del Millennium Bug (il baco del millennio). La ragione della collettiva perdita di sonno, denaro e fiducia era il simbolo «zero» o, per essere più precisi, era una coppia di zeri. Quando furono originariamente elaborati i programmi informatici che controllano le nostre reti di trasporto e i nostri sistemi bancari, i computer erano dotati di una memoria limitata, che era molto più costosa di quanto lo sia oggi.4 Qualunque accorgimento potesse far risparmiare memoria rappresentava anche un risparmio di denaro. Di conseguenza, quando si trattò di datare il lavoro giornaliero, i computer furono programmati in modo da registrare, anziché la data intera, per esempio 1965, la data abbreviata alle ultime due cifre, 65; nessuno fu così lungimirante da pensare all’anno 2000, allorché i computer avrebbero dovuto dare un senso alla data tronca 00. Se c’è una cosa, però, che a loro proprio non piace, è l’ambiguità. Che significa «00»? Per noi è ovviamente un’abbreviazione dell’anno 2000; ma per il cervello elettronico potrebbe benissimo essere un’abbreviazione di 1900, o addirittura di 1800. Così d’improvviso potreste sentirvi dire che la vostra carta di credito valida fino all’anno 00 è scaduta da 99 anni. Comunque, le cose non sono andate male come avevano previsto i pessimisti.5
Contare è una di quelle abilità, come leggere, che ci vengono fatte acquisire durante le prime settimane della nostra vita scolastica. L’umanità ha dovuto compiere il medesimo percorso, ma ci ha messo dei millenni. Tuttavia, mentre le lingue si contano a migliaia e le loro peculiarità vengono spesso entusiasticamente esaltate come vibrati simboli dell’identità e del prestigio nazionali, il modo di contare ha finito per diventare un tratto universale del genere umano. A fronte della pletora delle nostre lingue e dei caratteri per scriverle, un turista che arrivasse ai nostri giorni da una stella vicina sarebbe con ogni probabilità piacevolmente sorpreso dalla completa uniformità dei nostri sistemi di calcolo. Il sistema di numerazione è lo stesso dovunque: dieci cifre – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9 e 0 – e un metodo semplice che ci consente di rappresentare qualsivoglia grandezza. In breve, un linguaggio simbolico universale. Le parole che li indicano possono differire da una lingua all’altra, ma i simboli rimangono i medesimi. I numeri sono la più vasta esperienza condivisa dal genere umano.
La più ovvia caratteristica distintiva del nostro sistema di numerazione è l’uso della base dieci. Contiamo di dieci in dieci: dieci unità fanno una decina; dieci decine fanno un centinaio, e così via. La scelta di questa base fu compiuta da molte culture e la sua origine risale chiaramente alle nostre dieci dita, che rappresentarono il primo pallottoliere. Talvolta in culture più evolute ci si imbatte nell’uso della base venti (numero complessivo delle dita delle mani e dei piedi), mentre sistemi di numerazione meno progrediti ricorrono alla base due o cinque.6 Le eccezioni sono talmente rare da meritare esplicita menzione. Tra gli indiani d’America si trova un sistema di numerazione fondato sulla base otto. A prima vista ciò appare assai strano, finché non ci si rende conto che anche queste popolazioni contavano sulle dita: semplicemente esse contavano, invece delle dieci dita, gli otto spazi tra un dito e l’altro.
Non c’è bisogno di essere storici della matematica per rendersi conto che in epoche diverse del passato sono stati utilizzati altri sistemi di numerazione. Possiamo ancora imbatterci in tracce di sistemi di numerazione che si differenziano per alcuni aspetti dallo schema decimale. Misuriamo il tempo in unità sessagesimali: ci sono 60 secondi in un minuto e 60 minuti in un’ora, e questa convenzione si estende alla misura degli angoli, come nel goniometro o sul quadrante della bussola navale. Altrove si trovano tracce della numerazione in base venti: three-score7 years and ten è la traduzione inglese di 70 corrispondente al Salmo 90,10 («gli anni della nostra vita sono settanta»), mentre in francese le parole che indicano i numeri 80 e 90 sono quatre-vingts e quatre-vingt-dix, cioè quattro-venti e quattro-venti-e-dieci. Nel mondo del commercio spesso si fanno ordinazioni a dozzine o, più raramente, a grosse (dodici dozzine), il che testimonia l’uso di un sistema in base dodici in qualche epoca del passato.
Le dieci cifre sono in uso dovunque, ma c’è un altro modo di scrivere i numeri che è ancora ben presente: i numeri romani sono usati quando si vuole indicare la posizione di re o papi nella successione (per esempio, Enrico VIII o Pio XII), o conferire un carattere tradizionale, come nel caso del quadrante dell’orologio sulla piazza cittadina. Tuttavia i numerali romani sono notevolmente diversi da quelli che utilizziamo in aritmetica: non c’è un segno per lo zero, e anche l’informazione contenuta nei simboli è diversa. Oggi, se scriviamo tre volte 1, intendiamo un centinaio più una decina più un’unità: 111; invece, ai tempi di Giulio Cesare, III significava uno più uno più uno: 3. Questi due tratti, assenti nella numerazione romana, il segno dello zero e il valore posizionale dei simboli, sono le caratteristiche che costituiscono il nucleo dello sviluppo di sistemi di numerazione efficienti.
Egitto: non c’è bisogno di nulla
I più remoti sistemi di numerazione sono quelli usati dagli egizi e dai sumeri nella Mesopotamia meridionale (l’attuale Iraq) fin dal 3000 a.C. L’antichissimo sistema egizio dei geroglifici8 ricorreva alla ripetizione di una sequenza di simboli corrispondenti a uno, dieci, cento, mille, diecimila, centomila e un milione. I vari simboli sono rappresentati nella figura 1.1. I simboli egizi per i numeri da 1 a 9 sono assai semplici e si riducono alla ripetizione del tratto verticale, |, che rappresenta l’unità; quindi 3 si scrive semplicemente | | |. I simboli per i multipli di 10 sono più vari: 10 è rappresentato da una U rovesciata, 100 da una spira, 1000 da un fiore di loto, 10.000 da un dito teso, 100.000 da un pesce, e un milione da un uomo con le braccia alzate verso il cielo.
Figura 1.1. Numerali geroglifici egiziani.
Con l’eccezione di quello che indica l’unità, i segni non presentano connessioni evidenti con le grandezze rappresentate. Alcune correlazioni sono probabilmente di tipo fonetico, e derivano dalla somiglianza tra i suoni corrispondenti agli oggetti rappresentati e le parole originariamente utilizzate per indicare le varie quantità. Soltanto il dito teso che rappresenta il numero diecimila sembra ricollegarsi a un sistema di conteggio sulle dita. Sugli altri segni possiamo solo proporre congetture: forse i pesci erano così numerosi nel Nilo a primavera da farli assurgere a simboli di un numero enorme, e forse un milione era soltanto un numero terribilmente grande, come quello delle stelle nei cieli sopra le nostre teste.
I simboli venivano scritti in modo diverso a seconda che l’is...